Covid, lo studio italiano: “Sono le polveri sottili e non l’inquinamento in generale a influire su contagi e mortalità”

Articolo del 10 Gennaio 2021

Gli scienziati Mauro Minelli e Antonella Mattei hanno spiegato che è l’esposizione al PM2.5 (comunemente definite polveri sottili) fa sviluppare al corpo umano la proteina ACE2 che “diventa una sorta di serratura per il virus e soprattutto per la sua azione nociva sull’organismo”. Per questo in altre zone inquinate d’Italia, come Taranto, ma con bassi livelli di PM2.5, la diffusione non è stata così massiccia come in Lombardia e Veneto, dove invece questi livelli sono più alti.

La proteina che protegge l’organismo dai danni delle polveri sottili (precisamente il PM2.5) è la stessa che favorisce l’azione dannosa del Sars Cov-2. È quanto sostiene lo studio portato avanti da Mauro Minelli, immunologo e visitor professor di immunologia clinica nell’Università di studi Europei “J.Monnet”, con la dottoressa Antonella Mattei, ricercatrice di Statistica Medica presso il Dipartimento di Scienze della Vita e dell’Ambiente dell’Università degli Studi dell’Aquila. Lo studio, infatti, afferma che non è l’inquinamento atmosferico generalmente inteso una delle cause della maggiore incidenza dell’infezione sulla popolazione mondiale, ma gli effetti dell’esposizione delle persone al PM2.5, cioè un mix di polveri sottili prodotte da industrie, veicoli e altre sorgenti, con particelle dal diametro inferiore o uguale a 2,5 micron, cioè millesimi di millimetro. Il lavoro di Minelli e Mattei ha approfondito il legame associativo tra i tassi d’incidenza Covid-19 e due inquinanti ambientali rappresentati, oltre che dal PM2.5, anche dal biossido d’azoto (NO2), correlati a due ulteriori fattori: l’indice di vecchiaia e la densità di popolazione.

“Abbiamo visto – ha spiegato Minelli a ilfattoquotidiano.it – che l’esposizione aumenta il tasso d’incidenza del Covid di 2,79 ammalati per 10mila persone se la concentrazione di PM2.5 aumenta di un microgrammo per metro cubo d’aria, e di 1,24 ammalati per 10mila persone se la concentrazione di NO2 aumenta di un microgrammo per metro cubo d’aria”.

Lo studio, quindi, mira ad evidenziare come l’emergenza sanitaria sia strettamente connessa a una specifica “dinamica ecologica”. Il nostro organismo, infatti, quando è lungamente esposto al PM2.5 sviluppa una proteina chiamata “ACE2” per difendersi da quelle polveri, ma proprio quella proteina diventa una trappola: “ACE2 – ha chiarito Minelli – diventa una sorta di serratura per il virus e soprattutto per la sua azione nociva sull’organismo”. Questa tesi spiegherebbe l’elevato tasso di incidenza, e poi anche di mortalità da Covid-19, nelle regioni del Nord rispetto a quelle del centro-sud. “Per confermarlo – aggiunge l’immunologo – basterebbe analizzare i dati di Taranto e della sua provincia, notoriamente una delle più inquinate d’Italia, ma che da anni non registra più livelli significativi proprio di PM2.5 come rilevato dalle centraline dell’Arpa Puglia distribuite nel territorio ionico. Al 3 novembre 2020, Taranto era la penultima provincia della Puglia per tassi di incidenza da Covid-19, seguita solo dalla provincia di Lecce”. Per Minelli, quindi, parlare in generale di smog o di inquinamento non è corretto o quantomeno è troppo generico e quindi fuorviante.

Nello studio, pubblicato da International Journal of Enviromental Research and Public Health si legge che “gli individui permanentemente esposti a livelli medi o alti di PM2.5 sviluppano, per una alta espressione di ACE2, una sorta di automatica protezione contro l’infiammazione polmonare prodotta da PM2.5 per la micidiale composizione chimica di questa miscela di microinquinanti. Tale particolarità, tuttavia, può non risultare del tutto utile e vantaggiosa nel caso in cui, come accade col Covid-19, il virus responsabile della malattia utilizzi proprio l’ACE2 come recettore della internalizzazione cellulare. Dunque, ACE2 è la ‘serratura’ attraverso la quale il Covid ‘inganna’ la cellula umana, penetra al suo interno, la infetta e, conseguentemente, innesca tutto il processo patologico che caratterizza il quadro clinico”.

A questo va aggiunto che “le differenze individuali relative alla distribuzione e alla funzionalità di ACE2 potrebbero spiegare, almeno in parte, la diversa entità dei quadri sintomatologici variamente espressi dai soggetti colpiti. Nei bambini, per esempio, è stato ipotizzato che la loro minore vulnerabilità rispetto al nuovo coronavirus sia imputabile proprio al fatto che i recettori ACE2 possano non essere così sviluppati, ovvero avere conformazione diversa rispetto a quelli degli adulti. E ciò renderebbe più difficile la connessione tra lo spike del virus e la serratura d’ingresso nelle cellule”.

Insomma il motivo per cui Lombardia e Veneto sono le zone più colpite è da ricollegare, secondo lo studio, al fatto che quelle zone “risultano essere più massivamente e cronicamente esposte ad alti livelli di PM2.5, ciò che comporta un’aumentata espressione di ACE2 a livello polmonare” che causa “l’elevato tasso di incidenza e poi anche di mortalità”. E poi molto alta risulta, soprattutto in Lombardia, la densità della popolazione, altro fattore preso in esame nello studio.

Infine, Minelli ha lanciato un interrogativo: “Tra marzo e maggio, in Italia, come in gran parte del mondo, si è fermato tutto. Non c’è stato traffico veicolare. Auto, navi, aerei erano tutti fermi. Si sono fermate le industrie. Il tasso di emissione dei vari inquinanti, tra i quali ovviamente anche il PM2.5 e il biossido di azoto, è crollato come documentato dai report del programma di ricerca legato al lancio del satellite europeo Copernicus Sentinel-5P. E proprio all’inizio dell’estate abbiamo avuto la riduzione importante del numero di casi di Covid. Poi, dopo il lockdown, abbiamo riaperto tutto e, conseguentemente, anche i livelli di inquinamento sono tornati a crescere. Allora, la seconda ondata è davvero stata causata solo dalla riapertura delle discoteche, delle scuole e di altri luoghi? Oppure – ha concluso Minelli – l’incapacità di bloccare la nuova avanzata del virus, che resiste ai colori delle zone e all’uso generalizzato di mascherine e misure di contenimento, potrebbe essere legata alla reale impossibilità di generare un abbattimento significativo dell’inquinamento, pari a quello ottenuto in occasione del primo lockdown?”.

 

Fonte:  Il Fatto Quotidiano

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