Per costringere paesi e aziende ad agire in modo risolutivo nel contrasto al cambiamento climatico, associazioni ambientaliste e gruppi di cittadini sempre più spesso ricorrono ai tribunali, forti delle ricerche climatologiche più avanzate.

Friederike Otto non aveva mai pensato molto al mondo del diritto prima di quella telefonata ricevuta un giorno nel 2018. All’altro capo della linea c’era Petra Minnerop, ricercatrice di diritto internazionale all’Università di Durham, nel Regno Unito, che stava cercando di capire come il sistema giuridico potesse contribuire a salvare il pianeta.

Minnerop aveva iniziato a interessarsi alle azioni legali legate al clima, cioè quei tentativi di costringere governi e aziende a rispondere a livello legale del loro contributo al riscaldamento globale. Dopo il successo di diverse cause di questo tipo, la ricercatrice voleva contribuire a sua volta e riteneva che la ricerca di Otto potesse rivelarsi utile. Otto, che è modellista del clima dell’Università di Oxford, nel Regno Unito, è una dei leader mondiali nella scienza dell’attribuzione, un campo di ricerca che ha sviluppato strumenti per determinare quanto le attività umane influiscano su eventi meteorologici estremi come le ondate di calore, gli incendi e le alluvioni che anche quest’anno hanno devastato varie parti del pianeta.

Durante quella telefonata le due ricercatrici hanno capito di avere obiettivi simili e hanno iniziato a ragionare su come la scienza e il diritto ambientale potessero generare altre iniziative per limitare i cambiamenti climatici.

Minnerop e Otto fanno parte dell’avanguardia di scienziati e ricercatori di diritto che collaborano a cause legali intese a costringere governi e aziende a prendere provvedimenti per contrastare i cambiamenti climatici.

Negli ultimi decenni sono state più di 1800 le cause legali climatiche intentate da vari gruppi ambientalisti e singoli cittadini in tutto il mondo.

Negli ultimi anni è aumentato enormemente il numero di cause legali sul clima (Da J. Setzer, C. Higham)

La scienza ha avuto un ruolo chiave nel sostenere le argomentazioni presentate in questi casi, ma per la stragrande maggioranza sono state usate solo le conclusioni più basilari della ricerca sul clima. Ora Otto, Minnerop e altri stanno cercando di portare a sostegno le ultime scoperte scientifiche, per aumentare le probabilità che queste azioni legali portino a riduzioni sostanziali dell’inquinamento da gas serra.

“In molti casi c’è un divario davvero enorme tra quello che si può affermare scientificamente e quello che viene presentato in tribunale”, spiega Otto.

Le sentenze dei tribunali

Il numero di azioni legali climatiche è aumentato notevolmente negli ultimi anni, in parte grazie alla crescita di un movimento giovanile per il clima che ha iniettato nuove energie nell’attivismo a protezione del pianeta. Dal 2015 sono state intentate più di 1000 cause climatiche, anche da bambini, stando a un’analisi pubblicata a luglio dai ricercatori del Grantham Research Institute on Climate Change and the Environment di Londra. In 37 casi, i querelanti sostengono che i governi non abbiano mantenuto le promesse di ridurre i rischi dei cambiamenti climatici o di porsi degli obiettivi sufficientemente ambiziosi. Queste cause, che attaccano problemi sistematici, sono quelle che hanno generato maggiore risonanza e, in caso di successo, potrebbero avere conseguenze tra le più ampie. Altri casi si concentrano su progetti o pratiche specifiche, come l’estrazione di carbone in Australia o la deforestazione in Brasile.

All’inizio i successi in tribunale erano limitati. Però negli ultimi due anni una serie di vittorie ha suscitato la speranza che la bilancia del mondo legale stia iniziando a pendere a favore di azioni climatiche più decise. A maggio il tribunale distrettuale dell’Aia ha stabilito che l’impresa energetica Royal Dutch Shell debba ridurre le emissioni di carbonio del 45 per cento rispetto ai livelli del 2019 entro i prossimi nove anni, affermando che l’alto livello attuale di emissioni da parte del gruppo potrebbe contribuire a un danno ambientale imminente per i cittadini dei Paesi Bassi.

Un mese prima, la corte costituzionale federale tedesca ha ingiunto al governo di definire una strategia più chiara per raggiungere gli obiettivi ambientali per il periodo successivo al 2030. La Germania è la settima nazione al mondo per emissioni di gas serra. Una sentenza simile emessa lo scorso anno obbliga il governo irlandese a sviluppare meglio il suo piano per la mitigazione dei cambiamenti climatici e a spiegare come intende raggiungere entro il 2050 l’obiettivo di una riduzione dell’80 per cento delle emissioni rispetto ai livelli del 1990.

Questi due casi sono arrivati a seguito di un precedente creato da una storica delibera emessa nei Paesi Bassi nel 2015, pochi mesi prima dell’accordo di Parigi con cui le nazioni si impegnavano a contenere l’aumento delle temperature globali ben al di sotto della soglia di 2°C oltre i livelli pre-industriali, e preferibilmente entro 1,5 °C. La causa era stata intentata nel 2013 da quasi 900 ricorrenti, tra cui anche alcuni bambini. Il tribunale ha ingiunto al governo dei Paesi Bassi di prendere provvedimenti al fine di diminuire le emissioni interne di gas serra almeno del 25 per cento rispetto ai livelli del 1990 entro la fine del 2020.

“La gente diceva che non avevamo alcuna possibilità di vincere”, racconta Jan Rotmans, climatologo del Dutch Research Institute For Transitions di Rotterdam e creatore della Urgenda Foundation, che ha intentato materialmente la causa legale. “Invece siamo stati un catalizzatore.”

In seguito un tribunale d’appello e la Corte suprema dei Paesi Bassi hanno confermato la sentenza. Nel 2020 le emissioni nei Paesi Bassi erano calate del 24 per cento circa, ma il paese non ha raggiunto l’obiettivo fissato; a giugno, a seguito di un incontro con il primo ministro olandese Mark Rutte, Urgenda Foundation ha annunciato che sta considerando di agire in giudizio contro il governo per i danni dovuti all’insufficienza delle misure prese per il clima.

Come per le sentenze successive, la decisione del tribunale olandese era fortemente basata sul corpus di climatologia compilato dall’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC, il gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico). Nella sentenza, il tribunale ha citato il consenso scientifico secondo cui una concentrazione globale di anidride carbonica in atmosfera superiore alle 430 parti per milione (la soglia che porta a un riscaldamento di 1,5 °C) rappresenterebbe “un pericolo di livello grave” per i cittadini dei Paesi Bassi, con caldo estremo, siccità, precipitazioni e aumento del livello del mare.

“Per la prima volta un tribunale riconosceva che un governo che non prende misure sufficienti per ridurre le emissioni non rispetta il proprio dovere di cura dei cittadini”, afferma Joana Setzer, specializzata in azioni legali climatiche al Grantham Institute e coautrice del rapporto apparso a luglio. “È stato molto importante dal punto di vista legale.”

La tendenza in altri casi è stata seguire la stessa giustificazione scientifica. Facendo riferimento alla scienza dell’IPCC, in Irlanda e in Germania i giudici hanno riconosciuto che un’azione insufficiente per il clima può portare in breve tempo a problemi seri, quali eventi meteorologici catastrofici o un pericoloso aumento del livello dei mari che metterebbe in pericolo la sopravvivenza delle generazioni future. Sulle stesse basi, un gruppo di giovani in Corea del Sud sta portando avanti un’azione legale contro il governo per violazione dei diritti umani. Per quel caso e per altri simili negli Stati Uniti la sentenza non è ancora stata emessa.

Via via che i segnali dei cambiamenti climatici pericolosi diventano più evidenti, aumenta la pressione a procedere contro governi e aziende responsabili di grandi quantitativi di emissioni di carbonio. E quest’anno c’è stata tutta una serie di eventi meteorologici estremi, tra cui l’ondata di calore da record a luglio in varie zone del Nord America, gli incendi in Siberia e le forti piogge e inondazioni in Belgio, Germania e Cina. Studi effettuati dal gruppo di ricerca di Otto e da altri hanno già dimostrato che i cambiamenti climatici sono responsabili almeno in parte per l’ondata di calore in Nord America e per le alluvioni in Europa centrale.

Gli eventi meteorologici estremi in tutto il mondo diventeranno sempre più gravi con l’aumentare delle temperature, ha affermato l’IPCC in agosto nella prima parte della sua valutazione più recente sullo stato della climatologia.

Una visione più ampia

Il nuovo rapporto IPCC aumenterà la pressione a favore di azioni più decise per il clima, ma le cause legali in questo campo, che stanno raggiungendo una portata sempre più ampia, potranno contare anche su una gamma più vasta di studi scientifici, afferma Peter Frumhoff, principale climatologo della Union of Concerned Scientists di Cambridge, in Massachusetts.

“È utile avere l’IPCC come quadro di riferimento della climatologia accettata – commenta Frumhoff – ma la scienza dell’IPCC non è l’unica cosa che serve in tribunale. C’è molto di più da considerare.” In futuro, continua, i casi di responsabilità potrebbero incorporare anche risultati emergenti della scienza dell’attribuzione, valutazioni dei livelli di ottemperanza dei vari stati agli impegni nazionali presi con l’accordo di Parigi e studi legati alle azioni intraprese da varie aziende riguardo ai rischi che i loro prodotti rappresentano per il clima.

C’è anche un altro motivo per cui le azioni legali potrebbero iniziare ad affidarsi di più a studi scientifici che vanno al di là di quanto compare nei rapporti IPCC. La compilazione di questi enormi rapporti richiede anni, perciò a volte alla pubblicazione i risultati sono già superati. Prima di quest’anno, l’ultimo grande rapporto dell’IPCC sulle basi fisiche della climatologia era stato pubblicato nel 2013. Un rapporto speciale dell’IPCC sulla gestione dei rischi di eventi estremi e disastri nel 2012 definiva “ardua” l’attribuzione dei cambiamenti climatici; nel frattempo, però, quella scienza è maturata al punto che, dopo un evento climatico eccezionale, Otto e altri ricercatori conducono studi di attribuzione nel giro di qualche giorno o di qualche settimana.

Tuttavia, i giudici sono ancora restii a dare valore legale agli studi di attribuzione. Una ricerca effettuata congiuntamente da Minnerop, Otto e colleghi, pubblicata a giugno, ha rilevato che gli studi di questo tipo sono raramente citati nelle azioni legali sul clima perché permangono ancora dubbi sulla solidità dei risultati. L’ultimo rapporto dell’IPCC sottolinea che i metodi per l’attribuzione dei cambiamenti climatici sono maturati rispetto alla valutazione precedente e che ormai i risultati degli studi di livello più avanzato si possono considerare solidi.

Questo tipo di presa di posizione dell’IPCC a sostegno della scienza dell’attribuzione può fare la differenza a livello legale ora che ricercatori delle scienze e del diritto iniziano a collaborare maggiormente. Per i tribunali sarà più difficile ignorare la scienza rilevante presentata in aula, compresi i nuovi lavori, afferma Frumhoff.

Lo scorso anno la Union of Concerned Scientists ha creato un punto d’incontro virtuale per scienziati ed esperti legali che volessero collaborare tra loro. La piattaforma, che dà a esperti di diritto, avvocati e funzionari locali l’accesso a un’ampia gamma di studi scientifici rilevanti per le cause climatiche, vuol essere il catalizzatore di ricerche che abbiano rilevanza legale in diverse discipline e facilitare l’uso della scienza da parte di avvocati ed esperti di diritto nei loro casi.

Un campo di particolare rilievo è l’attribuzione delle fonti di gas serra, un ramo della scienza dell’attribuzione che è in forte crescita e che cerca di identificare i contributi relativi di vari settori e attività economiche ai cambiamenti climatici. Per esempio, una valutazione condotta nel 2020 sul contributo dell’industria della plastica ai gas serra ha determinato che le emissioni totali di questo settore fino al 2050 potrebbero essere pari al 10-13 per cento dei gas serra che si potranno emettere se si vuole sperare di mantenere il pianeta al di sotto della soglia di 1,5°C di riscaldamento. Studi del genere possono aiutare i tribunali che si trovano a esaminare cause in cui si sostiene che determinati enti governativi o aziende non abbiano preso le misure necessarie per preparare il mondo agli effetti dei cambiamenti climatici, oppure che abbiano contribuito a tali cambiamenti e debbano perciò esserne ritenuti responsabili.

“La causalità è un aspetto chiave nelle azioni legali climatiche”, commenta Minnerop. “Ogni contributo scientifico che possa convincere i giudici che gli emettitori di gas serra sono legalmente responsabili di ciò che fanno o che non fanno sarebbe rivoluzionario.”

Ma ottenere un risarcimento economico per danni dai singoli emettitori può rivelarsi complicato. “È difficile immaginare che un giudice ammetta una richiesta di risarcimento e stabilisca che l’azienda debba pagare sulla base dell’attribuzione delle fonti di gas serra”, continua la ricercatrice. “Una cosa del genere darebbe il via a un diluvio di richieste.”

Nella causa contro Royal Dutch Shell, così come in quelle contro i governi nazionali, i querelanti hanno scelto una strategia diversa. L’obiettivo è fare in modo che gli imputati debbano impegnarsi nel mitigare i rischi climatici che incombono nel prossimo futuro, non ottenere un risarcimento per i danni già subiti.

Una prova cruciale nella causa contro Shell è stata una serie di rapporti compilati da esperti sull’economia dei carburanti fossili, presentata da Milieudefensie, un gruppo olandese di attivisti per il clima. Durante il processo, gli avvocati di Shell avevano sostenuto che se l’azienda avesse ridotto la produzione di petrolio e gas, altre aziende avrebbero aumentato la loro di conseguenza, così che la produzione totale a livello globale sarebbe rimasta identica. Milieudefensie ha chiamato Peter Erickson, direttore del programma sulle politiche climatiche allo Stockholm Environment Institute a Seattle, nello Stato di Washington, a rispondere a questo ragionamento. Il tribunale ha concordato con Erickson che, se ci fosse stata una riduzione nella produzione di Shell, le altre aziende non avrebbero coperto interamente la differenza.

L’opinione degli esperti

Altre ricerche scientifiche rilevanti per le azioni legali climatiche includono studi sui collegamenti tra cambiamenti climatici e problemi di salute, lavori che tracciano i danni ambientali a partire da osservazioni satellitari e analisi sull’effetto che i flussi finanziari di un paese possono avere sull’inquinamento da combustibili fossili in altri paesi.

“I funzionari locali concedono troppi permessi ambientali senza considerare adeguatamente il clima”, afferma Erickson. “Sono contento che i miei studi e la mia scienza siano usati dove sono utili. Ma c’è bisogno di molti altri esperti che riassumano le prove scientifiche per i tribunali in modo chiaro e deciso.”

In tutto ciò, i tribunali tendono ancora a basarsi soprattutto sulle conclusioni dell’IPCC, afferma James Hansen, climatologo alla Columbia University di New York, che dal 2005 ha testimoniato come consulente o perito in decine di cause sul clima. Al momento Hansen è sia querelante che testimone nel caso “Juliana v. United States”, proposto nel 2015 contro il governo degli Stati Uniti da 21 giovani per chiedere una più decisa riduzione delle emissioni che aiuti il mondo a rimanere sotto la soglia di 1,5°C di riscaldamento globale.

“Come perito chiamato a testimoniare, per me il caso è stato frustrante”, afferma Hansen. “Ho passato mesi e mesi a preparare un rapporto tecnico sui cambiamenti climatici per poi vedere tutto il mio lavoro seppellito tra gli atti del tribunale e quasi completamente ignorato dai giudici.”

Kelsey Juliana, querelante principale nella causa climatica Juliana vs. United States

Un tribunale statunitense ha respinto la richiesta originale a gennaio 2020, ma a marzo di quest’anno i querelanti hanno presentato una mozione con cui modificavano i termini della causa e un giudice ha stabilito che le parti discutessero la possibilità di arrivare a un accordo. Le trattative sono in corso e Hansen spera che l’accordo includa l’appoggio dell’amministrazione Biden per una tassa o un’imposta sul carbonio negli Stati Uniti.

Gli esperti di diritto prevedono l’avvento di un’ampia gamma di altre cause legate al clima. Un tipo di azione potrebbe colpire i soggetti economici che contribuiscono ai cambiamenti climatici futuri, per esempio le aziende che commerciano in beni collegati alla deforestazione. Questi casi si baseranno su analisi dei flussi commerciali e finanziari a livello globale, spiega Setzer. Altri tipi di azione potrebbero riguardare il cosiddetto greenwashing (la pratica di presentare determinati prodotti come ecologici con dichiarazioni non sempre fondate) e l’obbligo fiduciario delle aziende ad agire nel migliore interesse dei propri partner commerciali, aggiunge la ricercatrice. Anche lo studio su quanto i diversi paesi ottemperino ai rispettivi obblighi previsti dall’accordo di Parigi e l’analisi dei costi legati all’immobilismo saranno sempre più importanti nelle cause future, afferma.

Intanto sono in corso iniziative a sostegno delle comunità colpite nei paesi più poveri. ClientEarth, un gruppo internazionale di avvocati ambientalisti, aiuta le persone danneggiate dalle frane nel distretto di Bududa, in Uganda, in un’azione contro il governo nazionale, che non avrebbe protetto gli abitanti dei paesi locali dai rischi legati al clima. ClientEarth si occupa anche di formare avvocati e procuratori in Cina con l’obiettivo di portare in tribunale diverse aziende per il loro contributo all’inquinamento atmosferico. In caso di successo queste iniziative potrebbero aiutare a limitare i cambiamenti climatici, perché alcuni inquinanti atmosferici contribuiscono al riscaldamento globale. Tuttavia, nel sistema politico autocratico che vige in Cina è improbabile che un tribunale sfidi il governo sulle politiche climatiche, commenta Setzer.

In ogni caso, le recenti vittorie alimentano la speranza che i tribunali possano aiutare ad affrontare una crisi planetaria, una crisi che finora i poteri legislativi ed esecutivi non sono riusciti ad arginare. “Il potere giudiziario è meno soggetto al mercanteggiare della politica”, commenta Hansen. “Le vittorie in tribunale contro i governi stanno costringendo le autorità a riflettere e ad attivarsi con misure reali invece di fare promesse per un futuro lontano.”

Ma la legge da sola non basta, avverte Rotmans. “I tribunali non possono forzare la transizione energetica globale necessaria per stabilizzare il clima”, afferma. “Vincere una causa è un conto; eliminare i combustibili fossili è tutt’altra cosa.”

 

Fonte: Le Scienze

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