L’evoluzione della chirurgia è strettamente legata allo sviluppo tecnologico, e se è stata importante l’introduzione e la progressiva diffusione della cosiddetta chirurgia minimamente invasiva, in particolare quella endoscopica e quella laparoscopica, allo stesso modo – forse anche di più – è rilevante il sempre più ampio ricorso alla chirurgia robotica, che consente di ottimizzare i risultati degli interventi e di ridurne l’invasività. La prima applicazione di una tecnologia robotica in chirurgia è del 1985 e riguarda il campo neurochirurgico; del 1988 è invece la sperimentazione del primo robot in ambito urologico.

Ma in cosa consiste questa tecnica? “La chirurgia robotica assistita è una specializzazione dell’ingegneria robotica che utilizza dispositivi meccanici che permettono al chirurgo manipolazioni a distanza tramite un robot non completamente autonomo, ma in grado di eseguire manovre comandate con elevato grado di precisione”, spiega Giorgio Soldani dell’Istituto di fisiologia clinica (Ifc) del Cnr. “Può essere considerata un’evoluzione della chirurgia laparoscopica, nella quale il chirurgo esegue piccole incisioni sulla pancia del paziente e, usando una telecamera e piccoli strumenti, entra in quelle incisioni eseguendo la procedura e azionando gli strumenti al letto del paziente. Allo stesso modo, nella chirurgia robotica l’operatore crea piccole incisioni, ma gli strumenti sono azionati da lui tramite una piattaforma robotica. Il chirurgo opera a distanza tramite una consolle e manipola gli strumenti con comandi manuali. A differenza della chirurgia laparoscopica, in quella robotica gli strumenti si muovono in tutte le direzioni con un migliore accesso da parte dell’operatore, che può eseguire quindi procedure più complesse con maggiore precisione. Il sistema, inoltre, è dotato di una telecamera con visualizzazione tridimensionale che consente al chirurgo una visione più chiara”.

Vari sono gli interventi eseguiti con la chirurgia robotica, dalle isterectomie alle operazioni chirurgiche pelviche complesse con grave endometriosi, fino ai tumori al collo dell’utero o dell’ovaio. E numerosi sono i vantaggi che da essa derivano. “Rispetto alla chirurgia tradizionale, presenta un minore traumatismo della parete addominale e degli organi interni, grazie all’impiego di bracci meccanici, un minore dolore post-operatorio e una rapida ripresa post-operatoria delle funzioni fisiologiche”, precisa il ricercatore del Cnr-Ifc.

Un ruolo di primo piano nella chirurgia robotica è rivestito dal “Robot Da Vinci”, il più noto e utilizzato al mondo. “Prodotto da Intuitive Surgical, azienda leader del settore, è operativo dal 2000, anno in cui è stato approvato dall’americana Food & Drug Administration (Fda) per la chirurgia endoscopica generale, ed è stato sviluppato per facilitare operazioni chirurgiche complesse utilizzando un approccio mini-invasivo”, chiarisce Soldani. “Da Vinci permette al chirurgo di avere una visione tridimensionale immersiva e capace di moltiplicare l’acuità del campo visivo sino a dieci volte di più di quella dell’occhio umano, oltre a consentire facilità di accesso alle anatomie più complesse, precisione superiore e diminuzione del tempo di degenza, degli effetti collaterali e del rischio clinico. A oggi, ha ottenuto l’approvazione della Fda per la chirurgia endoscopica generale, per quella toracica, cardiaca (riparazione o sostituzione mini-invasiva della valvola mitralica), vascolare, urologica (prostatectomia), ginecologica (asportazione dell’utero) e otorinolaringoiatrica trans-orale”.

Non bisogna però pensare che Da Vinci agisca autonomamente in sala operatoria, è piuttosto un partner del chirurgo. “Lo definirei un’estensione delle mani umane, uno strumento sofisticatissimo ma comunque uno strumento e, quindi, non dotato di autonomia. È il chirurgo che opera utilizzando il robot, che egli guida, da dietro uno schermo, all’interno del corpo del paziente. È l’essere umano che decide e che indica al robot cosa fare. Quest’ultimo si limita a eseguire, assicurando maggiore precisione e minore invasività degli interventi”, commenta il ricercatore.

Anche il Cnr-Ifc, attraverso il Laboratorio di biomateriali e medicina rigenerativa, è attivo in questo campo. “La nostra struttura è focalizzata sullo sviluppo di sistemi robotici per la sostituzione mini-invasiva della valvola aortica in chirurgia cardiaca. In particolare, grazie al finanziamento della Regione Toscana al progetto Valve-Tech – al quale hanno partecipato anche la Scuola Superiore S. Anna, il Centro EndoCas dell’Università di Pisa, la Fondazione toscana Gabriele Monasterio e l’impresa S.M. Scienzia Machianle Srl – è stata realizzata una nuova valvola cardiaca polimerica (Vcp) sutureless (crimpabile/espandibile) che, sotto navigazione chirurgica e guida endoscopica, può essere applicata in modo mini-invasivo con un manipolatore robotico in grado di raggiungere il sito d’intervento e di posizionare la valvola in modo sicuro, efficace e veloce”, aggiunge l’esperto. “Grazie a questo sistema, in futuro sarà possibile utilizzare la procedura mini-invasiva in un numero di pazienti sempre maggiore, ridurre i tempi di intervento e limitare complicanze dovute a errori di posizionamento della valvola stessa. Per agevolare il chirurgo nella pianificazione dell’intervento e nella visione durante l’operazione, è previsto lo sviluppo, tramite l’impiego di immagini (per esempio Tac e Rm) di una piattaforma di simulazione paziente specifica per la pianificazione preoperatoria e la guida intraoperatoria (vedi immagine nell’articolo)”.

Numerosi, è evidente, sono i vantaggi derivanti dall’uso della chirurgia robotica, che presenta però anche alcuni svantaggi. “Le criticità sono legate soprattutto al costo elevato del sistema, sia iniziale per l’acquisizione del robot e della strumentazione, sia per il mantenimento del sistema”,  dice Soldani. “Inoltre, per  manovrare il robot occorrono competenze molto elevate da parte del chirurgo e del personale di sala, abilità che vanno acquisite attraverso una specifica formazione. Infine, in questa procedura chirurgica non è ancora presente un feed-back tattile, che invece si ha in un intervento diretto, dal momento che i robot utilizzati attualmente in sala operatoria ancora non sono dotati di sensori in grado di fornire informazioni sul sito di intervento. Studi scientifici sono comunque in corso per realizzare robot tattili”.

Il contributo di questi strumenti tecnologici all’attività umana in sala operatoria è dunque notevole, ma il ruolo umano è ancora fondamentale. Ma forse in futuro non sarà più così. “All’orizzonte si affaccia una nuova generazione di robot autonomi o semi autonomi, capaci non solo di ricevere ed eseguire comandi, ma anche di prendere decisioni. Quando ciò avverrà la robotica avrà compiuto un ulteriore passo avanti, una svolta verso la realizzazione di macchine sempre più indipendenti da noi”, conclude il ricercatore. “In campo medico, il trend del futuro potrebbe essere quello di robot in scala nanoscopica, specializzati su singole tipologie di intervento e che iniziano a prendere decisioni, magari reagendo ai comandi solo visivi del chirurgo. In altre parole, il chirurgo robot potrebbe non aver più bisogno della mano umana”.

 

Fonte: Almanacco della Scienza

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