Un articolo pubblicato su Science lo scorso 21 luglio ha scosso il mondo scientifico, rivelando che la teoria finora più accreditata sull’origine dell’Alzheimer potrebbe basarsi su prove manipolate: si tratta di uno scandalo non di poco conto, considerando che da 16 anni la ricerca di una cura contro questa malattia si basa soprattutto sulle affermazioni dello studio ora contestato. L’oggetto del contendere sarebbe un oligomero tossico di beta-amiloide chiamato Aβ*56, un sottotipo della proteina beta-amiloide, che secondo la teoria del 2006 dello scienziato Sylvain Lesné si accumulerebbe nel cervello formando delle placche nei neuroni, causando la malattia di Alzheimer.

COSA È SUCCESSO

 La contestazione, che ribalta oltre 15 anni di teorie scientifiche, arriva dal neurologo Matthew Schrag: secondo quanto scoperto dall’esperto, centinaia di immagini sarebbero state alterate (oltre settanta solo nel lavoro di Lesné) per corroborare la teoria del coinvolgimento di Aβ*56 nello sviluppo dell’Alzheimer.

I fautori delle modifiche sarebbero stati da un lato Lesné, e dall’altro la compagnia biofarmaceutica Cassava, interessata a richiedere l’autorizzazione per produrre un farmaco contro la formazione di placche di beta-amiloide.

PERCHÉ?

Schrag non parla mai di frode, e non afferma mai direttamente che le immagini sarebbero state manipolate coscientemente: tuttavia i motivi non mancherebbero di certo. All’epoca si sapeva infatti da tempo che queste proteine si accumulavano nel cervello dei pazienti affetti da Alzheimer, ma quello che non era chiaro era se le Aβ*56 fossero una causa o una conseguenza della malattia.

Per capirlo, il team di Lesné iniettò grosse quantità di beta-amiloide nel cervello di topi giovani, che persero rapidamente la memoria: ecco la prova, dichiararono, che queste proteine erano la causa, e non la conseguenza, della malattia.

IPOTESI AMILOIDE

Da quel momento gli studi iniziarono ad andare in questa direzione, concentrandosi sulla ricerca di nuove cure per combattere l’accumulo di beta-amiloidi: la cosiddetta ipotesi amiloide è la base sulla quale si fondano i farmaci prodotti nell’ultimo decennio come il famoso aducanumab che, nonostante riuscisse a distruggere efficacemente le placche amiloidi, non migliorava l’evoluzione della malattia.

INTERESSI IN GIOCO

Se l’eliminazione delle beta-amiloidi fosse servita a far regredire la malattia, tutto questo ora non sarebbe un problema (o, perlomeno, lo sarebbe solo dal punto di vista etico): negli anni, però, molti farmaci sono riusciti a eliminare queste placche nei neuroni, ma senza alcun effetto positivo nell’evoluzione della malattia neurodegenerativa.

«Siamo davanti a un insieme di cattiva scienza, studi manipolati e interessi economici di un’azienda di biotecnologia (Cassava) interessata a sviluppare un farmaco per generare una grande aspettativa in Borsa», riassume David Pérez Martinez, capo del reparto di neurologia all’Hospital Universitario 12 de Octubre a Madrid. Per ora Lesné non ha rilasciato commenti in merito, ma ormai la bomba è stata lanciata e anche su Nature, dov’è pubblicato il suo studio del 2006, è comparsa una nota: “Gli editori di Nature sono stati avvisati che alcuni aspetti di questo articolo hanno suscitato dei dubbi. Nature sta indagando sulla questione, e darà ulteriori risposte editoriali al più presto”.

 

Fonte: Focus

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