Stimola la serotonina nel cervello e regala buonumore. Rinforza le ossa. Gli scienziati parlano ormai di “igiene della luce” capace di interagire con tutti i sistemi del nostro corpo. Bastano poche ore al giorno.

Passiamo il 90 per cento delle nostre vite tra quattro mura. Che si tratti di uffici, abitazioni, automobili, le nostre esistenze si dipanano al chiuso, lontani – schermati, protetti – dalla luce del sole. Un vero peccato: non soltanto perché una vita sana all’aria aperta è più piacevole. Ma anche perché, dal punto di vista della salute, il sole ha molto da regalarci. Non si spaventino i dermatologi: non si parla qui di ustioni e bruciature, di full immersion nella melanina, insomma di abbronzatura selvaggia, che sappiamo da tempo essere dannosa per la pelle. Si parla invece dei benefici che la radiazione in arrivo dalla nostra stella – la luce visibile, ma in parte anche i raggi ultravioletti di tipo A e B – produce sul nostro organismo. Che sono tanti, e ben documentati scientificamente.

L’impatto della luce sull’umore

Il primo riguarda, per esempio, l’azione sull’umore. “L’esposizione alla luce naturale – spiega Enrico Zanalda, presidente Società Italiana Psichiatria e direttore del DSM della Asl To3 – determina un miglioramento di diversi fattori neurologici: la retina esposta alla luce trasmette all’ipotalamo e all’epifisi alcuni segnali che da un lato aumentano la disponibilità di serotonina, dall’altro inibiscono la melatonina”. La serotonina è l’ormone legato alla regolazione dell’umore: se i suoi livelli sono alti, pur rimanendo entro limiti non patologici, il nostro organismo ne ricava grandi benefici. Per esempio, intervenendo nel controllo dell’appetito, la serotonina stimola il senso di sazietà e dunque ci fa mangiare un po’ meno, agisce a livello cardiovascolare sulla contrazione delle arterie mantenendo il controllo della pressione, e soprattutto promuove il buonumore – o meglio, livelli troppo bassi di questo ormone possono causare depressione o stati di ansia e aggressività.

Stimola la serotonina

Non solo: uno studio pubblicato su Science dai neuroscienziati della Cornell University mostra come la serotonina possa anche aiutare il cervello a prendere le decisioni giuste in situazioni di emergenza. Studiando l’attività cerebrale nei topi, i ricercatori hanno infatti osservato come gli animali decidessero di scappare o di restare immobili per evitare di essere visti da un predatore (un falco, per esempio) in relazione alla stimolazione dei recettori della serotonina. In situazioni di grande pericolo la produzione di questo ormone provoca tentativi di fuga, in presenza di minacce meno gravi stimolare i recettori della serotonina genera nei topi l’attesa immobile. In questo senso, l’ormone sembra produrre di volta in volta la risposta appropriata al contesto.

Parliamo di melatonina, l’ormone che regola il ciclo sonno-veglia

Ma la luce del sole fa un’altra cosa importante: inibisce la produzione di melatonina, un altro ormone – questa volta prodotto dall’ipofisi – che regola il ritmo circadiano, cioè l’ora in cui ci viene sonno e quella in cui ci svegliamo. Questo significa – commenta Zanalda – che con la sera aumenta la produzione di melatonina (il picco è verso le 18), mentre quando apriamo gli occhi dopo una buona dormita i livelli calano. Un equilibrio che, se mantenuto, consente di essere svegli e pronti durante il giorno, con un miglioramento della memoria e in generale delle funzioni cognitive, e di ridurre il rischio di insonnia quando è ora di andare a letto.

Ma la luce elettrica ha rotto questo equilibrio: i satelliti ci mostrano come le aree del pianeta illuminate artificialmente (parliamo di strade, piazze, parchi) aumentino di oltre il 2 per cento ogni anno. Uno studio condotto da ricercatori di Stanford e della Nasa mostra come gli americani che vivono in aree con elevati livelli di inquinamento luminoso tendano ad andare a letto più tardi e a svegliarsi dopo rispetto a chi vive in aree rurali, meno illuminate. Risultato: i primi dormono meno, dormono peggio, e al risveglio sono meno capaci di affrontare le criticità della giornata.

Il rapporto con la luce

Quanto sia cambiato il nostro rapporto con la luce del sole lo dicono anche gli studi condotti sugli Amish, la comunità religiosa americana che vive soprattutto in Ohio negli Usa. In estate questa popolazione che vive principalmente di agricoltura è esposta a una media giornaliera di 4000 lux, l’unità di misura di illuminazione per unità di superficie, mentre un cittadino del Regno Unito, come riporta il New Scientist, è esposto a 587 lux al giorno. In inverno l’illuminazione scende a 210 lux per i britannici e a 1500 per gli Amish, le cui case sono illuminate con appena 10 lux – nelle casette inglesi se ne misurano cinque volte tanto.

La produzione di vitamina D

Oltre che sull’umore e sulla nostra prontezza nell’azione, però, la luce del sole ha anche un altro importante effetto: quello sulla salute delle ossa. “I raggi ultravioletti – spiega infatti Nicola Napoli, endocrinologo al Campus Biomedico di Roma – promuovono infatti la sintesi della vitamina D, quella sostanza (tecnicamente è un gruppo di pro-ormoni liposolubili del quale fanno parte cinque diverse forme, le più importanti delle quali sono l’ergocalciferolo e il colecalciferolo) che regola il metabolismo del calcio, rendendo l’osso duro e resistente. In sua assenza questo non si solidifica a sufficienza, curvandosi sotto il peso del corpo, come era frequente vedere nei casi di rachitismo – ormai rari o assenti in Italia – o risultando poco mineralizzato, “meno denso” all’interno, come nei casi di osteomalacia e osteoporosi”.

Eppure casi di deficit di vitamina D (intesi come inferiori ai 20 nanogrammi per millilitro) sono ancora frequenti. Nel Regno Unito, per esempio, si calcola che circa il 10 per cento della popolazione abbia livelli insufficienti di Vitamina D nel sangue, in estate. Dato che cresce in modo allarmante in inverno, toccando il 40 per cento. In Italia, dice invece un recente documento dell’Istituto Superiore di Sanità, la maggior parte della popolazione si espone al sole per periodi adeguati a garantire livelli sufficienti di Vitamina D nel sangue. In fondo basta poco: brevi sessioni estive di esposizione – circa 15 minuti tre volte a settimana – anche delle sole aree del corpo solitamente scoperte (braccia, testa, collo) sono sufficienti ad assicurare livelli ottimali.

Il buio nelle stanze dei ricoverati

“Il problema invece si pone per tutti coloro che sono momentaneamente immobilizzati in casa, per gli anziani nelle case di riposo, per i degenti degli ospedali”, aggiunge però Napoli. Anche perché, come mostra uno studio condotto da un gruppo di medici e ingegneri della Loughborough University, la durata media della degenza dopo un intervento di bypass coronarico si riduce di 7,3 ore per ogni aumento di 100 lux di luce solare nelle stanze dei ricoverati.

La luce come medicina

Per questo, già da una decina di anni, si è cominciato a parlare di “igiene della luce”, al pari dell’igiene alimentare. E qualcuno si è spinto oltre, immaginando la luce come una medicina in grado di agire su diverse condizioni: “La rottura del ritmo circadiano, con i suoi effetti sulla fisiologia, l’endocrinologia, il metabolismo e il comportamento, è dannosa per gli esseri umani”, scrivono su Medical Hypotesis Thomas Erren e Russel Reiter, rispettivamente dell’Università di Colonia e dell’Università del Texas. “Sulla base dei nostri studi – concludono i due – la luce deve essere considerata pari a un farmaco. Perché il tempo, la qualità (cioè la lunghezza d’onda), la quantità (la dose) e gli effetti collaterali dell’esposizione possono essere di fondamentale importanza per la salute e la malattia”.

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