Cibo ribelle: la rivoluzione comincia a tavola

Articolo del 20 Dicembre 2020

Non importa se ti definisci veganomacrobiotico, onnivoro o paleodietista. La vera domanda da farsi è un’altra: stai mangiando cibo vero? Sei davvero sicuro di scegliere ciò che mangi con consapevolezza?

Abbiamo l’illusione del libero arbitrio, ma il sistema agroalimentare decide ogni giorno per noi cosa dobbiamo mangiare. E persino nel mondo «protetto» del biologico rischiamo di andare incontro al vicolo cieco dell’omologazione. All’apparente moltiplicazione di prodotti diversi corrisponde una forte riduzione di varietà, di biodiversità, di culture, di saperi e sapori. Una minaccia per la terra e per chi la lavora, una minaccia per la nostra sopravvivenza sul pianeta e, non per ultimo, per la salute, con la progressiva riduzione del microbioma, delle nostre difese immunitarie, della nostra resilienza.

Il cibo ribelle  è il nuovo libro di Gabriele Bindi, un progetto nato in collaborazione con La Grande Via, arricchito dai contributi di grandi nomi come Franco Berrino, Salvatore Ceccarelli, Vandana Shiva, Carlo Triarico. È la rampa di lancio di un progetto ancora più grande, per mettere in circolo tutte le più importanti conoscenze in tema di alimentazione, ambiente e agricoltura. E per permettere di chiamare a raccolta tutte le realtà italiane impegnate per il bene della terra.

Perché la scelta di questo nome, cibo ribelle? «Ribelle perché ristabilisce il valore dei semi, dei territori e delle persone che producono cibo, al di là delle omologazioni della grande industria agroalimentare» commenta Gabriele Bindi. «Siamo di fronte a un colossale inganno, un gioco di prestigio che bisogna a tutti i costi smascherare. Sembra un grande paradosso, ma proprio quando gli scaffali sono pieni e le dispense traboccano, andiamo incontro anche nel nostro mondo opulento e sprecone a carenze alimentari. E mettiamo a soqquadro gli equilibri planetari, costringendo alla fame o all’emigrazione di miliardi di persone nel mondo. Ormai non è più tempo di aspettare, bisogna ribellarsi. La buona notizia è che lo si può fare stando seduti a tavola: si può, anzi, si deve partire dal cibo. È la scelta più concreta. Non c’è scelta più determinante sulle sorti del pianeta, dell’economia, della salute, che mangiare cibo vero. Cibo ribelle».

Smascheriamo l’inganno

Attorno alla nutrizione, ciò che più concretamente riguarda la condizione di benessere per gli esseri umani secondo il nostro autore, si celebra uno dei più macroscopici inganni della storia. «La produzione agroindustriale ci viene presentata come la manifestazione più scintillante del progresso sociale, ma si basa sostanzialmente su una falsificazione. Alla civiltà dell’opulenza, grassa e ipertesa, fa da contrappeso un quarto della popolazione mondiale che soffre di malnutrizione. La ricetta dell’agroindustria è l’aumento di produzioni, con una fabbrica globale del cibo che finisce nelle mani della Grande distribuzione organizzata (Gdo). Il risultato è uno scarso accesso al cibo e una dieta sempre più omogenea e sbilanciata: una persona su tre nel mondo soffre di carenze di micronutrienti, mentre quasi due miliardi di persone sono in sovrappeso o obese. Si tratta per di più di un sistema altamente inefficiente, che sta in piedi solo grazie ai prezzi irrisori delle fonti fossili e al sostegno delle casse pubbliche. Proprio così, siamo noi, con i soldi delle nostre tasse a permettere all’industria del cibo di poter andare avanti. Se i governi del Nord del mondo non attuassero il sostegno diretto agli agricoltori, l’intero sistema collasserebbe. Se solo le multinazionali e i loro emissari dovessero sostenere i reali costi di produzione e pagare i danni causati da decenni di intenso sfruttamento e avvelenamento dei suoli, crollerebbero tutti i guadagni e scomparirebbero tutte le merci dagli scaffali».

«Vogliamo poi parlare della salute? Le regole del libero scambio impongono il consumo di prodotti alimentari dal profilo nutrizionale scadente, che vanno a sostituire i cibi tradizionali, i quali vengono addirittura vietati sulla base di dubbie considerazioni igieniche» sottolinea Bindi. Il sistema alimentare è figlio del riduzionismo e ha la pretesa di basarsi su criteri di efficienza e precisione, ma a un’analisi più attenta, quando lo si applica alle scienze della vita, mostra di fallire nel suo intento. Di fronte al semaforo giallo dei cambiamenti climatici, che ci avrebbe dovuto far fermare per riconsiderare l’esito delle nostre azioni, la strategia degli ultimi anni è stata quella di premere sull’acceleratore per poi passare col rosso. L’impoverimento dei suoli e la crisi delle rese costringe l’agricoltura chimica ad aumentare le dosi di fertilizzanti e pesticidi.

I sistemi convenzionali si basano sulla standardizzazione, sui trasporti su lunga distanza e sulla trasformazione industriale dei raccolti. Invece, il cibo coltivato in modo naturale, tradizionale e biologico si fonda su biodiversità, sicurezza, sapore, qualità e resilienza. La critica alle monocolture, su cui interviene il parere autorevole del dottor Berrino o del genetista Salvatore Ceccarelli, colpisce alcuni dei baluardi più blasonati del mercato nazionale, a partire dall’invasione a suon di pesticidi per la produzione di mele Golden, del Prosecco o della Nutella. Riscoprire il cibo vero significa far cadere qualche falso mito, ma senza rinunce per quanto riguarda il buon gusto.

Al contrario, si spalanca la porta a un universo ben più abbondante e ricco di possibili soddisfazioni, a partire dai cereali e dai legumi autoctoni, per parlare di prodotti trasformati come la pasta, i formaggi, le birre agricole o i vini naturali.

Tutto dipende dal cibo

«Nell’era del foodporn c’era bisogno di un altro libro sul cibo? Quando tutti fotografano, osannano, benedicono e condannano il cibo, c’è ancora bisogno di metterlo sull’altare o sul banco degli imputati?» si chiede Gabriele Bindi nelle prime pagine del libro. Evidentemente sì, consapevoli del fatto che il cibo può fare la felicità o l’infelicità di una persona. Il cibo ribelle può essere una chiave per cambiare in meglio le sorti di ogni singola persona in questo pianeta. Perché il cibo è energia e nutrimento, determina la salute o la malattia, influenza le nostre emozioni, i nostri pensieri e le nostre azioni. Muove popoli e nazioni, orienta le società, dirige economie: la scelta di uno o di un altro alimento può fare la differenza e cambiare il destino dell’umanità.

«Di tutte le esigenze dell’uomo» spiega il dottor Franco Berrino «come nutrirsi, vestirsi, ripararsi dalle intemperie, accoppiarsi, divertirsi, viaggiare, studiare, pregare e così via, nutrirsi è l’unica indispensabile alla sopravvivenza fisica. Per questo i padroni del cibo sono i padroni del mondo. Il cibo è una merce il cui mercato globale non sarà mai in crisi. Le multinazionali del cibo, con le multinazionali dei semi e della chimica agricola, muovono i governi del mondo come marionette. Sono loro che decidono che cibo farci mangiare (quello che genera più profitti), quanto ne mangeremo, quanto ne sprecheremo. Sono loro che decidono chi ne avrà in eccesso (chi genera profitti) e chi non ne avrà e morirà di stenti (chi non genera profitti). Sono loro che invadono i territori di popoli che si procurano il cibo in equilibrio con la natura e li rendono schiavi di quello industriale e delle malattie da esso causate. Sono loro che ci illudono di avere ampia libertà di scelta rispetto alle nostre “droghe” alimentari. Acquisire consapevolezza di questa schiavitù è il primo passo per liberarsene. I giovani che lottano per la salute del pianeta, i giovani dei Fridays For Future, hanno un grande potere. Con il loro collegamento planetario, se lanciassero il messaggio di non mangiare certi cibi industriali, avrebbero il potere di far crollare le borse. Anche solo il crollo del fatturato di pochi punti percentuali metterebbe in ginocchio i padroni del cibo. Il mio augurio è che se ne rendano conto».

La Guida Nomade

Rispetto per l’ambiente e per le persone, attenzione alla nutrizione consapevole, cura e amore per il lavoro, inteso nel senso più nobile del termine. Sono alcuni dei capisaldi de La Guida Nomade, il progetto della Grande Via di Franco Berrino ed Enrica Bortolazzi per promuovere e sostenere le attività agricole, artigianali, commerciali, di ristorazione e turistiche che abbiano a cuore l’ambiente, la bellezza, la salute, la cultura e l’etica. Una guida che si basa su precisi disciplinari per le aziende di produzione e trasformazione, che vanno al di là delle misure imposte dalla certificazione biologica, ritenuta un requisito minimo ma non del tutto sufficiente. Ai produttori agricoli, oltre alla coltivazione senza pesticidi, diserbanti e fertilizzanti chimici, si richiede l’utilizzo abituale di pratiche come il sovescio, la rotazione delle colture o altre tecniche colturali atte a migliorare la qualità organica del terreno.

Gli agricoltori devono avere un completo controllo della filiera produttiva e quindi conoscere esattamente la provenienza di tutte le materie prime usate in azienda. Sono trasparenti circa ogni aspetto della produzione e quindi permettono la visita a campi o laboratori in qualsiasi momento. Nella produzione vengono privilegiati legumi, ortaggi o frutta di varietà autoctone, cereali o grani cosiddetti «antichi». Per i vini si fa riferimento a quelli naturali autoctoni, magari senza solfiti aggiunti e realizzati con l’uso di lieviti indigeni. Se si allevano animali, è importante che vengano rispettati e nutriti con il loro cibo naturale, come il fieno e i prodotti dell’azienda. Anche per la trasformazione sono richieste condizioni precise, come l’uso di macinazione a pietra per i cereali, la spremitura a freddo degli oli, l’uso della pasta madre per la panificazione e di latte da fieno per i formaggi.

Guardando al disciplinare per le aziende di accoglienza e di ristorazione, invece, si privilegia chi propone quotidianamente cereali integrali, legumi, verdura e frutta di stagione. Chi propone cibi senza troppe sofisticazioni e sa preparare dessert dolcificati solo con frutta o verdure dolci. I cuochi devono utilizzare nei loro piatti solo ingredienti con certificazione biologica e comunque naturali, di cui si sappia esattamente la provenienza. Se si propongono derivati animali è fondamentale che provengano da allevamenti dove i capi di bestiame sono rispettati e nutriti. I ristoratori devono essere in grado di valorizzare il territorio di provenienza e la cucina locale. Offrono vino o birra naturale, privilegiando il proprio terroir. Hanno strutture curate che rispettano l’ambiente naturale e la cultura locale, evitano sprechi, riciclano i rifiuti, sono inseriti in un ambiente naturale rispettato e silenzioso, offrono la possibilità di passeggiare nel verde, praticare sport, arti marziali e yoga e hanno sale da pranzo senza televisione.

 

Fonte:  TerraNuova.it

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