Cosa sono i calcoli renali e come possiamo prevenirli?

Articolo del 30 Giugno 2022

calcoli renali sono dei piccoli sassolini fatti di elementi abitualmente presenti nelle urine, i cosiddetti sali urinari. In condizioni particolari questi possono precipitare e formare cristalli, che aggregandosi si depositano nelle vie urinarie. Il loro viaggio di solito parte dal rene fino ad arrivare all’uretra, da cui vengono espulsi mediante la pipì. In condizioni fisiologiche, il nostro organismo utilizza sostanze come il citrato e il magnesio per impedire la precipitazione e l’aggregazione dei cristalli con la successiva formazione del calcolo. La riduzione di questi sali nelle urine è una delle cause di questo disturbo.

Come e perché si formano i calcoli renali?

La calcolosi renale, detta in gergo tecnico nefrolitiasi, si forma quando nelle urine aumenta la concentrazione di alcuni sali quali calcio, acido urico, ossalato (chiamati per questo motivo sali litogeni), con conseguente sviluppo di cristalli urinari. L’unione di più cristalli porta poi alla nascita del calcolo vero e proprio.

Nei casi più frequenti il calcolo si forma nella pelvi, una specie di bacinetto che raccoglie l’urina prodotta dal rene, per poi immettersi nel tubicino che porta l’urina dalla pelvi alla vescica (l’uretere). Da lì il calcolo, in genere, percorre tutto l’uretere, sbuca nella vescica e viene espulso con le urine.

Quanti tipi di calcoli renali esistono?

Esistono diversi tipi di calcoli:

  • calcoli formati dai sali di calcio, i più comuni;
  • calcoli formati da acido urico;
  • calcoli di Struvite, derivanti dalla presenza di una specifica infezione delle vie urinarie, causata da germi chiamati ureasi produttori;
  • calcoli formati da cistina, causati da una malattia rara ereditaria, la cistinuria.

Ci sono poi calcoli come quelli di Xantina ed altri ma si trovano in corso di malattie veramente molto rare.

Sintomi dei calcoli renali

La sintomatologia della calcolosi renale è variabile ma spesso il passaggio di un calcolo lungo la via urinaria provoca un dolore acuto al fianco o dietro la schiena, dal lato del rene interessato, con irradiazione anteriore verso l’inguine (colica renale).

Se il calcolo è molto piccolo, può succedere che il dolore non sia così importante e che si avverta solo bruciore ad urinare. Lungo il passaggio nell’uretere, il calcolo può causare anche un altra serie di sintomi di intensità variabile quali:

  • frequente necessità di urinare
  • difficoltà nell’urinare
  • urine torbide
  • presenza di sangue nelle urine
  • urine di cattivo odore
  • nausea e vomito.

Quando il calcolo è piuttosto grosso, invece, può succedere che si incastri nell’uretere, bloccando il passaggio dell’urina. Questo evento può da un lato causare contrazioni molto forti alla muscolatura dell’uretere (colica renale), che cerca in tutti i modi di espellere il calcolo spingendolo nella vescica, dall’altro può impedire al rene di funzionare, causando un peggioramento della funzione renale e un aumento della creatinina. Se l’ostruzione persiste per lungo tempo, purtroppo, può succedere che il rene venga danneggiato irreversibilmente.

Inoltre, la presenza di calcoli renali può favorire lo sviluppo di infezioni urinarie, che possono causare la comparsa di febbre. In presenza di calcoli ostruttivi dell’uretere, infatti, gli agenti patogeni possono risalire lungo le vie urinarie fino ad arrivare al rene, portando infezione, spesso grave, anche qui (pielonefrite). In tal caso si assite alla comparsa di febbre molto alta, brividi e profondo senso di prostrazione, che possono sfociare in un ricovero ospedaliero.

Diagnosi dei calcoli renali

Per fare la diagnosi di nefrolitiasi vengono effettuati esami strumentali e di laboratorio.

Prima di tutto si esegue un esame delle urine sia per escludere presenza di tracce di sangue (ematuria) che per valutare il tipo di cristalli eliminati con le urine.

In caso di ostruzione della via urinaria ci può essere un aumentato livello di azotemia e creatinina, indicativi di insufficienza renale.

Successivamente si passa ad una ecografia dei reni per visualizzare la sede, il numero e le dimensioni dei calcoli. L’ecografia in corso di colica è anche importante per vedere se le vie urinarie sono dilatate a causa del calcolo ostruente (idronefrosi).

Parte essenziale del processo diagnostico è l’analisi della composizione del calcolo, una volta espulso. Oggi abbiamo a disposizione metodi più accurati rispetto al semplice esame chimico-fisico (esempio esame spettrofotometrico a raggi infrarossi). Infatti è possibile ottenere informazioni precise sul tipo di calcolo e sulla causa della sua formazione.

Quali sono i fattori di rischio dei calcoli renali?

Il sesso è sicuramente un fattore di rischio. Gli uomini tra i 20 e i 40 anni, hanno una maggiore probabilità rispetto alle donne di sviluppare nefrolitiasi. Gli estrogeni sembrano infatti proteggere dalla formazione dei calcoli e il rischio nelle donne aumenta dopo la menopausa, quando i livelli di citrato urinario tendono a ridursi.

Un importante e comune fattore di rischio è la scarsa assunzione di liquidi: urine molto concentrate favoriscono la formazione e la precipitazione di cristalli urinari.

Altri fattori di rischio che possono portare alla formazione di calcoli renali sono:

  • disidratazione, causata ad esempio da diarrea o da eccessiva sudorazione per temperature troppo alte;
  • urine acide, con pH inferiore a 5;
  • familiarità per nefrolitiasi;
  • infezioni croniche delle vie urinarie;
  • utilizzo di farmaci che possono indurre la formazione di cristalli urinari (come i gastroprotettori, vedi sotto);
  • eccessivo utilizzo di integratori di alcune vitamine;
  • patologie come la gotta o l’iperparatiroidismo.

Come prevenire la formazione dei calcoli renali?

Per evitare che si formino calcoli renali, è molto importante assumere una adeguata quantità di acqua, in modo tale da mantenere le urine sempre chiare. Ci sono studi che lo confermano: avere un’idratazione giornaliera pari o superiore ai 2 litri limita le recidive, che sono frequenti per questo tipo di patologia.

Un altro consiglio: ridurre sensibilmente il consumo di sale e di proteine animali, come carne, pesce e uova. Contrariamente a quello che si pensava fino a qualche anno fa, la dieta deve essere a normale contenuto di calcio. Cioè, non bisogna bandire alimenti come latte e yogurt. La carenza di calcio può creare problemi alle ossa, soprattutto se il paziente tende a perdere molto calcio nelle urine. Questo spiega perché, in certi pazienti, calcoli e osteoporosi possono coesistere.

Quali sono i trattamenti e le terapie per curare i calcoli renali?

Generalmente, un calcolo piccolo (con un diametro inferiore ai 6 millimetri) può essere espulso spontaneamente. Però, man mano che le dimensioni aumentano, questo evento diventa sempre più difficile, tanto da rendere necessario l’intervento terapeutico.

Fino a un pò di tempo fa, si procedeva chirurgicamente: il calcolo veniva frammentato in pezzi più piccoli oppure veniva asportato.

Poi, c’è stato l’avvento della litotripsia, una tecnica poco invasiva e più sofisticata che attraverso l’utilizzo di onde d’urto, frammenta i calcoli, che vengono poi eliminati tramite le urine, senza bisogno di chirurgia.

Dal punto di vista farmacologico, oltre alla prescrizione di analgesici per curare la sintomatologia dolorosa, il medico decide quale farmaco prescrivere in base alla composizione del calcolo, all’esito di alcuni esami del sangue e delle urine e alla gravità del problema. Ad esempio, l’Allopurinolo viene utilizzato per via orale per trattare calcoli formati da acido urico. Oppure, si passa agli antibiotici in alcuni casi di calcolosi di Struvite, dal momento che questo tipo di nefrolitiasi è favorita proprio dalla presenza di infezioni urinarie batteriche. Un’altra terapia farmacologica che previene la formazione di nuovi calcoli renali è quella a base di citrato di potassio. Come spiega Piero Ruggenenti, responsabile del Dipartimento di Medicina Renale e Direttore dell’Unità di Nefrologia dell’ospedale Papa Giovanni XXIII, il citrato contenuto nel farmaco, venendo eliminato nelle urine, impedisce che i cristalli di ossalato di calcio precipitino, formando poi i calcoli. Purtroppo, però, il citrato di potassio presenta diversi effetti collaterali, che spingono, col passare del tempo, i pazienti ad abbandonare la cura, esponendosi al rischio che si ripresentino nuovi calcoli.

Quali sono gli studi del Mario Negri sui calcoli renali?

Alla luce degli effetti collaterali dei farmaci a base di citrato di potassio, i ricercatori del Dipartimento di Medicina Renale hanno pensato di testare l’efficacia di una fonte naturale di citrato: il succo di limone.

I ricercatori hanno quindi disegnato uno studio (NCT01217372) in cui sono stati valutati gli effetti dell’assunzione di 60 mL di succo di limone fresco due volte al giorno in aggiunta alla dieta povera di proteine animali e di sale che viene raccomandata a tutti i pazienti affetti da calcolosi. Il gruppo di controllo assumeva la stessa dieta ma senza la supplementazione di succo di limone.

Lo studio, da poco pubblicato sulla autorevole rivista scientifica eClinicalMedicine del gruppo The Lancet, ha coinvolto pazienti che avevano sofferto di nefrolitiasi di calcio-ossalato e che si erano rivolti per le cure all’Unità di Nefrologia dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, tra il 2009 e il 2017. Le analisi hanno evidenziato che l’integrazione con succo di limone fresco come supplemento di citrato in una dieta standard (a ridotto contenuto di proteine animali e di sale) ha un effetto protettivo verso la formazione di nuovi calcoli renali in pazienti che ne hanno già sofferto. Come spiega Maria Rosa Caruso, Nefrologa del Papa Giovanni ed esperta di calcolosi renale, questo effetto sembrava favorito da una riduzione dell’escrezione urinaria di sodio, effetto che riduceva la concentrazione di sali nelle urine riducendone la precipitazione, e prevenendo quindi da un lato la formazione di nuovi calcoli e dall’altro favorendo la dissoluzione e l’espulsione di quelli già esistenti. Purtroppo, però alcuni pazienti hanno sofferto di disturbi gastrici, provocati dalla protratta assunzione di succo di limone. Probabilmente, questo è stato un motivo che ha portato alcuni pazienti a ridurre o sospendere l’assunzione di succo di limone e di conseguenza a ridurne l’efficacia a lungo termine.

Gli inibitori di pompa protonica (IPP) e gli antiacidi possono causare calcolosi renale?

Studi epidemiologici documentano un aumentato rischio di sviluppare calcoli renali, fino a danni renali cronici, se si assumono in maniera continua inibitori di pompa protonica (IPP) allo scopo di prevenire bruciori e dolore gastrico e le conseguenze del reflusso gastro-esofageo. Certe volte questi farmaci, che sono comunque molto sicuri, potrebbero essere evitati con piccoli cambiamenti dello stile di vita. Quando questo non è sufficiente ed è necessario assumere periodicamente o costantemente i gastroprotettori si dovrebbe quindi porre particolare attenzione agli accorgimenti utili a prevenire la formazione di calcoli (come ad esempio bere molta acqua, ridurre l’assunzione di proteine animali e di sale con la dieta e, sulla base del recente studio del Mario Negri, bere regolarmente anche un po’ di succo di limone – purché sia ben tollerato). Inoltre alla comparsa dei primi sintomi suggestivi della presenza di un calcolo ci si dovrebbe immediatamente rivolgere al medico di famiglia per i provvedimenti del caso.

Quanto agli antiacidi, è possibile che l’assunzione di quelli che contengono calcio si associ ad un aumentato rilascio di calcio, appunto, nelle urine (ipercalciuria), favorendo così la formazione di calcoli. Anche se il rapporto tra calcio ingerito e calcolosi renale non è automatico, anche in questo caso bisognerà porre particolare attenzione agli accorgimenti utili a prevenire la formazione di calcoli. A prescindere dagli effetti di questi farmaci, ogni qual volta vi sia il sospetto di una propensione alla formazione di calcoli (altri famigliari affetti da calcolosi, pregressa espulsione di un calcolo), il primo passo da compiere è valutare con il proprio medico se sia opportuno eseguire degli esami di laboratorio che consentano di tracciare una sorta di “profilo di rischio” individuale e prendere poi i provvedimenti del caso.

 

Fonte: IMN

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