I virus delle vie aeree superiori segnano l’inizio dell’autunno. Mal di gola, tosse, naso che cola, e in alcuni casi febbre, negli ultimi due anni però sono stati associati, più che all’influenza stagionale, a Sars-Cov-2. Durante la pandemia infatti l’influenza è stata poco presente nei mesi invernali, in parte anche grazie all’utilizzo massivo dei dispositivi di protezione individuale che ne rendevano difficile la diffusione.

Quest’anno però, per la prima volta dall’inizio della pandemia, gli esperti si aspettano che nei prossimi mesi i due virus si troveranno a convivere. E con loro, torneranno anche sindromi parainfluenzali e batteri comuni nei mesi freddi. Abbiamo chiesto a Claudio Cricelli, Presidente della Società Italiana di Medicina Generale, di raccontarci cosa ci aspetta, e come comportarsi quest’anno in caso di malanni.

La prima vera convivenza fra influenza e Covid

Negli ultimi due anni l’influenza ha avuto andamenti molto atipici. Nel 2020 il virus non è stato quasi mai isolato, mentre nel 2021 ha circolato un po’ di più ma con un’intensità molto minore rispetto agli anni passati, rimanendo per pochissimo tempo sopra la soglia epidemica. Nei prossimi mesi, invece, potremmo assistere alla prima stagione in cui i due virus circolano contemporaneamente. Considerato anche che il virus influenzale H3N2, meglio noto come influenza australiana, è stato già individuato per la prima volta in Italia al San Martino di Genova lo scorso agosto.

Ma ci sono anche i virus parainfluenzali

“Sulla base dell’andamento che l’influenza ha avuto in questi mesi nell’emisfero australe – in cui arriva intorno al mese di marzo – ci aspettiamo che anche qui segua un andamento più classico, come succedeva fino al 2019”, spiega Cricelli. “Assisteremo probabilmente a un aumento dei casi di influenza diagnosticati e – per la prima volta – a una vera e propria convivenza fra influenza e covid. Per questo, la raccomandazione è quella di vaccinarsi”.

Oltre all’influenza vera e propria circolano, specialmente in questo periodo, numerosi virus parainfluenzali, che causano sintomi simili nelle vie aeree superiori ma più lievi.

Le forme batteriche sono rare

Oltre alle forme virali, ma presenti tutto l’anno, esistono patologie di origine batterica che colpiscono le vie respiratorie causando polmoniti (è il caso del pneumocco), faringiti e tonsilliti. Queste non hanno un’incidenza maggiore durante l’inverno, ma possono talvolta causare sovrainfezioni e complicazioni se compaiono assieme alle forme virali.

“La maggior parte delle malattie in questo periodo, comunque, ha origine virale. Questa è la ragione per cui dobbiamo abbandonare la cattiva abitudine di somministrare, appena abbiamo un paziente che ha un po’ di mal di gola o di febbre, gli antibiotici”, ricorda Cricelli. “Una terapia di tipo antibiotico se il patogeno da cui siamo stati attaccati è un virus, al contrario, non solo è inefficace, ma rischia di essere anche controproducente”.

I sintomi che ci dobbiamo aspettare

I sintomi sono quelli tipici dei virus che coinvolgono le prime delle prime vie aeree, che si tratti di influenza o di Sars-Cov.2. Le ultime varianti e sottovarianti del Covid, infatti, si concentrano nelle alte vie aeree, così come gli altri coronavirus e l’influenza. Nelle forme influenzali classiche anche la febbre è uno dei sintomi, soprattutto nell’esordio della malattia. Anche il Sars-Cov-2, fino alla variante Delta, si manifestava con febbre alta, mentre questo sintomo è attenuato nella variante omicron e nelle sue sottovarianti.

“Con la sintomatologia attuale del Covid, ma anche con la sintomatologia del passato, non ci sono dei criteri certi per poter distinguere le patologie delle prime vie aeree, perché i virus si somigliano molto”, dice Cricelli. “Inoltre, le ultime varianti del virus Sars-Cov-2 raramente coinvolgono le basse vie aree (trachea, bronchi e polmoni). Non abbiamo quindi soluzioni per distinguerli che non siano l’esecuzione del tampone”.

Il Sars-Cov-2 sta diventando come l’influenza?

L’attenzione, negli ultimi mesi, è un po’ calata rispetto al Covid, nonostante l’arrivo dell’autunno e lo spettro di una nuova ondata. Si sente più spesso dire, invece, che stia diventando simile a una normale influenza.

“L’allarmismo – commenta Cricelli – è calato per una semplice ragione. Quando è iniziata la pandemia avevamo poche migliaia di casi e molti di questi erano gravissimi perché la popolazione nel mondo era completamente scoperta. Oggi siamo in una condizione in cui abbiamo somministrato alcuni miliardi di dosi di vaccino, pertanto il virus trova una popolazione che sa difendersi molto meglio. L’efficacia della vaccinazione è molto elevata e impedisce al virus di raggiungere le basse vie aeree rendendolo, appunto, spesso simile a un’influenza”.

Quando è ancora bene fare il tampone

Dal 2020 i medici di base hanno a disposizione tamponi combinati che comprendono sia il campione diagnostico per il Covid sia quello per il virus influenzale. Non è detto, però, che al primo mal di gola o naso che cola sia necessario correre dal medico a eseguire il tampone, spiega l’esperto. Lo diventa in alcune condizioni particolari, ovvero quando vi è un rischio elevato di contagiare altre persone (soprattutto se fragili) oppure se si è in una condizione di debolezza del sistema immunitario o si hanno diverse patologie insieme.

“Nel caso di persone con tutte le dosi vaccinali, giovani o comunque in buone condizioni di salute e senza importanti fattori di rischio, sapere esattamente di quale virus si tratti ha un rilievo inferiore, perché il rischio di complicazioni è paragonabile, che si tratti di covid o di influenza”, spiega Cricelli. “Diventa fondamentale distinguere fra i due, invece, se chi si ammala non è vaccinato o presenta importanti fattori di rischio”.

Il criterio, quindi, non è tanto capire da quale virus siamo stati colpiti ma quale sia lo stato di salute della persona che viene colpita e che manifesta i sintomi.

 

Fonte: La Repubblica

LEGGI TUTTE LE ALTRE NEWS