Colite può voler dire malattie intestinali più o meno gravi: ecco quali sono e alcuni rimedi efficaci

Articolo del 17 Febbraio 2021

E’ una temuta malattia di cui oggi si sente parlare fin troppo. Molti di noi conoscono qualcuno che ne soffre, eppure spesso si ha un’idea poco chiara di cosa sia questa patologia. Il termine “colite”, comunemente usato per indicare una serie di problematiche intestinali più o meno gravi, è di fatto generico e comprende varie malattie, definite in base alla causa.

La prima distinzione va fatta tra sindrome dell’intestino irritabile o Ibs (acronimo inglese che sta per Irritable Bowel Syndrome), un tempo detta colite spastica, e malattie infiammatorie croniche intestinali (Mici o all’inglese Ibd, Inflammatory Bowel Disease), rappresentate principalmente da morbo di Crohn e rettocolite ulcerosa. Queste ultime sono in crescita nei paesi industrializzati, soprattutto tra i giovani. A questo proposito è illuminante uno studio pubblicato su AP&T nel 2020. I ricercatori hanno seguito 9 milioni di inglesi fra il 2000 e il 2018, rilevando un aumento del 55% delle coliti ulcerose e del’83% del morbo di Crohn. Questi risultati li hanno portati a stimare una crescita del 25% dei casi entro il 2025. Prospettiva poco piacevole, tanto più che i risultati dello studio indicano maggiori probabilità di quanto ritenuto di contrarre il tumore al colon retto (+23% per il Crohn e +43% per la rettocolite ulcerosa). A confermare il trend negativo è anche uno studio pubblicato su The Lancet Gastroenterology & Hepatology. Non è certo che questo accresciuto rischio riguardi anche l’Italia, ma di sicuro è importante correre ai ripari.

Quanto all’Ibs, a livello globale ne soffre circa il 10-15% degli adulti; nello specifico in Italia non esistono stime ufficiali, ma si calcola che ogni anno si ammalino 100mila persone di Ibs e malattie infiammatorie intestinali. Come immaginabile, la qualità della vita di queste persone e dei loro familiari è pessima, soprattutto se la malattia inizia in giovane età; per non parlare dei costi diretti (spese mediche) e indiretti (perdita di giorni lavorativi o scolastici).

Quando è irritabile

L’Ibs, o sindrome del colon irritabile, non sfocia in patologie gravi. Ma dura anni e in certi soggetti può davvero minare la qualità della vita, con un aumento dei costi sanitari per esami, cure a volte operazioni inutili. I sintomi principali sono dolore e disagio addominali, insieme al meteorismo (gonfiore localizzato soprattutto intorno alla vita). È normale che la flora batterica fermentativa produca dei gas, ma in certe condizioni questi sono in eccesso, a causa di cattive abitudini – troppe bibite gassate, masticazione inadeguata per la fretta o per problemi ai denti – che vanno risolte. Il tutto può essere accompagnato o meno da alterazioni dell’alvo (stitichezza e/o diarrea). Spesso il dolore si riduce dopo l’evacuazione e ci può essere muco nelle feci o una sgradevole sensazione di mancato svuotamento rettale.


A provocare questi problemi sono le terminazioni nervose dell’intestino che controllano la contrazione muscolare. Nei soggetti sofferenti di Ibs si ha un’alterazione della motilità in presenza di stimoli normali, come uno stress, l’assunzione del pasto o il dolore mestruale, la spinta di gas o feci. Le terminazioni nervose inviano anche il segnale al cervello. Si instaura insomma una comunicazione difettosa tra i due, tanto da poter definire la malattia “disturbo asse cervello-intestino”.


Le cause sono varie: predisposizione genetica, un’infezione intestinale, stress cronico, eventi traumatici nell’infanzia, problemi psicologici. Per quanto riguarda il cibo, anche se alcuni alimenti (quelli grassi, l’alcol o il caffè) sono più suscettibili di creare disagio, le reazioni sono personali e variabili. Possono dare gonfiore e altre reazioni anche le intolleranze alimentari e perfino la semplice digestione. I pasti abbondanti, poi, non sono certo di aiuto! In ogni caso, una dieta attenta alla flora batterica è importante, visto che pure la disbiosi intestinale (l’alterazione del corretto equilibrio del microbiota, dovuta sia alla dieta sbagliata sia all’abuso di antibiotici) può avere un ruolo. Molti studi la collegano a malattie intestinali, ma anche del sistema nervoso centrale; non solo, riconoscono alla flora batterica alterata un influsso sullo stato mentale, con conseguenze pure sul metabolismo. Il fatto che molti pazienti con Ibs abbiano anche una proliferazione batterica nel tenue (Sibo, Small Intestinal Bacterial Overgrowth) fa pensare a un legame con la malattia; in ogni caso molti studi osservano un’alterazione della flora, cioè una disbiosi. Comunque sia, non è detto che la malattia sia per sempre, ma di certo è lunga. Si presenta con fasi di remissione e può ritornare in determinate condizioni.


Morbo di Crohn e rettocolite ulcerosa

Si tratta di malattie dovute a una risposta infiammatoria e hanno tra i sintomi comuni diarrea cronica (spesso sanguinolenta), calo di peso, inappetenza, affaticamento, nausea, vomito. Entrambe sono malattie croniche e non prevenibili; esistono varie terapie per tenerle sotto controllo e cercare di avere fasi di remissione più lunghe possibili.


Crohn. Può interessare tutto l’intestino fino all’ano, ma quasi sempre riguarda l’ileo, l’ultimo tratto del tenue. La malattia, che ha spesso una predisposizione genetica, è multifattoriale: disbiosi, fumo, alterazione della risposta immunitaria (le difese colpiscono l’intestino, incrementandone l’infiammazione). Se trascurato, il Crohn ha varie complicanze: formazione di restringimenti intestinali o di fistole, che vanno operati; infezioni urinarie; ascessi con pus; ostruzioni intestinali.


Rettocolite ulcerosa. Interessa la mucosa intestinale del colon. Oltre alla predisposizione ci sono alcuni fattori di rischio, a partire dall’età (è più facile sotto i 30 anni), e la colangite sclerosante, che colpisce i dotti biliari del fegato. Può influire sull’esordio anche una dieta con poche fibre e molti lipidi. Le complicanze possono essere rappresentate da anemia, disidratazione, carenze di minerali e vitamine, artriti, maggior rischio di malattie infettive. La complicanza peggiore è il megacolon tossico, che induce una paralisi del colon.


Una pancia più serena. Dieta, attività fisica, astinenza da fumo e alcol, mantenimento del peso forma e rimedi naturali: sono questi gli elementi che aiutano a prevenire le coliti e che possono dare una mano in caso di colon irritabile. Consideriamo prima di tutto i rimedi naturali. Di seguito quelli più efficaci.


Malva e altea. Hanno un effetto emolliente sulle mucose. Da usare negli infusi, la prima anche cruda nelle insalate e scottata nelle zuppe.
Piante carminative. I semi di cumino, coriandolo, anice verde, carvi e finocchio, ma anche lo zenzero, la melissa e la menta hanno la capacità di prevenire la formazione di gas intestinali e di favorirne l’espulsione. La melissa è anche in grado di rilassare la muscolatura del tratto gastrointestinale e ha potere calmante: può quindi rivelarsi utile per gestire il lato psicologico nella sindrome del colon irritabile. Non è comunque l’unica pianta calmante: ci sono anche tiglio, camomilla, passiflora, ecc.


Curcuma. Antinfiammatoria e antiossidante, lavora sulla muscolatura liscia riducendone gli spasmi.


Probiotici. Non tutti gli studi li sostengono, ma per alcuni ceppi è noto da tempo l’uso sicuro ed efficace. I microrganismi dei probiotici sono di origine umana (presenti nell’intestino) e possono superare la barriera gastrica, aderendo alle pareti intestinali a scapito dei batteri cattivi; qui stimolano la produzione di acidi grassi a catena corta come il butirrico, indispensabile per le cellule del colon; una sua carenza è collegabile a infiammazioni intestinali. Anche il tenue beneficia dei probiotici, visto che la disbiosi ne riduce la capacità di assorbire i nutrienti. Una review del 2020 ha esaminato alcuni studi in cui furono somministrati acido lattico e bifidobatteri, rilevando un miglioramento della flora locale, un rafforzamento della barriera e la riduzione del malassorbimento. “Una terapia con probiotici di ceppi specifici può essere un approccio naturale ed efficace nel risanare la barriera dell’intestino tenue e l’eubiosi, portando a un migliorato assorbimento dei nutrienti e della salute, oltre che riducendo l’incidenza e la severità delle malattie del tenue”, si legge nello studio. Perciò è bene non prendere probiotici a caso ma farsi indicare i ceppi utili dal medico.


Fermenti lattici. Questi batteri amici dell’intestino sono capaci di rielaborare il lattosio e sono usati per la fermentazione del latte. Alcuni, detti fermenti lattici probiotici, possono superare la barriera gastrica (es. Lactobacillus acidophilus) e colonizzare l’intestino, ma altri no: è il caso di quelli dello yogurt. Perciò quest’ultimo, se non è addizionato con probiotici, non ha tale effetto sull’intestino, ma è pur sempre utile per la presenza di acido lattico. Un po’ diverso il discorso per il kefir di latte, che contiene molti più ceppi batterici, fra cui alcuni fermenti probiotici.


Prebiotici. A differenza dei probiotici, non sono batteri ma fibre solubili, sostanze non digerite dall’organismo ma capaci di stimolare la crescita del microbiota. Tanti i tipi: tra questi i betaglucani di orzo e avena, dall’efficacia ben dimostrata; ci sono poi amidi, pectina, mannosio e molti altri, ma il più noto è sicuramente l’inulina, abbondante nella radice della cicoria e capace di stimolare la crescita intestinale di lattobacilli e bifidobatteri. Ne risulta un aumento della produzione di acidi grassi a catena corta e un minor rischio di infiammazione e lesioni per la mucosa. In caso di malattia intestinale, l’uso dei prebiotici va valutato dal medico.

Focus sull’aloe. Studi recenti la indicano come un rimedio antinfiammatorio importante per l’intestino, capace di regolarne la motilità e il pH. “L’efficace azione antinfiammatoria e regolatrice intestinale ha fatto sì che l’aloe fosse studiata anche nelle malattie infiammatorie intestinali croniche come il morbo di Crohn e la rettocolite ulcerosa”, scrive il medico omeopata Paolo Giordo nel recente libro Aloe, potere curativo, impiego e preparazione (Terra Nuova, pp. 128, € 12,50). Perché si possa usare, il gel deve essere però privato di una sostanza con effetto irritante, l’alloina. “Un attento ricercatore, Langmead, dopo aver verificato in vitro gli effetti antinfiammatori dell’aloe sulla mucosa intestinale, ha voluto sperimentarne l’azione anche sulla colite ulcerosa in vivo con un rigoroso studio sperimentale”. Effetti positivi anche usando l’aloe in associazione con altre piante come la curcuma e la boswellia. “L’aloe possiede un’azione benefica su tutte le malattie gastrointestinali, anche se è necessario un adattamento nel dosaggio alla situazione e tollerabilità individuale”, avverte il medico. L’azione positiva di questa pianta riguarda anche la sfera psicologica, ideale quindi in caso di colon irritabile.

Mangiare per prevenire. Verdure crude e cotte ma anche fermentate, cereali integrali (in particolare riso, avena e orzo) e frutta riforniscono l’organismo di antiossidanti e fibre. I primi aiutano a ridurre i danni dei radicali liberi sulla mucosa intestinale che, se infiammata e irritata, rischia di perdere l’impermeabilità. Le fibre aiutano a prevenire stitichezza, irritazione, diverticoli (alterazione anatomica dovuta a errati stili di vita) e fenomeni di putrefazione. Chi non è abituato a consumarle può accusare disagio e gonfiore, quindi deve introdurle gradualmente, seguendo le indicazioni del medico, tanto più in presenza di Ibs.

I legumi possono causare gonfiore se il microbiota non è ben bilanciato. Bisogna perciò inserirli gradualmente e accompagnarli a piante carminative. Si può cominciare con fave e ceci, i più digeribili. Una buona idea è passare i legumi con un passaverdure, in modo da eliminare parte delle fibre e, nel caso dei fagioli, anche la buccia.

E la frutta per chi ha i diverticoli? In passato si diceva di evitare per esempio i kiwi, per non rischiare che i granelli penetrino nei diverticoli e li infiammino. Per fortuna uno studio americano condotto su 50mila pazienti ha smentito il rischio, sottolineando invece che questo aumenta mangiando poca frutta e verdura.

I vegetali non si limitano ad aiutare l’intestino nutrendo la flora batterica, cosa già importante; a seconda dei tipi, agiscono anche da antifermentativi, antiputridi, cicatrizzanti per la mucosa. È il caso per esempio di cavoli e carote (ottimi mescolati in un succo). Oltre che antifermentativi, i mirtilli sono antisettici, mentre orzo e patate hanno una funzione emolliente. Il riso integrale è antifermentativo e antinfiammatorio, i carciofi crudi combattono le infiammazioni intestinali. E l’elenco potrebbe proseguire a lungo.

 

FonteIl Fatto Quotidiano

LEGGI TUTTE LE ALTRE NEWS