COVID e perdita dell’olfatto: iniziano a emergere le risposte

Articolo del 20 Giugno 2022

Anche se nelle forme della malattia legate alle nuove varianti di SARS-CoV-2 questo disturbo è sempre meno diffuso, potrebbero essere decine di milioni nel mondo le persone che, dopo essere guarite, sono ancora affette da varie forme di alterazioni dell’olfatto. Ricercatrici e ricercatori stanno ora capendo meglio le cause e le possibili terapie.

I ricercatori stanno finalmente facendo progressi nel comprendere come il coronavirus SARS-CoV-2 causi la perdita dell’olfatto. E sono in fase di sperimentazione clinica numerosi potenziali trattamenti per affrontare la condizione, tra cui steroidi e plasma sanguigno.

Già segno rivelatore di COVID-19, l’alterazione dell’olfatto sta diventando meno comune con l’evoluzione del virus. “Le nostre caselle di posta elettronica non sono più così piene come un tempo”, afferma Valentina Parma, psicologa al Monell Chemical Senses Center di Filadelfia, che ha contribuito a raccogliere le disperate richieste dei pazienti durante i primi due anni della pandemia.

Uno studio pubblicato il mese scorso ha esaminato 616.318 persone negli Stati Uniti che hanno avuto COVID-19. È emerso che, rispetto a coloro che erano stati infettati dal virus originale, le persone che avevano contratto la variante Alpha – la prima variante preoccupante – avevano il 50 per cento di probabilità di avere disturbi chemio-sensoriali. Questa probabilità è scesa al 44 per cento per la successiva variante Delta e al 17 per cento per l’ultima variante, Omicron.

Ma le notizie non sono tutte positive: una parte significativa delle persone infettate nelle prime fasi della pandemia continua a sperimentare effetti chemio-sensoriali. Uno studio del 2021 ha seguito 100 persone che avevano avuto casi lievi di COVID-19 e 100 persone che erano ripetutamente risultate negative. Più di un anno dopo l’infezione, il 46 per cento di coloro che avevano avuto COVID-19 aveva ancora problemi di olfatto; al contrario, solo il dieci per cento del gruppo di controllo aveva sviluppato una perdita dell’olfatto, ma per altri motivi. Inoltre, alla fine dell’anno il sette per cento di coloro che erano stati infettati presentava ancora una perdita totale dell’olfatto, o “anosmia”. Dato che nel mondo sono stati confermati oltre 500 milioni di casi di COVID-19, è probabile che decine di milioni di persone abbiano ancora problemi di olfatto.

Per queste persone, l’aiuto non arriverà mai abbastanza presto. Attività semplici come assaggiare il cibo o sentire l’odore dei fiori sono ora “davvero emotivamente angoscianti”, afferma Parma.

Nuclei strapazzati

Un quadro più chiaro di come SARS-CoV-2 causi questo disturbo dovrebbe aiutare a ottenere terapie migliori per la malattia. All’inizio della pandemia, uno studio ha dimostrato che il virus attacca le cellule del naso che forniscono nutrimento e supporto ai neuroni che percepiscono gli odori, ossia le cellule sustentacolari.

Da allora sono emersi indizi su ciò che accade ai neuroni olfattivi dopo l’infezione. I ricercatori, tra cui il biochimico Stavros Lomvardas della Columbia University a New York, hanno esaminato le persone decedute a causa di COVID-19 e hanno scoperto che, sebbene i loro neuroni fossero intatti, avevano un numero inferiore rispetto al solito di recettori incorporati nella membrana per rilevare le molecole di odore.

COVID e cervello: come si verifica il danno

Questo perché i nuclei dei neuroni erano stati stravolti. Normalmente, i cromosomi di questi nuclei sono organizzati in due compartimenti, una struttura che consente ai neuroni di esprimere specifici recettori degli odori ad alti livelli. Ma quando il gruppo ha esaminato i neuroni sottoposti ad autopsia, “l’architettura nucleare era irriconoscibile”, afferma Lomvardas.

Altri studi danno indizi sul perché solo alcune persone subiscono una perdita dell’olfatto a lungo termine. A gennaio, un gruppo di ricercatori ha riferito di aver trovato una mutazione genetica nelle persone associata a una maggiore propensione alla perdita dell’olfatto o del gusto. La mutazione – un cambiamento di una singola “lettera”, o base, del DNA – è stata riscontrata in due geni sovrapposti, chiamati UGT2A1 e UGT2A2. Entrambi codificano per proteine che rimuovono le molecole di odore dalle narici dopo che sono state rilevate. Ma non è ancora chiaro come SARS-CoV-2 interagisca con questi geni.

Esistono anche prove di cambiamenti duraturi nel cervello delle persone con perdita dell’olfatto. In uno studio pubblicato a marzo, 785 persone nel Regno Unito sono state sottoposte a due scansioni cerebrali. Tra una scansione e l’altra, circa 400 persone sono state infettate da COVID-19, quindi gli scienziati hanno potuto osservare i cambiamenti strutturali. I guariti da COVID-19 hanno mostrato diversi cambiamenti, compresi i marcatori di danno tissutale nelle aree collegate al centro olfattivo del cervello. Non è chiaro il motivo di questo fenomeno, ma una possibilità è la mancanza di input. “Quando si interrompe l’input dal naso, il cervello si atrofizza”, dice Danielle Reed, genetista anch’essa al Monell. “È una delle cose più chiare che sappiamo sul gusto e sull’olfatto.”

Trattamenti in fase di sperimentazione

Nel frattempo si stanno esplorando molti trattamenti, spesso in piccoli studi clinici. Ma è ancora presto, quindi l’unica
raccomandazione della maggior parte dei ricercatori per ora è l’addestramento all’olfatto. Ai pazienti vengono dati da annusare campioni di sostanze dall’odore forte, invitandoli a cercare di identificarli, con l’obiettivo di indirizzare il ripristino della segnalazione olfattiva. Tuttavia, il metodo sembra funzionare solo con le persone che hanno una perdita parziale dell’olfatto, dice Reed. Ciò significa che aiuta circa un terzo delle persone che hanno subito un’alterazione chemio-sensoriale dopo COVID-19, aggiunge Parma.

Per trovare trattamenti per tutti gli altri, molti ricercatori stanno studiando gli steroidi, che riducono l’infiammazione. È noto che COVID-19 scatena un’ampia infiammazione, che potrebbe avere un ruolo nell’alterazione dell’olfatto. Quindi, in teoria, gli steroidi potrebbero essere d’aiuto, ma in pratica i risultati sono stati deludenti. Per esempio, uno studio del 2021 ha sottoposto a training olfattivo 100 persone con anosmia post-COVID. Cinquanta di loro hanno ricevuto anche uno spray nasale con lo steroide mometasone furoato, mentre gli altri 50 non lo hanno ricevuto. Non è stata riscontrata alcuna differenza significativa nei risultati tra i due gruppi.

Un’altra possibilità terapeutica è il plasma ricco di piastrine, ricavato dal sangue dei pazienti e ricco di sostanze biochimiche che potrebbero indurre la guarigione. Uno studio pilota pubblicato nel 2020 ha seguito sette pazienti a cui è stato iniettato plasma ricco di piastrine nel naso: cinque hanno mostrato miglioramenti dopo tre mesi. Analogamente, un preprint pubblicato nel febbraio di quest’anno ha seguito 56 persone e ha scoperto che il plasma ricco di piastrine le rendeva più sensibili agli odori. Ma si tratta di “numeri davvero piccoli”, afferma Carl Philpott, esperto di rinologia e olfattologia alla University of East Anglia a Norwich, Regno Unito. Un gruppo con sede negli Stati Uniti sta ora avviando uno studio più ampio.

A differenza dei vaccini contro COVID-19, che sono stati testati a una velocità senza precedenti grazie all’enorme sostegno del governo, i trattamenti per la disfunzione chemio-sensoriale post-COVID procedono a rilento. Philpott è nelle fasi iniziali di un piccolo studio sulla vitamina A, che secondo precedenti esperimenti potrebbe aiutare in altre forme di perdita dell’olfatto. “La realtà è che lo studio richiederà il resto dell’anno e probabilmente ci vorrà la metà dell’anno prossimo prima di analizzare i dati e di redigere un rapporto”, dice Philpott. “Se troveremo un beneficio, il nostro prossimo compito sarà richiedere ulteriori finanziamenti per realizzare una sperimentazione completa.”

 

Fonte: Le Scienze

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