L’eccesso di sudorazione riguarda anche in condizioni di temperatura normali circa il tre per cento della popolazione. La responsabilità degli effluvi sgradevoli è dello Stafilococcus hominis. Ecco come agire.

Si riprende a fare sport di ritorno dalle vacanze e con le temperature miti il problema sudore non è superato. Per alcune persone non lo è nemmeno in inverno. La cosa «curiosa» è che il sudore di per sé non avrebbe alcun odore, diventa sgradevole perché è cibo per i batteri che vivono sulla nostra pelle, specialmente sotto le ascelle e nella zona dei genitali dove si trovano tante ghiandole apocrine, associate ai peli, che producono un sudore più ricco di sostanze organiche grasse e che evapora di meno, essendo poco a contatto con l’aria. Per i batteri è un banchetto e, come ha scoperto Gavin Thomas dell’università di York, in Inghilterra, c’è una specie che ha più responsabilità di tutte le altre, lo Stafilococco hominis: produce infatti tioalcoli, composti con un odore fra i più pungenti in natura, grazie a un enzima che scinde un’innocua molecola inodore facendola diventare una «bomba» chimica.

Aroma inconfondibile

Secondo Thomas la scoperta potrebbe portare a deodoranti super-efficaci, che bloccando l’enzima in questione impediscano solo ai batteri più maleodoranti di produrre olezzi sconvenienti, senza toccare i tanti germi utili per l’equilibrio fisiologico della cute. «Il nostro naso riesce a riconoscere i tioalcoli in minime quantità, per questo sono così importanti per l’odore corporeo. Hanno un caratteristico aroma a metà fra formaggio e cipolla, assai pungente e inconfondibile, ma non tutti gli Stafilococchi possiedono l’enzima che li produce: per questo l’ideale sarebbe un deodorante che inattivi l’enzima», sostiene il ricercatore. Nell’attesa, per non emanare un cattivo odore è una buona idea radere le ascelle, perché i batteri si affollano sui peli, e usare deodoranti o antitraspiranti: i primi riducono crescita e attività dei batteri, gli antitraspiranti invece diminuiscono la produzione di sudore e come spiega Leonardo Celleno, presidente dell’Associazione Italiana di Dermatologia e Cosmetologia, «contengono di solito sali di alluminio micronizzati che funzionano come un tappo sullo sbocco delle ghiandole. In chi è sensibile questo può “ingolfarle” provocando un’infiammazione, perciò al primo accenno di gonfiore o irritazione vanno sospesi. In generale, meglio non abusare dei prodotti che promettono di coprire l’odore a lungo: la prima regola è lavarsi almeno una o due volte al giorno le ascelle con un sapone delicato, per ridurre il numero di batteri».

Terapia mirata

Questo è necessario soprattutto con la bella stagione perché la temperatura più alta, oltre a incrementare la quantità di sudore prodotto, favorisce la dispersione nell’aria delle piccole molecole volatili responsabili dei cattivi odori, che con il calore corporeo quindi si propagano ancora più a distanza. Un’igiene accurata e il miglior deodorante possibile però possono non bastare se si soffre di iperidrosi: l’eccesso di sudorazione anche in condizioni di temperatura normali riguarda circa il tre per cento della popolazione, ma in questi casi servono prodotti specifici o terapie mirate, dalle iniezioni di botulino alla chirurgia, per cui è fondamentale non eccedere con gli antitraspiranti e rivolgersi piuttosto al dermatologo, per trovare la soluzione più adeguata.

Per l’olfatto contano anche i ricordi

L’occhio vede una certa lunghezza d’onda della luce nello spettro del visibile e percepiamo un preciso colore, l’orecchio ascolta una frequenza e sentiamo una specifica nota: per vista e udito la corrispondenza fra lo stimolo e la percezione sensoriale è ben conosciuta. Guardando la struttura di una molecola «odorosa» invece non siamo capaci di prevedere l’aroma che annuseremo e non è affatto chiaro come il cervello elabori i diversi odori: ora una ricerca dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Rovereto ha fatto luce su alcuni meccanismi attraverso cui discriminiamo sottigliezze negli aromi ma allo stesso tempo li riconosciamo come analoghi. Possiamo per esempio distinguere il profumo del lime da quello del limone, che derivano da molecole molto simili, ma se non ci serve una precisione estrema possiamo generalizzare e ritenerli entrambi solo un sentore d’agrumi: la scelta della profondità della percezione è operata dal cervello in due tempi perché, come spiega il coordinatore dell’indagine, Giuliano Iurilli, «i neuroni sensoriali nel naso catturano i composti odorosi e li analizzano come se fossero cromatografi, strumenti capaci di individuare differenze minime di struttura molecolare. L’informazione sensoriale super-precisa arriva poi nella corteccia cerebrale olfattiva, dove la percezione diventa soggettiva e non rispecchia più le differenze chimiche, ma piuttosto le esperienze precedenti». I ricordi cambiano cioè il modo con cui i neuroni si scambiano i dati in arrivo dal naso e ciò modifica la sensazione: così se non siamo chef considereremo limone e lime come fossero lo stesso profumo, anche se il nostro naso «sa» che sono diversi.

L’età di esordio

La «condanna» al deodorante inizia con la pubertà, il momento in cui gli ormoni sessuali come il testosterone attivano le ghiandole apocrine di ascelle e genitali; l’odore poi si modifica nel tempo proprio a seguito dei cambiamenti ormonali e quindi, per esempio, è differente in gravidanza, in menopausa e nelle varie fasi del ciclo, un retaggio del lontano passato quando nelle popolazioni primitive serviva a segnalare i momenti per l’accopiamento. L’odore corporeo poi è diverso da persona a persona, perché la popolazione di batteri «odorosi» con cui conviviamo è unica per ciascuno e in una persona su due può variare perfino da un’ascella all’altra, come ha dimostrato Chris Callewaert dell’università di Ghent in Belgio. Le ghiandole sudoripare maschili poi sono meno numerose ma più attive di quelle femminili, inoltre producono un sudore più grasso e più amato dai batteri: anche per questo l’odore corporeo dell’uomo è in media più intenso di quello della donna.

Non solo Covid-19 anche traumi e polipi influenzano l’olfatto

L’olfatto, con il gusto, è uno dei sensi più colpiti da Covid-19: il virus provoca la perdita dell’odorato in molti pazienti, nella maggior parte dei casi solo temporaneamente visto che secondo una ricerca italiana entro un mese circa la metà recupera la sensibilità e il 40% migliora. L’anosmia, termine tecnico per indicare la mancanza di olfatto, può dipendere però da altre cause: la sensibilità del naso diminuisce con l’età e nei fumatori mentre la perdita dell’olfatto può essere permanente dopo traumi alla testa o a seguito di patologie neurologiche. Risolvere il problema che ha ridotto l’olfatto può bastare a recuperarlo, per esempio se il deficit dipende da infezioni respiratorie o polipi nasali, dall’uso di farmaci (alcuni antibiotici o antistaminici), da squilibri ormonali.

Fonte: Corriere della Sera

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