Fra quote e scaloni quale futuro per le pensioni

Articolo del 19 Novembre 2021

In tema di previdenza, le ultime fatiche della politica riguardano oggi il tentativo di superare il cosìddetto «scalone» che sarebbe creato dallo stop di Quota 100 (62 anni di età e 38 anni di contributi) a fine anno e dal ritorno secco allo schema della Legge Fornero. Il governo, con la Legge di Bilancio 2022, ha messo sul piatto Quota 102 (uscita con 64 anni di età e 38 anni di contributi) ma come risposta temporanea, per un solo anno, in vista dell’apertura di un tavolo con le parti sociali per identificare una soluzione definitiva.

Il presidente dell’Inps Pasquale Tridico ha avanzato una proposta articolata, che prevede l’uscita anticipata dal mondo del lavoro a 63-64 anni (da adeguare nel tempo) ma incassando la sola quota contributiva dell’assegno, aspettando la maturazione dei termini previsti per le uscite ordinarie (attualmente 67 anni) per ottenere la parte derivante dal calcolo retributivo. Dall’osservatorio di un fondo pensione con una storia trentennale alle spalle, come Previndai, non si riesce a cancellare la sensazione che il dibattito pubblico in queste occasioni si concentri sul classico dito invece che sulla luna.

Il problema certamente esiste, è sentito e va risolto, ma riguarda una platea esigua rispetto a quella che avrà a che fare con l’applicazione del sistema contributivo puro, che sconterà tassi di sostituzione rispetto all’ultima retribuzione ben distanti da quelli del sistema retributivo e spesso senza che gli interessati abbiano piena coscienza di quale sarà, sotto questo profilo, l’epilogo della propria carriera lavorativa. Il tutto senza che in Italia la diffusione della previdenza complementare, stampella della pensione base per mantenere un reddito non troppo distante da quello da lavoro, sia arrivata a livelli soddisfacenti per il sistema nel suo complesso.

Oggi in Italia il tasso di adesione si attesta attorno al 33%, un livello in crescita rispetto agli anni passati ma ancora troppo basso per permettere alle generazioni future di affrontare con serenità gli anni meno vigorosi della loro vita. E’ poi il caso di sottolineare il forte sbilanciamento a favore degli uomini, il 62% del totale degli iscritti contro il 38% delle donne. Un fattore legato sia alla più bassa partecipazione femminile al mondo del lavoro (54,7%) sia alle differenze salariali, che alle più frequenti carriere discontinue delle donne.

Insomma, oggi i livelli di adesione appaiono troppo bassi per garantire serenità a generazioni che, oltre a scontare un diverso sistema di calcolo della pensione di base, dovranno verosimilmente far fronte anche alle conseguenze di interruzioni i dei periodi di attività professionale e/o di un ingresso meno precoce che in passato nel mondo del lavoro. E allora ben vengano i ragionamenti sulle Quote e sulle formule per permettere a chi oggi vorrebbe andare in pensione e non può farlo, ma sarebbe utile anche che il dibattito pubblico si spostasse più verso il futuro e che si iniziasse davvero a discutere e a ragionare su come incrementare l’adesione alle forme di previdenza complementare.

Stimolare la curiosità e la conoscenza verso il proprio futuro previdenziale dovrebbe essere un imperativo per la classe dirigente del Paese che, se non affronterà tempestivamente il problema, tra qualche anno potrebbe trovarsi di fronte conseguenze ben più drammatiche di quelle create oggi da «Quote» e »Scaloni»: persone uscite dal mondo del lavoro senza poter contare su un sostentamento sufficiente a una vita dignitosa. Anche l’introduzione di nuovi incentivi all’adesione alla previdenza complementare potrebbe essere un tema da considerare: le risorse così impiegate servirebbero a creare un futuro migliore per i cittadini, una filosofia che è al centro del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.

D’altro canto stimolare l’adesione alla previdenza complementare potrebbe avere anche un ritorno più immediato sull’economia del Paese, grazie alla stessa maggiore potenza di fuoco dei fondi di previdenza complementare, che potrebbero avere potenzialmente più risorse da investire anche sul tessuto economico italiano, creando un circolo virtuoso.

 

Fonte: ASSINEWS

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