Quando i ricordi vengono codificati come esperienze emotivamente positive o negative, le registrazioni vengono effettuate in parti diverse del cervello. Ricercatori e ricercatrici stanno ora scoprendo che cosa determina la direzione delle informazioni.

State vivendo la vacanza della vostra vita in Kenya, attraversando la savana durante un safari, con la guida turistica che vi indica gli elefanti alla vostra destra e i leoni alla vostra sinistra. Anni dopo, entrate in un negozio di fiori nella vostra città natale e sentite un odore simile a quello dei fiori degli alberi di ebano africano che punteggiavano il paesaggio. Quando chiudete gli occhi, il negozio scompare e vi ritrovate nella Land Rover. Inspirando profondamente, sorridete al ricordo felice.

 

Ora riavvolgiamo il nastro. Siete nella vacanza della vostra vita in Kenya, attraversando la savana durante un safari, con la guida turistica che vi indica gli elefanti alla vostra destra e i leoni alla vostra sinistra. Con la coda dell’occhio, notate un rinoceronte che segue il veicolo. All’improvviso, scatta verso di voi e la guida turistica urla all’autista di premere il gas. Con l’adrenalina alle stelle, pensate: “È così che morirò”. Anni dopo, quando entrate in un negozio di fiori, il dolce profumo floreale vi fa rabbrividire.

“Fondamentalmente, il cervello associa l’odore a sensazioni positive o negative”, spiega Hao Li, ricercatore al Salk Institute for Biological Studies, in California. Questi sentimenti non sono solo legati al ricordo, ma ne fanno parte: Il cervello assegna una “valenza” emotiva alle informazioni mentre le codifica, bloccando le esperienze come ricordi positivi o negativi.

E ora sappiamo in che modo il cervello lo fa. Come Li e il suo gruppo di ricerca hanno riferito di recente su “Nature”, la differenza tra i ricordi che evocano un sorriso e quelli che suscitano un brivido è stabilita da una piccola molecola peptidica nota come neurotensina. Hanno scoperto che quando il cervello giudica le nuove esperienze sul momento, i neuroni regolano il loro rilascio di neurotensina e questo cambiamento invia le informazioni in arrivo lungo diverse vie neurali per essere codificate come ricordi positivi o negativi.

La scoperta suggerisce che nella creazione dei ricordi il cervello potrebbe essere orientato a ricordare le cose con paura, un’anomalia evolutiva che potrebbe aver contribuito a rendere cauti i nostri antenati.

Questi risultati “ci danno un’idea significativa di come gestiamo le emozioni contrastanti”, dichiara Tomás Ryan, neuroscienziato al Trinity College di Dublino, che non ha partecipato allo studio e che al riguardo dichiara: “Ha messo in discussione il mio pensiero su quanto possiamo spingere la comprensione molecolare dei circuiti cerebrali”.

Inoltre, apre la possibilità di sondare le basi biologiche dell’ansia, della dipendenza e di altre condizioni neuropsichiatriche che possono insorgere quando le interruzioni del meccanismo portano a “un’eccessiva elaborazione negativa”, dice Li. In teoria, il meccanismo potrebbe essere sfruttato da nuovi farmaci e rappresentare una via di cura.

“Si tratta di una ricerca davvero straordinaria” che avrà un profondo impatto sui concetti psichiatrici di paura e ansia, commenta Wen Li, professoressa associata alla Florida State University, che studia la biologia dei disturbi d’ansia e non è stata coinvolta nello studio.

Bacche pericolose

I neuroscienziati sono ancora lontani dal capire esattamente come il nostro cervello codifichi e memorizzi i ricordi, o invece li dimentichi. L’assegnazione della valenza è comunque considerata una parte essenziale del processo di formazione dei ricordi carichi di emozioni.

La capacità del cervello di registrare gli indizi ambientali e le esperienze come ricordi buoni o cattivi è fondamentale per la sopravvivenza. Se mangiare una bacca ci fa stare molto male in seguito, istintivamente evitiamo quella bacca e tutto ciò che le somiglia. Se mangiare una bacca ci dà una deliziosa soddisfazione, possiamo cercarne altre. “Per poter decidere se avvicinarsi o evitare uno stimolo o un oggetto, bisogna sapere se la cosa è buona o cattiva”, dice Hao Li.

I ricordi che collegano idee diverse, come “bacca” e “malattia” o “piacere”, sono chiamati ricordi associativi e sono spesso carichi di emozioni. Si formano in una piccola regione del cervello a forma di mandorla chiamata amigdala. Sebbene sia tradizionalmente conosciuta come il “centro della paura” del cervello, l’amigdala risponde anche al piacere e ad altre emozioni.

Una parte dell’amigdala, il complesso basolaterale, associa gli stimoli dell’ambiente con esiti positivi o negativi. Ma come facesse non era chiaro fino a qualche anno fa, quando un gruppo del Massachusetts Institute of Technology (MIT) guidato dalla neuroscienziata Kay Tye ha scoperto qualcosa di straordinario nell’amigdala basolaterale dei topi, come riportato su “Nature” nel 2015 e su “Neuron” nel 2016.

Tye e il suo gruppo hanno analizzato l’amigdala basolaterale dei topi che imparavano ad associare un suono all’acqua zuccherata o a una lieve scossa elettrica e hanno scoperto che, in ciascun caso, si rafforzavano le connessioni a un gruppo diverso di neuroni. Quando in seguito i ricercatori hanno riprodotto il suono per i topi, i neuroni che erano stati rafforzati dalla ricompensa o dalla punizione appresa sono diventati più attivi, dimostrando il loro coinvolgimento nella memoria associata.

Ma il gruppo di Tye non era in grado di capire che cosa guidasse le informazioni verso il gruppo di neuroni giusto. Che cosa aveva agito da interruttore?

La risposta più ovvia era la dopamina, un neurotrasmettitore noto per la sua importanza nell’apprendimento di ricompense e punizioni. Ma uno studio del 2019 ha dimostrato che, sebbene questa molecola “del benessere” fosse in grado di codificare le emozioni nei ricordi, non era in grado di assegnare alle emozioni un valore positivo o negativo.

I ricercatori hanno quindi iniziato a esaminare i geni espressi nelle due aree in cui si formavano i ricordi positivi e negativi e i risultati hanno fatto rivolgere la loro attenzione ai neuropeptidi, piccole proteine multifunzionali in grado di rafforzare lentamente e costantemente le connessioni sinaptiche tra i neuroni. Hanno scoperto che una serie di neuroni dell’amigdala aveva più recettori per la neurotensina rispetto all’altra.

La scoperta era incoraggiante perché un lavoro precedente aveva dimostrato che la neurotensina, una molecola di appena 13 aminoacidi, è coinvolta nell’elaborazione della ricompensa e della punizione, compresa la risposta alla paura. Il gruppo di Tye ha così cercato di capire che cosa sarebbe successo se avessero modificato la quantità di neurotensina nel cervello dei topi.

Una piccola molecola con una grande personalità

Seguirono anni di manipolazione chirurgica e genetica di neuroni di topi e di registrazione dei comportamenti che ne derivavano. “Quando ho finito il dottorato, avevo fatto almeno 1000 interventi”, dice Praneeth Namburi, coautore di entrambi i lavori e primo autore di quello del 2015.

In quel periodo, Tye ha trasferito il suo laboratorio dall’altra parte degli Stati Uniti, dal MIT al Salk Institute, in California, mentre Namburi è rimasto al MIT e ora studia come ballerini e atleti rappresentano le emozioni nei loro movimenti. Hao Li si è invece unito al laboratorio di Tye come ricercatore post dottorato, raccogliendo gli appunti di Namburi. Il progetto è stato poi bloccato dalla pandemia, ma Hao Li lo ha portato avanti chiedendo lo status di personale essenziale e trasferendosi praticamente nel laboratorio, a volte dormendovi. “Non so come abbia fatto a rimanere così motivato”, osserva Tye.

I neuroni di diverse regioni del talamo estendono gli assoni nell’amigdala, ma alcuni ricercatori hanno scoperto che solo la regione del nucleo paraventricolare (in verde) determina la valenza dei ricordi

I ricercatori sapevano che i neuroni dell’amigdala non producevano neurotensina, quindi dovevano prima capire da dove provenisse il peptide. Quando hanno effettuato scansioni del cervello, hanno trovato nel talamo alcuni neuroni che producevano molta neurotensina e che spingevano i loro lunghi assoni nell’amigdala.

Il gruppo di Tye ha poi insegnato ai topi ad associare un segnale acustico a del cibo delizioso o a una scossa. I ricercatori hanno scoperto che nell’amigdala i livelli di neurotensina aumentavano dopo l’apprendimento della ricompensa e diminuivano dopo l’apprendimento della punizione. Modificando geneticamente i neuroni talamici dei topi, sono riusciti a controllare come e quando i neuroni rilasciano la neurotensina. L’attivazione dei neuroni che rilasciano neurotensina nell’amigdala ha favorito l’apprendimento della ricompensa, mentre l’eliminazione dei geni della neurotensina ha rafforzato l’apprendimento della punizione.

I ricercatori hanno anche scoperto che l’assegnazione di valenze agli indizi ambientali promuove risposte comportamentali attive rispetto a essi. Quando i ricercatori, eliminando i neuroni talamici, hanno impedito all’amigdala di ricevere informazioni sulla valenza positiva o negativa, i topi sono stati più lenti a raccogliere le ricompense; in situazioni di minaccia, invece di scappare i topi sono rimasti fermi, come bloccati.

Che cosa suggeriscono questi risultati se il vostro sistema di assegnazione della valenza si rompesse, per esempio mentre un rinoceronte arrabbiato vi sta caricando? “Vi importerebbe solo in minima parte”, afferma Tye. La vostra indifferenza in quel momento verrebbe registrata nella memoria. E se vi trovaste in una situazione simile più avanti nella vita, il ricordo non vi indurrebbe a cercare urgentemente di fuggire, aggiunge Tye.

Tuttavia, la probabilità che un intero circuito cerebrale si spenga è bassa, dice Jeffrey Tasker, professore all’Istituto di neuroscienze della Tulane University of Louisiana. È più probabile che mutazioni o altri problemi impediscano semplicemente al meccanismo di funzionare bene, invece di invertire la valenza. “Sarebbe difficile vedere una situazione in cui qualcuno possa scambiare una tigre che carica per un approccio amoroso”, spiega Tasker.

Hao Li si dice d’accordo e osserva che il cervello ha probabilmente meccanismi di ripiego che entrano in funzione per rinforzare le ricompense e le punizioni anche se il sistema primario di valenza fallisce. Si tratta di una questione interessante da seguire in futuro, aggiunge.

Un modo per studiare i difetti del sistema di valenza, osserva Tasker, potrebbe essere esaminare le rarissime persone che riferiscono di non provare paura, anche in situazioni abitualmente giudicate terrificanti. Diverse condizioni e lesioni non comuni possono avere questo effetto, come la sindrome di Urbach-Wiethe, che può causare la formazione di depositi di calcio nell’amigdala, smorzando la risposta alla paura.

Il cervello è pessimista

I risultati sono “piuttosto importanti in termini di avanzamento della nostra comprensione e del nostro pensiero sul circuito della paura e sul ruolo dell’amigdala”, osserva Wen Li. “Stiamo imparando di più su sostanze chimiche come la neurotensina, meno conosciute della dopamina ma che hanno ruoli critici nel cervello”, aggiunge.

Il lavoro indica la possibilità che il cervello sia pessimista di base, nota Hao Li. Il cervello deve produrre e rilasciare neurotensina per imparare a conoscere le ricompense; imparare le punizioni richiede meno lavoro.

Un’ulteriore prova di questo pregiudizio viene dalla reazione dei topi messi per la prima volta in situazioni di apprendimento. Prima di sapere se le nuove associazioni sarebbero state positive o negative, il rilascio di neurotensina dai loro neuroni del talamo diminuisce. I ricercatori ipotizzano che ai nuovi stimoli venga assegnata automaticamente una valenza più negativa fino a quando il contesto non è più certo e consente di “riscattarli”.

“Si è più reattivi alle esperienze negative rispetto a quelle positive”, dice Hao Li. Se si viene quasi investiti da un’auto, probabilmente lo si ricorderà per molto tempo, ma se si mangia qualcosa di delizioso, è probabile che il ricordo svanisca in pochi giorni.

Ryan è più cauto nell’estendere queste interpretazioni agli esseri umani. “Abbiamo a che fare con topi di laboratorio cresciuti in ambienti molto, molto poveri e con un background genetico molto particolare”, avverte.

In esperimenti futuri, sarebbe comunque interessante determinare se la paura è l’effettivo stato predefinito del cervello umano, e se varia a seconda delle specie, o anche di individui con esperienze di vita e livelli di stress diversi.

I risultati sono anche un ottimo esempio di quanto il cervello sia integrato, commenta Wen Li: “L’amigdala ha bisogno del talamo e il talamo ha probabilmente bisogno di segnali provenienti da altre parti. Sarebbe interessante sapere quali neuroni del cervello inviano segnali al talamo”, dice Li.

Uno studio recente pubblicato su “Nature Communications” ha scoperto che un singolo ricordo di paura può essere codificato in più di una regione del cervello. I circuiti coinvolti dipendono probabilmente dal ricordo. Per esempio, la neurotensina è probabilmente meno cruciale per la codifica di ricordi che non hanno molte emozioni, come i ricordi “dichiarativi” che si formano quando si impara un vocabolario.

Per Tasker, il chiaro e netto rapporto che lo studio di Tye ha trovato tra una singola molecola, una funzione e un comportamento è molto impressionante: “È raro trovare una relazione univoca tra un segnale e un comportamento, o tra un circuito e una funzione”, osserva.

Obiettivi neuropsichiatrici

La precisione del ruolo della neurotensina e dei neuroni talamici nell’assegnazione della valenza potrebbe renderli bersagli ideali per i farmaci destinati al trattamento dei disturbi neuropsichiatrici. “In teoria, se si riuscisse a correggere l’assegnazione della valenza, si potrebbe trattare la malattia”, nota Hao Li.

Non è chiaro se i farmaci mirati alla neurotensina possano cambiare la valenza di un ricordo già formato. Ma questa è la speranza, dice Namburi.

Dal punto di vista farmacologico, non sarà facile. “I peptidi sono notoriamente difficili da lavorare”, puntualizza Tasker, perché non attraversano la barriera emato-encefalica che isola il cervello dai materiali estranei e dalle fluttuazioni della chimica del sangue. Ma non è impossibile, e lo sviluppo di farmaci mirati è proprio l’obiettivo del settore, aggiunge Tasker.

La nostra comprensione del modo in cui il cervello assegna la valenza presenta ancora importanti lacune. Non è chiaro, per esempio, a quali recettori si leghi la neurotensina nei neuroni dell’amigdala per attivare l’interruttore della valenza. “Una lacuna che mi disturberà finché non sarà colmata”, aggiunge Tye.

“Non si sa ancora molto su come l’assegnazione di valenze problematiche possa guidare l’ansia, la dipendenza o la depressione”, incalza Hao Li, che recentemente è stato nominato professore assistente alla Northwestern University e ha intenzione di esplorare ulteriormente alcune di queste domande nel suo nuovo laboratorio. “Oltre alla neurotensina, nel cervello ci sono molti altri neuropeptidi che sono potenziali bersagli per interventi”, prosegue Hao Li. “Solo che non sappiamo che cosa facciano tutti.” Li è anche curioso di sapere come reagirebbe il cervello a una situazione più ambigua, in cui non è chiaro se l’esperienza sia buona o cattiva.

Queste domande rimangono nella mente di Hao Li anche molto tempo dopo aver finito di mettere in ordine ed essere tornato a casa per la notte. Ora che sa quale rete di cellule “chiacchierone” del suo cervello guida le emozioni che prova, scherza con gli amici sul fatto che il suo cervello libera neurotensina o la trattiene in risposta a ogni notizia buona o cattiva.

“È chiaro che si tratta di biologia, succede a tutti”, commenta. Questo “mi fa sentire meglio quando sono di cattivo umore”.

 

Fonte: Le Scienze

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