Il cromosoma Y, quello che determina il sesso maschile, contiene “poca” informazione genetica: rispetto ad altri cromosomi include nella sua sequenza un numero limitato di geni e una elevata quantità di elementi ripetitivi. Poca informazione, ma buona. O meglio, poca ma importante. A ribadirlo è uno studio pubblicato su Science, guidato da Lars Forsberg della Uppsala University (Svezia) e da Kenneth Walsh della University of Virginia (USA), cui hanno partecipato anche ricercatori della Osaka Metropolitan University (Giappone). Se infatti si induce sperimentalmente la perdita del cromosoma Y nelle cellule del midollo osseo dei topi, utilizzati come modello, si osserva un aumentato tasso di mortalità, correlato all’insorgenza di fibrosi cardiaca.

cromosoma Y

La perdita del cromosoma Y

La perdita a mosaico del cromosoma Y (abbreviata come mLOY e detta a mosaico perché interessa solo alcune cellule somatiche, come quelle del sangue) è una condizione molto studiata perché può verificarsi spontaneamente nell’uomo, con una probabilità che aumenta con il progredire dell’età: secondo uno studio del 2019, effettuato su un database di circa 200 mila abitanti del Regno Unito, si riscontrerebbe in più del 40% degli uomini di 70 anni. L’età per non appare come l’unico fattore in grado di influenzare le scomparsa del cromosoma. Anche il fumo può avere il suo peso: il rischio di mLOY infatti per chi fuma è tre volte maggiore.

La correlazione con la fibrosi cardiaca (e non solo)

Oltre a verificarsi con frequenza relativamente elevata, la perdita a mosaico del cromosoma Y nelle cellule del sangue è molto studiata poiché sembra essere correlata con una più bassa aspettativa di vita e con l’aumentata incidenza di varie patologie, fra cui vari tipi di tumori solidi e la sindrome di Alzheimer. Nel 2018 uno studio epidemiologico pubblicato su Nature aveva già riportato una correlazione fra la perdita del cromosoma Y e patologie cardiache. Ma malgrado la numerosità del campione analizzato (oltre 200 mila persone del Regno Unito) la natura descrittiva dello studio non aveva permesso di stabilire nessi causali tra perdita del cromosoma Y e patologie cardiache.

Ecco allora che la strada poteva essere quella di indurre la scomparsa dell’Y e osservarne gli effetti. Dopo essere riusciti a riprodurre nei topi una condizione di mosaicismo paragonabile a quella che si verifica nell’uomo (grazie a CRISPR), Forsberg, Walsh e colleghi hanno quindi osservato che alla perdita del cromosoma Y sembra conseguire un’aumentata mortalità correlata all’insorgenza di patologie cardiache. In particolare, la formazione di una eccessiva quantità di tessuto fibroso nel miocardio dei topi ne impedisce il normale funzionamento. Il cuore, in pratica, si riempie di cicatrici senza motivo, ovvero senza che si fosse verificato un vero danno da riparare. Da questo sembra dipendere una minore aspettativa di vita: solo il 40% dei topi mLOY hanno raggiunto i 19 mesi di età, a fronte del 60% dei topi sani, utilizzati come controllo negativo nell’esperimento. Un effetto, suggeriscono gli autori, imputabile alla sovraespressione del cosiddetto “fattore di crescita trasformante β1”, o TGFβ1, che contribuirebbe alla diffusione dei fibroblasti nel cuore.

Lo studio si è focalizzato sulle malattie cardiache, ma gli autori della ricerca hanno osservato l’insorgenza di fibrosi anomale anche nell’interstizio polmonare e nei reni dei topi che presentano mLOY.

Vale anche per l’uomo?

Anche in questo studio i ricercatori hanno fatto uso del database nazionale del Regno Unito, analizzando dati relativi a oltre 200 mila uomini e aggiornati al Novembre 2020. Dal trend degli ultimi 11,5 anni hanno potuto osservare che gli uomini portatori di mLOY in più del 40% dei loro globuli bianchi vanno incontro ad un aumento del 31% del rischio sviluppare disturbi cardiovascolari. Per il momento, quindi, la relazione di causalità diretta fra la perdita a mosaico del cromosoma Y e l’insorgenza di patologie cardiache è stata dimostrata nel topo, ma i ricercatori sostengono che possa supportare l’ipotesi di una simile dipendenza anche nell’uomo. Ulteriori studi saranno necessari per confermarlo. Secondo il primo autore della ricerca, Soichi Sano, “la comprensione dello stato mLOY dei pazienti potrebbe consentire l’individuazione di gruppi ad alto rischio per determinate malattie, contribuendo a migliorare le decisioni terapeutiche in futuro.”

 

Fonte: Galileo

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