Età di pensionamento, il confronto internazionale alla luce dei requisiti in vigore dal 2019

Articolo del 13 Dicembre 2018

Come cambieranno i requisiti per accedere alla pensione nel 2019? È questa una delle domande più ricorrenti nel dibattito pensionistico di questi ultimi mesi dell’anno. Per dare una risposta al quesito, dobbiamo innanzitutto ricordare che il tutto dipenderà dall’esito delle proposte governative ancora in discussione.

Se la riforma Monti-Fornero, come molto probabile, non sarà modificata, a partire dal prossimo anno il requisito di età anagrafica per accedere alla pensione di vecchiaia salirà a 67 anni per tutti i lavoratori,uomini e donne (fermo restando il requisito di una contribuzione minima di 20 anni), con un incremento di 5 mesi rispetto al 2018 (tabella 1). Requisito anagrafico che sarà necessario anche per poter accedere all’assegno sociale. Secondo l’ipotesi più accreditata, l’età anagrafica per la pensione di vecchiaia continuerà poi a essere adeguata alla speranza di vita, così come previsto dalla riforma Monti-Fornero.

Come già ricordato altre volte in questa sede, aggancio dell’età di pensionamento all’aspettativa di vita e revisione triennale dei coefficienti di trasformazione (biennale dal 2109) rappresentano d’altra parte i due stabilizzatori automatici posti a garanzia della sostenibilità del sistema pensionistico, atti a contrastare gli effetti dell’invecchiamento demografico. Nel 2019 cambieranno anche i coefficienti di trasformazione per il calcolo della pensione che, a propria volta legati all’aspettativa di vita, determineranno, a parità di età anagrafica, una riduzione di circa l’1% dell’importo del trattamento pensionistico rispetto al triennio 2015-18. Tema, quest’ultimo, che sarà ulteriormente approfondito in un articolo dedicato.

Il secondo canale di accesso alla pensione, ossia la “pensione di vecchiaia anticipata” si otterrà invece, se non dovessero intervenire modifiche alla riforma Fornero, con 43 anni e 3 mesi di contributi per gli uomini e 42 anni e 3 mesi per le donne (tabella 2), a prescindere dall’età anagrafica. Quindi, 5 mesi in più sia per i maschi sia per le femmine. Se invece, come più probabile, sarà attuata la proposta del governo di bloccare l’indicizzazione dell’anzianità contributiva, i requisiti potrebbero rimanere fermi a quelli già in vigore per quest’anno, e cioè 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 e 10 mesi per le donne.

L’invecchiamento della popolazione è indubbiamente un fenomeno comune alla gran parte dei Paesi UE e non solo, tant’è che negli ultimi anni i sistemi pensionistici europei si sono attrezzati per cercare di contenerne le conseguenze innalzando le età di pensionamento. Tra i Paesi europei spicca però proprio l’Italia che, con i 67 anni di età in vigore dal prossimo gennaio, si conferma ai primi posti della classifica europea per età legale richiesta per il pensionamento di vecchiaia.

Ma a che età andiamo effettivamente in pensione? Allargando l’orizzonte all’area OCSE, scopriamo che l’Italia continua a non vantare alcun primato internazionale per età effettiva di pensionamento. Tra il 2012 e il 2017 le lavoratrici italiane sono andate in pensione a un’età media effettiva di 61 anni, contro una media OCSE di 63 anni e 6 mesi, posizionandosi alle spalle di Paesi come il Regno Unito (63,9), la Germania (63,4) e la Spagna (61,6); mentre, per quanto riguarda gli uomini, l’Italia si posiziona ancora più in coda alla classifica con un’età media effettiva di 62 anni e 4 mesi, a fronte di una media OCSE pari a 65 anni e 3 mesi.

È bene comunque sottolineare che negli ultimi trent’anni, grazie alle riforme che si sono susseguite, l’Italia ha fatto passi da gigante in fatto di età effettive di pensionamento. Fatto d’altro canto positivo, che ha risolto alcune anomalie presenti all’interno di un sistema (baby pensioni, prepensionamenti, etc.) che consentiva di andare in pensione con requisiti anche eccessivamente favorevoli (basti pensare ai famosi 14 anni 6 mesi e un giorno dei dipendenti pubblici).

Fonte: ilpuntopensionelavoro.it