Sappiamo poco della biologia della depressione, cosa accade cioè nel sistema nervoso che possa essere ricollegato alla malattia. Un possibile ruolo è quello svolto dalla serotonina, il neurotrasmettitore popolarmente noto come la molecola della felicità, per il suo ruolo nella regolazione dell’umore. L’ipotesi, semplificando, è che aumentando i livelli di serotonina nelle sinapsi diminuiscano gli stati depressivi. Una delle strategie per farlo è l’uso di farmaci antidepressivi che bloccando la proteina che allontana la serotonina dalle sinapsi delle cellule nervose cerebrali. Eppure la scoperta che arriva oggi da uno studio, ancorché condotto su un piccolo campione di partecipanti, sembra un po’ mettere in dubbio questa ipotesi, quando meno complicarla. Il motivo? Dopo una terapia comportamentale si osserva un aumento del livello medio del trasportatore di serotonina. Un risultato inatteso, come spiega il team a capo della ricerca effettuata presso il Karolinska Institute di Stoccolma e pubblicata su Translational Psychiatry.

Ma andiamo con ordine, e identifichiamo i due principali protagonisti oggetto dello studio: la serotonina (5-HT) – un neurotrasmettitore che regola l’umore, l’appetito ed altri aspetti legati alla sfera emotiva – e il suo trasportatore (la proteina 5-HTT), che ricaptandola a livello dello spazio intersinaptico di fatto mette fine alla sua azione. È quest’ultimo il bersaglio di alcuni farmaci depressivi. Basandosi su questo, l’idea è che gli stati depressivi siano legati a poca serotonina in circolo, o d’altra parte a troppe proteine trasportatrici che la eliminano troppo presto. È davvero così?

In realtà alcuni studi suggeriscono che le persone con depressione abbiano pochi livelli della proteina trasportatrice. Ma non è chiaro, scrivono gli autori, se la condizione sia o meno temporanea. Per far luce sulla questione i ricercatori hanno studiato come (e se) cambiano i livelli del trasportatore della serotonina (5-HTT) quando una persona depressa viene trattata con successo. Lo hanno fatto misurando i livelli di questa proteina in 17 persone con depressione, prima e dopo un corso di terapia cognitivo-comportamentale svolto tramite Internet, confrontandoli con un gruppo di controllo, grazie all’uso della Pet (tomografia a emissione di positroni) e l’uso di un tracciante radioattivo (in questo caso una molecola che si lega proprio al trasportatore della serotonina).

Prima del trattamento, le persone con depressione avevano all’incirca lo stesso livello medio di 5-HTT del gruppo di controllo. Gli scienziati hanno scoperto però che in generale i livelli di 5-HTT aumentavano dopo terapia, parallelamente al miglioramento dei sintomi depressivi. “Invece di rilevare livelli più bassi di trasportatore della serotonina quando la depressione era stata trattata, abbiamo trovato l’opposto” ha spiegato Jonas Svensson, uno degli autori dello studio: “una possibile interpretazione è che il sistema serotoninergico non causa depressione, ma faccia parte del meccanismo di difesa del cervello per proteggersi dalla depressione“. In quest’ottica la riduzione del trasportatore andrebbe letta come una sorta di risposta adattativa, simile a quella indotta dai farmaci, e reversibile spiegano gli autori. Ovvero i livelli del trasportatore della serotonina varino in maniera temporanea, suggerendone una sorta di plasticità del sistema, scrivono gli autori. Anche se, conclude Svensson non è chiaro perché succeda.

Riconoscendo tutti i limiti – numerici e metodologici del loro studio – quello che i ricercatori suggeriscono è uno studio per capire se davvero e come i livelli del trasportatore della serotonina cambino nel tempo e in virtù delle terapie.

 

Fonte: Galileo

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