Covid-19, vitamina D tra le misure di prevenzione. Il punto con il Prof. Giancarlo Isaia in merito alle evidenze scientifiche sul ruolo preventivo di tale sostanza.

Articolo del 21 Ottobre 2020

Quali sono gli studi, nazionali e internazionali, che dimostrano come tra le misure di prevenzione (ma anche di cura) del COVID-19 un ruolo importante sia svolto dalla  Vitamina D, facendo emergere l’opportunità di una sua integrazione non solo nei contagiati, ma anche nei loro familiari, nel personale sanitario, nelle persone più anziane o in chi ne presenti carenza?
Numerosi e antichi sono gli studi, sia clinici che sperimentali, che hanno focalizzato il ruolo della Vitamina D nella prevenzione delle infezioni dell’apparato respiratorio, a cominciare dal suo effetto sul micobatterio della tubercolosi che a fine Ottocento, pur senza che gli studiosi di allora conoscessero l’esistenza della Vitamina D, diede avvio alla costruzione dei sanatori in tutta Italia, secondo un piano di localizzazione su base provinciale. La Vitamina D è nota da tempo per il suo ruolo nella mineralizzazione ossea e nell’omeostasi del calcio, ma svolge un ruolo importante in numerosi altri organi e apparati: ad esempio, nelle malattie cardio-vascolari, nelle malattie autoimmuni, in alcuni tipi di tumori, nel diabete, senza peraltro che ne sia mai stato dimostrato un rapporto causale. Recentemente ne è stato dimostrato un ruolo immunomodulatore, in particolare sull’immunità innata, ma anche su quella acquisita, e anche un suo effetto antagonista sulla replicazione virale nelle vie respiratorie. Pertanto, la Vitamina D può essere considerata uno strumento potenzialmente utile nel combattere le infezioni virali, ma sono necessari ulteriori studi per comprendere meglio il ruolo in questo contesto.

Può citare uno studio in particolare?
Tra i tanti, una analisi retrospettiva del Terzo Questionario “National Health and Nutrition examination” (Salute e Nutrizione Nazionale) condotta su 18.883 pazienti, che ha mostrato come livelli di Vitamina D inferiori a 30 ng/mL fossero associati a un aumento del rischio di infezioni dell’alto albero respiratorio. Pazienti con livelli inferiori a 10 ng/mL, quando sottoposti a controlli, presentavano un rischio del 55% di infezione, mentre, nei pazienti con normali livelli di Vitamina D, un suo supplemento apportava un beneficio anti-virale limitato. Ma gli studi su questa particolare azione della Vitamina D si sono intensificati nell’ultimo decennio e nel 2014 uno studio aggiornato  “Vitamin D: un nuovo agente anti infettivo?” ha esaminato le interazioni fra la carenza di Vitamina D, il sistema immunitario e le patologie infettive, sottolineando l’associazione tra di essa e numerose infezioni, come quelle respiratorie, ma anche con infezioni  enteriche, l’otite media, le infezioni da Clostridium, le vaginosi, le infezioni del tratto urinario, la sepsi, l’influenza, la dengue, l’epatite. Ciò perché la Vitamina D ha la capacità di favorire l’espressione di peptidi antimicrobici (catelicidina e beta-defensine), che sono dotati di attività antivirale e immunomodulatoria. Inoltre, una metanalisi del 2017 ha preso in considerazione 25 studi randomizzati ed ha evidenziato che la supplementazione con Vitamina D riduce di due terzi l’incidenza di infezioni respiratorie acute nei soggetti con livelli di 25(OH)D inferiori a 16 ng/ml.

La Vitamina D svolgerebbe quindi un ruolo attivo o proattivo nella lotta contro il Virus e nella prevenzione di quest’ultimo? Si tratta di una relazione biunivoca e concausale oppure semplicemente di una correlazione?
Gli studi ci dicono che sono presenti valori ridotti di Vitamina D in pazienti con polmonite acuta acquisita in comunità, e anche che una concentrazione normale di 25(OH)D si associa al dimezzamento del rischio di infezioni respiratorie acute dell’apparato respiratorio. La prevalenza di Ipovitaminosi D è stata riscontrata nell’80% dei pazienti ospedalizzati con polmonite acquisita in comunità. Trattasi di rilievi che fanno pensare alla presenza di una suggestiva associazione, e non ancora di un rapporto causale.

Secondo quali meccanismi il ruolo della Vitamina D è implicato non solo nella salute dell’albero respiratorio, ma anche in quello cardiovascolare?
Dati recenti hanno evidenziato che l’Ipovitaminosi D attiva il sistema renina angiotensina che modula la produzione di aldosterone, un ormone ad effetto ipertensivo prodotto dal surrene, con conseguenti maggiore frequenza di crisi ipertensive e di scompensi cardiaci, soprattutto in persone già ipertese o con funzionalità cardio-vascolare compromessa.

Quali sono i valori di Vitamina D al di sotto dei quali si ritiene necessaria una sua integrazione? Si possono raggiungere livelli elevati senza effetti collaterali?
Sicuramente una integrazione è necessaria in presenza di valori di Vitamina D  inferiori a 20 ng/ml, ma in particolari categorie di soggetti (anziani, comunità religiose, residenti in  RSA, pazienti con molte patologie) conviene raggiungere almeno i 30 ng/ml. In ogni caso gli effetti collaterali del Colecalciferolo sono molto rari, mentre, se si usano i suoi metaboliti idrossilati (Calcifediolo e Calcitriolo) è possibile, anche se non molto frequente, che si manifestino, con la loro somministrazione prolungata, ipercalcemia, ipercalciuria e calcolosi renale.

Potrebbe essere proponibile la somministrazione di Vitamina D in acuto e per via endovenosa in pazienti in CONAD 19 con funzionalità respiratoria particolarmente compromessa?
Gli studi nei ratti ci dicono che il Calcitriolo (la forma attiva della Vitamina D) si è dimostrato efficace nel ridurre il danno polmonare acuto indotto nei ratti da lipopolisaccaridi, attraverso un effetto sul sistema renina-angiotensina-aldosterone; poiché mancano dati sperimentali nell’uomo, abbiamo sottoposto all’AIFA un progetto di sperimentazione che prevede la somministrazione per via endovenosa di Calcitriolo nei pazienti in respirazione assistita o intubati.

 

Fonte: Elisir di Salute