Un campione imponente, e uno studio che conferma quanto uno dei farmaci più diffusi ed economici possa essere di grande aiuto. Soprattutto nei pazienti più fragili, e utilizzato precocemente.

L’acido acetilsalicilico, la comune aspirina, può ridurre il rischio di morte nelle persone ricoverate per Covid-19. L’effetto protettivo sarebbe particolarmente significativo negli anziani e in chi presenta altre patologie croniche, ovvero nelle condizioni di maggior pericolo in caso di infezione grave da Sars-CoV-2. Ad aggiungere questo importante tassello alle conoscenze sui trattamenti da instaurare nelle persone che sviluppano una forma moderata di malattia è un grande studio che appare sulle pagine di Jama Network Open. La ricerca è stata condotta dagli esperti dell’Università George Washington, coordinati di Jonathan Chow.

A colpire, in termini statistici è l’ampiezza del campione considerato. Sono stati infatti presi in esame gli esiti di 112.269 pazienti ricoverati con Covid moderato tra gennaio 2020 e settembre 2021. Nelle persone che hanno iniziato precocemente, ovvero dal primo giorno del ricovero, il trattamento con acido acetilsalicilico si è riscontrata una riduzione del rischio di sviluppo di trombosi, oltre che del rischio di andare incontro ad aggravamento e decesso. Ma c’è un dato che colpisce. Il maggior beneficio in termini protettivi si sarebbe osservato nei soggetti maggiormente esposti alle complicanze da Covid-19, ovvero gli anziani e i fragili con comorbilità. Proprio in queste popolazioni, peraltro, si concentrano i più elevati tassi di mortalità dopo l’infezione.

Con aspirina esiti migliori e minore mortalità

“Questo è il nostro terzo studio – ha spiegato Jonathan Chow – e rappresenta l’apice di 15 mesi di lavoro per indagare gli effetti dell’aspirina sui pazienti COVID-19 ospedalizzati. Continuiamo a riscontrare che l’aspirina si associa ad esiti migliori e a minore mortalità. Si tratta di un risultato notevole, considerato anche il fatto che l’aspirina è un farmaco economico e facilmente disponibile, cosa importante in parti del mondo dove terapie più costose potrebbero non essere accessibili”. La ricerca, proprio per il vasto campione considerato, pone un punto fermo sull’utilità di un trattamento con acido acetilsalicilico e supera i risultati di altri studi che invece avevano dato risultati contrastanti, con ricerche che confermavano l’utilità del trattamento ed altre che invece la confutavano.

In questo senso basta pensare ai dati emersi dallo studio Recovery (Randomised evaluation of covid-19 therapy) condotto nel Regno Unito. La ricerca ha messo a confronto gli esiti su oltre 7.350 pazienti ricoverati e trattati con acido acetilsalicilico a basso dosaggio (150 milligrammi) con quelli riscontrati in una popolazione simile trattata con sola terapia standard. In quell’analisi l’aspirina non aveva fatto rilevare un’efficacia in termini di mortalità e di ricorso a ventilazione assistita a breve termine, pur se aveva consentito una più rapida dimissione dall’ospedale e una durata del ricovero leggermente più breve.

Prima si inizia il trattamento e meglio è

Cosa si può trarre in termini pratici da questa ricerca? Sicuramente le informazioni sono molteplici, come conferma Giuseppe Remuzzi, Direttore dell’Istituto Mario Negri.  “Lo studio è importante per l’ampiezza del campione considerato (più di 100 mila pazienti) e per il fatto che l’effetto favorevole è tanto maggiore quanto più precocemente si inizia il trattamento – spiega l’esperto”. Si tratta in qualche modo di una conferma, visto che “non è il primo studio che dimostra l’effetto benefico dell’aspirina in pazienti ospedalizzati, ce ne sono almeno altri due (però retrospettivi) e un altro fatto in Israele su chi assumeva aspirina per prevenire malattie cardiovascolari – riprende Remuzzi – i risultati dello studio dovrebbero tradursi in una raccomandazione per i medici all’impiego di aspirina fin dai primi giorni del ricovero, specialmente per gli anziani e ancora di più nei paesi emergenti. Va detto che se aspirina o altri antinfiammatori vengono impiegati addirittura all’insorgenza dei primi sintomi, cioè a casa, si riduce in modo importante la necessità di ricovero. Lo dimostrano uno studio pubblicato su EClinicalMedicine e uno in corso di pubblicazione su Frontiers in Medicine oltre a uno studio pubblicato su Lancet in cui si utilizza uno spray comunemente impiegato per l’asma a base di budesonide.”

 

Fonte: La Repubblica

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