Covid, come fanno in Cina a processare milioni di tamponi al giorno.

Articolo del 26 Ottobre 2020

Una delle principali differenze fra la prima ondata della scorsa primavera e la seconda che stiamo vivendo in questi giorni riguarda il numero di tamponi effettuati quotidianamente. Il numero è cresciuto vistosamente. Quasi triplicato, rispetto ai record registrati nei giorni del lockdown. E il motivo è abbastanza semplice, oltre che valido. Testare più persone, andando a scandagliare anche fra chi non presenta alcun sintomo, è un metodo molto efficace per provare a tenere traccia del virus, vedere come si muove, bloccare nuove infezioni.

Diversamente, testare (come succedeva a marzo) solo le persone gravemente sintomatiche, è un’arma a doppio taglio: se apparentemente diminuiscono i numeri dei casi positivi giornalieri, in realtà moltissimi infetti – seppur senza sintomi – rimangono non isolati, dunque a contatto col resto della comunità. E il risultato è abbastanza chiaro. Il metodo dei tamponi di massa, dunque, è un pilastro delle ormai famose 3T (test, tracciamento e trattamento) che hanno consentito ad alcuni Paesi asiatici di controllare meglio questa pandemia. L’esempio più esasperato arriva dalla Cina, dove gli esempi di tamponi di massa sono numerosi e raccontano una storia molto interessante, davanti alla quale i circa 180mila tamponi che in Italia processiamo ogni giorno diventano infinitamente pochi.

Da Wuhan a Qingdao

La Cina, terra madre del coronavirus, oggi vanta contagi zero. E benché i numeri forniti da Pechino facciano storcere un po’ il naso, la ripresa economica e l’esplosione turistica raccontano di un Paese che sembra essere riuscito veramente a mettere il virus alla porta. La strategia del tampone per tutti, in Cina, è iniziata a Wuhah, capitale dell’Hubei e primo focolaio di questa pandemia. Il 10 maggio a Wuhan registrano il primo caso positivo dopo oltre un mese (dal 3 aprile, per la precisione). E un’altra decina di casi arrivano dalla provincia. La svolta delle autorità è decisa: dal 14 maggio al 1 giugno testano tutti gli abitanti, circa 10 milioni di abitanti. La cosa si ripete a Pechino, a inizio luglio: un piccolo focolaio spaventa le autorità che ordinano alcuni lockdown di quartiere e fanno 7milioni di tamponi in circa tre giorni: ne trovano 328 positivi e li isolano. Più recente, invece, il caso di Qingdao, dove dopo aver riscontrato 12 positivi, le autorità locali hanno deciso di testare tutta la popolazione: circa 10 milioni di tamponi in soli 5 giorni.

Il metodo del batch testing

Ma come fa la Cina ad analizzare così tanti tamponi in così poco tempo? Nei tamponi, come abbiamo imparato sulla nostra pelle, il vero problema non è il prelievo quanto l’analisi. Se oggi in Italia effettuassimo 1 milione di tamponi in un giorno, i laboratori andrebbero in tilt, non riuscendo a processarli tutti in poche ore. E questo è lo stesso problema che ha dovuto affrontare la Cina, con l’aggravante di avere a che fare con megalopoli da 10 milioni di abitanti. Da qui l’idea del “batch testing”, un metodo che combina 10 campioni alla volta durante i test. Se un lotto risulta positivo, tutte e 10 le persone vengono messe in quarantena e testate individualmente. In sostanza, insomma, le autorità sanitarie cinesi raccolgono in un unico contenitore più tamponi di diverse persone (decine, ma alcuni sostengono anche centinaia).

Poi effettuano l’analisi dell’intero contenitore e non dei singoli tamponi, riducendo in maniera drastica il numero di analisi necessarie da fare. Se l’analisi del contenitore dà esito negativo, le persone di quel lotto vengono dichiarate negative. Se, al contrario, l’analisi del contenitore si rivela positiva al coronavirus, le persone del gruppo vengono tutte immediatamente richiamate per effettuare a ciascuno di loro un nuovo tampone, che questa volta viene analizzato singolarmente per individuare i positivi. Questo metodo, chiamato anche “pooled testing” è stato approvato anche dalla Food and Drug Administration americana.

 

Fonte24+ de IlSole24Ore