Cosa misura l’indice Rt? Gli indicatori italiani del Covid-19 spiegati bene.

Articolo del 07 Novembre 2020

«Si semo rapati, si semo tagliati, si semo fatti ricrescere, si semo tinti, si semo bruciati, si semo lavati.» Come una ruota che gira, è ritornato in auge il famoso Rt, quello che per settimane avevamo idolatrato, poi snobbato perché da solo non diceva abbastanza, poi recuperato perché forse tanto male non era. Oggi, all’indomani del nuovo DPCM e dei fantastici 21 indicatori su cui il Governo si è basato per la suddivisione dell’Italia in aree gialle, arancioni e rosse, siamo ancora qui a parlare di Rt, e noi a scriverne, sentendoci, appunto, come Ivano in Viaggi di nozze.

R0 o Rt?

Per un certo periodo abbiamo sentito parlare di R0, poi di Rt, e diversi lettori ci chiedevano, giustamente, se fossero due cose diverse, con una sigla così simile.

“Giustamente” nel senso che la risposta è semplice, ma solo per chi ha studiato un po’ di fisica, per esempio. Quando dobbiamo esprimere la misurazione di una grandezza (che possiamo chiamare R) nel tempo, di solito su usa la scrittura R “0” per indicate il valore al tempo “0” cioè all’inizio della misurazione (in fisica classica il tempo non può essere un valore negativo) e R”t” per indicare il valore della grandezza R al tempo “t”, appunto.

Ma quanto è “t”? t è la variabile che indica tutti gli istanti successivi a 0: t può essere un minuto, un’ora, un giorno, un mese” e via dicendo. Rt è una curva che rappresenta un andamento di R nel corso del tempo (t). Nel caso dei rilevamenti ISS, settimana per settimana.

R0 è quindi il numero di riproduzione di una malattia infettiva cioè quante persone sono contagiate da un positivo a inizio epidemia (cioè al tempo 0). È importante avere un valore a inizio epidemia come riferimento, perché è la fase in cui ancora non sono stati messi in campo farmaci o sistemi di contenimento da parte delle società. R0 rappresenta quindi il potenziale di trasmissione, o trasmissibilità, di una malattia infettiva non controllata.

Rt è una “funzione”?

Un’altra cosa che si dice di R0 è che è una “funzione della probabilità di trasmissione per singolo contatto tra una persona infetta ed una suscettibile, del numero dei contatti della persona infetta e della durata dell’infettività.” Spieghiamo: dire che un valore R è una funzione significa solo dire che dipende da altri fattori, che variano anche essi, e si dicono appunto variabili. Si parla di funzione perché in matematica le funzioni le possiamo rappresentare su un piano a due dimensioni (il piano cartesiano) e quindi vedere con i nostri occhi questo andamento, se R sale o cresce al variare di t e delle altre variabili.

Ma quali sono queste variabili da cui dipende R?

  • La probabilità di incontrare le altre persone (più alta se abito in centro a Milano e se ho una vita sociale attiva, minore se faccio il pastore sulle Dolomiti);
  • Il numero di contatti che la persona infetta ha;
  • quanto tempo la persona contagiata è infetta e quindi può mettere in pericolo altre persone.

Eccoci alla definizione di Rt: valore che indica come varia lo stato di contagiosità in una certa zona (a seconda del campione che scegliamo, oggi regionale) al variare del tempo, che a sua volta dipenderà da quali misure le regioni hanno messo in campo e dalla loro efficacia. Questo significa che a differenza di R0, Rt permette ad esempio di monitorare l’efficacia degli interventi nel corso di un’epidemia.

Come si calcola l’Rt?

Ok, ora che abbiamo capito come si definiscono questi indicatori, come si calcolano R0 e Rt? Grazie ai dati sui casi rintracciati giorno per giorno dalla sorveglianza integrata ISS e creando una curva di incidenza di questi casi giornalieri. Stando al DM del 30.04.2020 sul Monitoraggio del Rischio Sanitario, si utilizzeranno due indicatori, basati su data inizio sintomi e data di ospedalizzazione. La soglia indicata per l’allerta ad aprile era Rt minore o uguale a 1. Se superiore a 1 (come è oggi, a novembre), scatta l’allerta perché significa che con le misure vigenti ogni persona si stima ne abbia contagiata almeno un’altra. Ergo: bisogna fare di più, perché in questo modo una parte sempre più consistente finirà a intasare gli ospedali.

Ovviamente non significa – come disse Gallera a maggio –  che con un Rt=0,5 ci vogliono due persone per contagiarne una. Basta sempre un positivo da solo per contagiare un’altra persona. Rt=0,5 significa che in quel momento grazie alle misure messe in campo 1000 persone positive ne contageranno in media “solo” circa altre 500, non altre 1000 e quindi che se questo Rt rimane stabile l’epidemia piano piano va riducendosi.

Cosa non dice l’Rt

Un elemento non secondario nel calcolo dell’Rt è che si è calcolato solo sui casi sintomatici (ospedalizzato o meno) e non sugli asintomaticiQuesto perché – spiega ISS- i sintomatici sono casi certi: il numero di infezioni sono individuate secondo criteri sufficientemente stabili nel tempo. Mentre il dato sugli asintomatici ha più probabilità di essere opaco, perché dipende  pesantemente da altre variabili, come la capacità di effettuare screening da parte dei dipartimenti di prevenzione e questa può variare molto nel tempo. È quindi più facile che ci siano asintomatici che non sanno di essere positivi perché non stando male non hanno mai chiesto un tampone o perché non sono mai rientrati in alcun programma di screening. In realtà a inizio settembre l’INFN (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare) ha diffuso delle  stime sull’Rt che tengono conto degli asintomatici, arrivando a un Rt=3.

Matematicamente è tutto molto onesto, ma è evidente che un Rt che tiene conto solo dei sintomatici, quindi di una piccola parte dei positivi (anche gli asintomatici sono contagiosi) non può essere l’unico parametro, e forse nemmeno il principale, per decisioni di carattere politico per il contenimento di una pandemia.

Ps: per chi conosce bene la matematica, Rt si calcola usando un metodo statistico consolidato in epidemiologia (qui ) a questa funzione di verosimiglianza:

(La spiegazione dell’ISS è qui )

Dove, oltre a R(t):

  • P(k; λ) è la densità di una distribuzione Poisson, ovvero la probabilità di osservare k eventi se questi avvengono a una frequenza media λ.
  • C(t) è il numero di casi sintomatici con data di inizio sintomi al giorno t, con t=1,…,T
  • I(t) è il numero di casi sintomatici importati da un’altra regione o dall’estero aventi data inizio sintomi nel giorno t; essendo un sottoinsieme di C(t), si ha che C(t) >= I(t) a ogni t.
  • p(T) è la distribuzione del tempo di generazione (una distribuzione gamma con parametri di shape = 1.87 e rate = 0.28, stimata su dati della Regione Lombardia).

 

Fonte:IlSole24Ore

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