Che cosa avverrà nei prossimi 30 anni? La risposta è cruciale per la salute del Pianeta e la lotta al riscaldamento globale. «L’obiettivo è arrivare nel 2050 a “zero emissioni nette” di anidride carbonica: significa che dovremo ridurre in maniera drastica la quantità di questo gas serra che rilasceremo in atmosfera e “assorbire” quella che non riusciremo a eliminare», ci spiega Massimo Tavoni, docente di economia del clima al Politecnico di Milano e direttore dell’Istituto Europeo sull’Economia e l’Ambiente. Tavoni è uno degli autori italiani dell’ultimo rapporto dell’Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change), il Gruppo Intergovernativo sul Cambiamento Climatico: è il sesto dei rapporti di valutazione che dal 1990 fanno il punto sullo “stato del clima”.

MENO VELENI. È dunque più che mai attuale chiederci com’era la situazione del Pianeta quando la descrivevamo nel nostro giornale appena nato, cosa abbiamo fatto in questi anni e che cosa dovrà succedere nei prossimi 30. Il nostro dossier sul numero 4 del febbraio 1993 elencava I nemici della Terra: lo sfruttamento delle risorse naturali, l’aumento di anidride carbonica, il traffico… Segnalavamo l’intensità del ritmo della deforestazione e che erano in aumento le concentrazioni di anidride carbonica (che trattiene il calore, intrappolando la radiazione infrarossa riemessa dalla Terra, causando il riscaldamento): venivano misurate in modo continuo dal 1958, quando lo scienziato Charles David Keeling aveva iniziato un programma di monitoraggio al Mauna Loa Observatory alle Hawaii. I suoi dati erano stati la prima prova significativa del rapido aumento di CO2 in atmosfera.

Il surplus, scrivevamo, veniva dalle attività umane (bruciare combustibili fossili, attività industriali, deforestazione) e anche l’aumento di altri gas come il metano stava contribuendo all’effetto serra. C’era poi il problema delle auto e dell’inquinamento: per migliorare la situazione si contava su marmitte catalitiche e benzina verde (senza piombo, introdotta in Italia dal 1985).

Nonostante fosse già ben presente la necessità di ridurre quanto stavamo riversando in atmosfera, in questi tre decenni a livello globale le emissioni “umane” di anidride carbonica e altri gas serra, come metano e protossido di azoto, sono però ancora aumentate: del 54%, dal 1990 al 2019.

INQUINANTI LEGATI AL TRAFFICO IN CITTÀ. Facciamo l’esempio del traffico, di cui parlavamo nel dossier. «Rispetto a trent’anni fa è cambiata la tecnologia, cioè motori e combustibili, e sono state introdotte normative che hanno portato una notevole riduzione per alcuni inquinanti legati al traffico: nelle città italiane non sono più grossi problemi il biossido di zolfo, grazie alla riduzione dello zolfo nelle benzine; il monossido di carbonio, per una migliore combustione nei motori; il piombo, eliminato con la benzina verde. Sono calati anche inquinanti allora nemmeno monitorati, come le polveri sottili PM10 e PM2,5, che però restano un problema», spiega Francesco Petracchini, direttore dell’Istituto sull’Inquinamento Atmosferico (Iia) del Cnr e autore del rapporto Mobilitaria 2022 di Kyoto Club e Cnr-Iia, su mobilità ed emissioni in 14 città metropolitane.

«Per la CO2 invece nelle città italiane vediamo una stasi e non un miglioramento netto come per gli inquinanti. Le emissioni di questo gas serra dovute al trasporto su strada sono spesso una parte importante del totale: nell’area metropolitana di Firenze, la CO2 dovuta alla mobilità è arrivata all’80%».

DEFORESTAZIONE. «Nel bilancio delle emissioni ci sono anche quelle legate alla deforestazione. Le piante assorbono CO2 e la trasformano in sostanza organica, immagazzinando il carbonio in legno, foglie, suolo. Quando una foresta viene tagliata c’è un rilascio di CO2 – per esempio quando il legno è bruciato – e viene a mancare l’assorbimento», spiega Lucia Perugini, ricercatrice del Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici. «Rispetto agli anni ’90 c’è stata una diminuzione del tasso di deforestazione: sono stati abbattuti 10 milioni di ettari di foreste all’anno nel periodo 2015-2020 contro i 16 milioni del periodo 1990-2000.»

I punti caldi sono Amazzonia, bacino del Congo, sudest asiatico. Gran parte della deforestazione è dovuta all’uso delle terre per pascoli o per produzioni agricole commerciali come soia, palma da olio, cacao, caffè. A questo punto, però, la scienza ci sta avvertendo in tutti i modi che è necessario un radicale cambio di passo. «Il sesto rapporto Ipcc lancia un messaggio chiaro: dobbiamo agire il più in fretta possibile e mantenere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi sul clima, del 2015, che impegna i Paesi a ridurre le emissioni di gas serra, ovvero limitare l’aumento della temperatura media rispetto ai livelli preindustriali ben al di sotto dei 2 °C e possibilmente a 1,5 °C.

ACCORDO DI PARIGI SUL CLIMA. Lo scarto sembra poco, ma quel mezzo grado di differenza implica una variazione notevole negli effetti climatici, dalla fusione dei ghiacci all’aumento dei fenomeni estremi», dice Tavoni. Ricordando che il primo limite è quanto mai vicino: il rapporto ha stimato un aumento di 1,09 °C della temperatura media alla superficie tra il periodo 1850-1900 e il decennio 2011-2020. «Quindi è verosimile che si superi comunque 1,5 °C per un certo periodo, anche poi rientrando nel limite entro il 2100». L’Ipcc configura diversi scenari: nei primi due con minime e basse emissioni di gas serra la temperatura nel 2100 potrebbe essere di 1,4 e di 1,8 °C più alta rispetto al 1850-1900; in quello medio di 2,7 °C; in quelli con emissioni alte e molto alte di 3,6 e di 4,4 °C.

Ridurre i gas serra è dunque d’obbligo. Come spiega Tavoni, «il metano ha per esempio un forte impatto sulle temperature nel breve periodo – in pratica “scalda” molto, ma dura poco in atmosfera – e per evitare che la temperatura cresca rapidamente bisogna ridurne le emissioni di un terzo nei prossimi dieci anni.

TRASPORTI A TUTTO GREEN. Come? Una strategia poco costosa è ridurre le perdite nell’estrazione e nel trasporto del gas naturale, da cui viene parte delle emissioni di metano. Ma nel lungo periodo conta la CO2, che resta molto in atmosfera e che emettiamo in enormi quantità: per stabilizzare il clima, dovremo quindi arrivare alle “zero emissioni nette” di anidride carbonica nel 2050 (per limitare l’aumento a 1,5 °C) o al massimo nel 2070 (per stare nei 2 °C)». Come dicevamo all’inizio, appunto. L’Europa, per esempio, si è data come obiettivo il 2050.

Possiamo farcela? «Per l’Ipcc è ancora possibile, anche se la finestra si sta stringendo perché le emissioni sono le più alte della storia», sottolinea Tavoni. Le emissioni di CO2 e altri gas serra nel settore energetico sono per esempio arrivate a un livello record nel 2021, recuperando il calo del 2020 dovuto alla pandemia: colpa del forte ricorso al carbone per alimentare la ripresa. «Ma le tecnologie fondamentali per la transizione, come le energie rinnovabili e le batterie, hanno fatto passi da gigante e i costi sono prossimi a quelli dei combustibili fossili. Con le rinnovabili si produce sempre più energia e i costi sono molto scesi», spiega Tavoni. «Sono strategie di mitigazione fattibili, dunque, il passaggio alle rinnovabili e l’elettrificazione: produrre elettricità “verde” e poi usarla ovunque sia possibile. A cominciare dai trasporti».

Come infatti continua Petracchini, «ci deve essere una transizione dai motori a combustione interna a quelli elettrici. Vari Paesi hanno previsto uno stop alla vendita di auto diesel, a benzina e ibridi dal 2030 o 2035, dalla Norvegia alla Germania (per l’Ue la data proposta è 2035). Così negli anni successivi ci sarà un cambio verso i veicoli a zero emissioni. E passare all’elettrico avrebbe effetto anche sugli inquinanti legati alle auto che oggi in varie città italiane superano spesso i limiti consentiti: biossido d’azoto, PM10, PM2,5. Pochi mesi fa l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha diffuso nuove linee guida che abbassano i limiti raccomandati, e l’Unione Europea sta rivedendo la normativa sulla qualità dell’aria».

CASE EFFICIENTI.  Come aggiunge Tavoni, «nell’industria, all’elettrificazione si può unire l’uso dell’idrogeno, magari dove c’è bisogno di alte temperature come nel settore del cemento. Oltre all’idrogeno, possono entrare in gioco i biocombustibili prodotti in modo sostenibile, per esempio da scarti agricoli. Mentre per gli edifici si punta su efficienza energetica e sulle pompe di calore (che usano l’elettricità e non il gas) per riscaldare e raffreddare». Ma anche sul legno (da silvicoltura sostenibile). «Usare il legno nell’edilizia ha un forte potere di riduzione delle emissioni, sostituendo materiali come acciaio o cemento che nella loro produzione liberano CO2 e richiedono molta energia», aggiunge Perugini.

Molteplici benefici verrebbero anche dalla protezione delle foreste. «Fermare la deforestazione è la priorità per contrastare le emissioni, oltre che per la tutela della biodiversità», continua Perugini. «Bisogna poi diffondere metodi di coltivazione più sostenibili e aumentare la produttività dei campi, per evitare di ampliarli a spese della foresta. L’agricoltura di precisione, nei Paesi industrializzati, riduce poi l’uso dei fertilizzanti e delle emissioni ad essi associate».

Tra le strategie di mitigazione, c’è anche il restauro dei polmoni verdi della Terra. «Con il ripristino delle foreste degradate», aggiunge Perugini. «Piantare alberi anche dove non c’erano (afforestazione) è stato proposto come strategia per assorbire CO2, ma è discussa per i diversi problemi che comporterebbe, per esempio la necessità di molto spazio, che si dovrebbe ricavare da terre agricole o ambienti naturali come le praterie».

RIPULIRE L’ATMOSEFERA. La rimozione della CO2 entra infatti nel mix di strategie di mitigazione proposte (anche se molti hanno dubbi sulla sua efficacia e fattibilità). Oltre agli alberi, esistono varie opzioni hi-tech: diverse tecnologie per “catturarla” da centrali elettriche e industrie che la producono o direttamente dall’aria, per poi stoccarla o utilizzarla. «Non tutte le emissioni saranno eliminabili, dunque ci servirà avere a disposizione anche queste tecnologie.

Il rapporto Ipcc lo ripete, pur con meno enfasi rispetto al rapporto precedente: queste tecnologie infatti non sono progredite, ci sono pochi impianti e i costi restano alti», dice Tavoni. Infine l’Ipcc chiama in causa tutti noi, enfatizzando l’importanza dei cambi negli stili di vita: dalla riduzione dei consumi alla mobilità. «Deve aumentare l’uso di treni e metropolitane, della bicicletta, dei mezzi pubblici al posto dei veicoli privati. Questo va reso possibile con azioni per la mobilità sostenibile nelle città, per esempio potenziando i mezzi e sviluppando le ciclabili», aggiunge Petracchini.

MENO CARNE, MENO METANO. Anche la dieta, ci dicono le analisi, dovrebbe cambiare. «Mangiare meno carne incide sull’espansione degli allevamenti, che rilasciano metano prodotto nella digestione dei ruminanti e consumano suolo per la produzione di mangimi», conclude Perugini. Comportamenti che, tra l’altro, sappiamo far bene alla salute nostra, oltre che a quella della Terra.

 

Fonte: Focus

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