Covid, lo studio tedesco: “Esposizione a lungo termine all’inquinamento legata a rischio più alto di malattia grave”

Articolo del 07 Giugno 2022

Sono stati diversi nel corso del tempo gli studi che hanno ipotizzato che nelle zone più inquinate il Covid fosse ancora più feroce intuendo una possibile relazione con la gravità della malattia con smog e polveri sottili. Anche dalla Germani arriva un’analisi di dati in cui si dimostra come una esposizione a lungo termine all’inquinamento atmosferico prima della pandemia sia legata ad un rischio più alto di sviluppare una forma grave di Covid-19. La ricerca è stata presentata a Euroanaesthesia 2022, il congresso annuale della Società europea di Anestesiologia e Terapia Intensiva (Esaic) a Milano fino a lunedì. Gli scienziati hanno scoperto che “le persone che vivono in territori con livelli più elevati di biossido di azoto inquinante (NO2) avevano maggiori probabilità di aver bisogno di cure in terapia intensiva e di ventilazione meccanica in caso di contagio da Sars-CoV-2″. Aver respirato troppo biossido di azoto prima dell’emergenza ha reso l’organismo più vulnerabile al virus.

Susanne Koch, del dipartimento di Anestesiologia e Terapia Intensiva, Charité-Universitätsmedizin di Berlino, Germania, ha esplorato l’impatto dell’inquinamento atmosferico a lungo termine e la necessità di trattamento in terapia intensiva e ventilazione meccanica dei pazienti positivi. “Il team guidato dalla Koch ha monitorato i dati sull’inquinamento atmosferico dal 2010 al 2019, questi numeri sono stati utilizzati per calcolare il livello medio annuo di biossido di azoto a lungo termine per ciascuna contea della Germania. Questo variava da 4,6 µg/m³ a 32 µg/m³, con il livello più alto a Francoforte e il livello più basso a Suhl, una piccola contea della Turingia”, riporta la ricerca.

Il periodo preso in esame è stato dal 16 aprile al 16 maggio 2020, quando sono state revocate le restrizioni al lockdown, 392 delle 402 province tedesche sono state incluse nell’analisi. I ricercatori hanno anche valutato i fattori demografici (densità della popolazione e distribuzione per età e sesso), i fattori socioeconomici e i parametri sanitari, comprese le condizioni di salute preesistenti che possono influenzare la gravità del Covid-19. Ebbene, lo studio ha rilevato che c’era una maggiore necessità di trattamento in terapia intensiva e la ventilazione meccanica per i pazienti dei territori con livelli medi annuali di NO2 più elevati a lungo termine.

La ricerca ha evidenziato che ad “ogni aumento di 1 µg/m³ della concentrazione media annuale di NO2 a lungo termine, è stato associato ad un aumento del 3,2% del numero di posti letto in terapia intensiva occupati da pazienti Covid-19 e a un aumento del 3,5% del numero di pazienti che necessitavano di ventilazione meccanica”. “L’esposizione a lungo termine all’NO2 molto prima della pandemia potrebbe aver reso le persone più vulnerabili alla malattia Covid più grave – sostiene Koch – L’esposizione all’inquinamento atmosferico ambientale può contribuire a una serie di altre condizioni, tra cui infarti, ictus, asma e cancro ai polmoni e continuerà a danneggiare la salute molto tempo dopo la fine della pandemia”. “Per migliorare la qualità dell’aria è urgente una transizione verso le energie rinnovabili, i trasporti puliti e l’agricoltura sostenibile. La riduzione delle emissioni non solo aiuterà a limitare la crisi climatica, ma migliorerà la salute e la qualità della vita delle persone in tutto il mondo”, conclude la ricercatrice.

 

Fonte: Il Fatto Quotidiano

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