Coronavirus, cosa ha scoperto la scienza: le mutazioni.

Articolo del 30 Dicembre 2020

Mai era avvenuto un simile sforzo scientifico per conoscere e cercare di contrastare un virus in tempi brevi. Cosa sappiamo finora? Le risposte qui sotto, con i link alle principali pubblicazioni.

Cosa sappiamo della mutazione scoperta in Inghilterra?

Sono diverse le mutazioni intervenute, la più preoccupante si chiama B 1.1.7. o VUI 202012/01 ed è sotto indagine del dicembre 2020. Ma perché, rispetto alle molte segnalate negli ultimi mesi, questa allarma al punto da causare l’isolamento della Gran Bretagna? Quanto è giustificato il panico? Per capirlo bisogna ripercorrere le ultime settimane, e ascoltare chi sta lavorando sul tema.

La variante è in rapida crescita, e al 13 dicembre è stata individuata in oltre 1.100 persone in 60 diversi centri. Ma, soprattutto, è una variante da controllare con estrema attenzione perché contiene ben 17 punti diversi rispetto al virus originale di Wuhan: una cosa mai vista, finora (di solito ce ne sono 2-3). E, ciò che è anche peggio, le alterazioni riguardano almeno tre zone delicatissime del virus, come riferiscono pochi giorni dopo i genetisti coinvolti sia sul British Medical Journal che su Virological.org.

Infatti alcune delle zone che il virus ha cambiato sono nella spike, ed una di queste si trova esattamente nella zona chiamata RBD (da Receptor Binding Domain) dove essa si lega al substrato dell’ospite, il recettore ACE2. Questa mutazione, che è una sostituzione chiamata N501Y, rende il contatto con ACE2 più facile: per questo si pensa che il virus che la contiene possa essere più contagioso. Un’altra è una delezione (cioè il taglio di una parte) e si chiama 69-70del.

La seconda, che è una delezione (cioè il taglio di una parte), si chiama 60-70del, ed è anch’essa su RBD. C’è poi una terza mutazione osservata speciale, chiamata P681H, che si trova in un altro punto (chiamato sito di clivaggio della furina) ben noto per essere cruciale.

In realtà, a oggi, c’è molto dibattito sulle possibili conseguenze di queste anomalie: gli esperti coinvolti stanno cercando di capire se tutto ciò possa o meno mettere a rischio i vaccini e gli anticorpi monoclonali (che potrebbero non riconoscere una proteina diversa da quella contro la quale sono stati progettati), o se possa rendere la malattia più letale.

Tuttavia non ci sono certezze, come emerge chiaramente da uno dei siti dove esprimono le loro opinioni pubblicamente, senza mediazioni giornalistiche: ScienceMediaCentre. Sia Moderna che Pfizer si sono dette ottimiste sul fatto che il loro vaccino possa comunque funzionare. Stanno facendo dei test specifici e le risposte arriveranno a giorni. In caso contrario, avranno bisogno di 6 settimane per aggiornare i vaccini.

Le altre mutazioni

La più famosa  è la D614, nella quale la struttura della proteina spike è leggermente diversa da quella originaria, ormai dominante in tutto il mondo, e soprattutto in Europa, Nord America, alcune zone dell’Asia e in Australia. Oggi l’85% dei genomi inseriti dai ricercatori nei grandi database internazionali è del ceppo G. Già in estate molti tra i ricercatori più accorti ed esperti avevano affermato che, in base al tipo di mutazione, il virus era diventato più contagioso, ma non più maligno, e che i riscontri clinici supportavano tale idea .

Ora arriva una conferma convincente, dalle pagine di Nature: la mutazione D614G rende il virus ancora più infettivo, ma non più letale. E, per fortuna, ha caratteristiche che lasciano ben sperare per quanto riguarda i vaccini che hanno proprio la spike come obbiettivo, ma che sono stati progettati contro la forma originaria del virus: non dovrebbe avere conseguenze. Allo stesso modo, non ce ne dovrebbero essere per quanto riguarda approccio terapeutico basato sugli anticorpi monoclonali, anche se in questo caso è raccomandata una dose supplementare di controlli di efficacia contro i ceppi mutati.

La mappa delle mutazioni rilevate è disponibile e costantemente aggiornata su Nexstrain.org.

 

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