Gli strani effetti neurologici di COVID-19.

Articolo del 01 Novembre 2020

I sintomi neurologici manifestati dalle persone colpite da COVID-19 vanno dalla perdita dell’olfatto alla cefalea debilitante, all’insensibilità al piccante all’annebbiamento mentale. I ricercatori cercano di scoprire i meccanismi alla base di questi problemi, ma finora non si sa neppure se il virus agisce all’interno dei neuroni o invece interferisce dall’esterno.

Molti dei sintomi delle persone contagiate da SARS-CoV-2 coinvolgono il sistema nervoso. I pazienti lamentano mal di capo, dolori muscolari e articolari, stanchezza e “annebbiamento mentale”, o perdita del gusto e dell’olfatto, e tutto questo può durare per settimane o mesi dopo l’infezione. Nei casi gravi, COVID-19 può anche portare a encefalite o ictus.

Il virus ha degli effetti neurologici innegabili, ma il modo in cui agisce sulle cellule nervose è ancora in parte un mistero. È possibile che a produrre i sintomi sia solo la forte attivazione del sistema immunitario? O questo nuovo coronavirus attacca direttamente il sistema nervoso?

Alcuni studi – fra cui un lavoro su tessuti nervosi di topo e umani da poco pubblicato in preprint – presentano delle indicazioni secondo cui SARS-CoV-2 è in grado di penetrare nelle cellule nervose e nel cervello.  Se lo faccia regolarmente o solo nei casi più gravi rimane una questione aperta. Quando il sistema immunitario si attiva al massimo, i suoi effetti possono farsi sentire a largo raggio; le cellule immunitarie possono arrivare a invadere e danneggiare seriamente anche il cervello.

Effetti sconcertanti
Alcuni sintomi neurologici sono assai meno gravi ma appaiono persino più sconcertanti. Un sintomo – o un insieme di sintomi – che esemplifica questo sconcerto, e che sta ottenendo sempre più attenzione, rientra nell’approssimativa categoria diagnostica di “annebbiamento cerebrale”.

Anche dopo la scomparsa dei sintomi principali, non è raro che i pazienti colpiti da COVID-19 lamentino perdita di memoria, confusione e altre forme di offuscamento mentale. Le cause sottostanti non sono ancora chiare, anche se potrebbero anche essere legate all’infiammazione dell’intero corpo che può accompagnare COVID-19. Ma molti sviluppano forme di stanchezza e di annebbiamento cerebrale che durano per mesi anche dopo un episodio lieve della malattia, senza che il sistema immunitario sia stato spinto a scatenarsi in modo incontrollato.

Anche un altro sintomo frequente, l’anosmia (perdita dell’olfatto) potrebbe derivare da cause diverse dall’infezione diretta dei nervi. I neuroni olfattivi, le cellule che trasmettono al cervello i segnali relativi agli odori, non hanno il sito primario di ancoraggio, o recettore, del virus SARS-CoV-2, e non sembra che vengano infettati. I ricercatori stanno ancora cercando di chiarire in che modo la perdita dell’olfatto potrebbe risultare dall’interazione tra il virus e qualche altro recettore dei neuroni olfattivi, oppure dai suoi contatti con le cellule non nervose che rivestono la superficie interna del naso.

Dentro o fuori?
Gli esperti dicono che non è necessario che il virus arrivi all’interno dei neuroni per provocare alcuni dei misteriosi sintomi neurologici che possono accompagnare la malattia. Molti effetti legati al dolore potrebbero essere dovuti a un attacco ai neuroni sensoriali, i nervi che vanno dal midollo spinale a ogni parte del corpo per raccogliere informazioni sull’ambiente esterno e i processi fisiologici interni.

I ricercatori stanno facendo progressi nel capire come SARS-CoV-2 potrebbe spingere i neuroni che rispondono agli stimoli dolorosi, detti nocicettori, a produrre alcuni sintomi caratteristici di COVID-19.

Theodore Price, neuroscienziato che studia il dolore all’Università del Texas a Dallas, ha preso nota dei sintomi riferiti nei primi lavori in letteratura e citati anche dai pazienti della moglie, un’infermiera professionale che segue malati di COVID-19 da remoto. Si tratta di sintomi come mal di gola, mal di testa, dolori muscolari in tutto il corpo e forte tosse. (A scatenare la tosse, fra l’altro, sono alcune cellule sensoriali dei polmoni.)

Stranamente, alcuni pazienti riferiscono di aver perso una particolare percezione sensoriale, la chemestesi; non sono più capaci di riconoscere la sensazione piccante del peperoncino o il senso di fresco della menta, che sono percezioni trasmesse dai nocicettori e non dalle papille gustative. Molti di questi effetti sono tipici delle infezioni virali, ma d’altra parte la prevalenza e la persistenza di questi sintomi legati al dolore – e la loro presenza anche in casi lievi di COVID-19 – fa pensare che potrebbe esserci un’azione sui neuroni sensoriali che va al di là della normale risposta infiammatoria alle infezioni. Ciò vuol dire che gli effetti potrebbero essere legati direttamente al virus.

“È davvero notevole”, dice Price. I pazienti colpiti “hanno tutti mal di testa, e alcuni di loro sembrano soffrire di dolori molto simili alle neuropatie”, forme di dolore cronico dovute a lesioni dei nervi. Questa osservazione lo ha spinto a indagare sulla possibilità che il nuovo coronavirus sia in grado di infettare i nocicettori.

Il principale criterio adottato dagli scienziati per determinare se SARS-CoV-2 è in grado di infettare specifiche cellule del corpo è la presenza in esse dell’enzima convertitore dell’angiotensina di tipo 2 (ACE2), una proteina che si trova sulla superficie cellulare. ACE2 funziona da recettore, e trasmette all’interno della cellula segnali che hanno a che fare con la regolazione della pressione sanguigna, ma è anche un punto d’entrata per SARS-CoV-2. Dunque Price si è messo a cercarlo nei neuroni umani; Lo studio è pubblicato sulla rivista “PAIN”.

I nocicettori – e altri neuroni sensoriali – si trovano in gruppi separati nei gangli radicolari dorsali (DRG), appena all’esterno del cordone spinale. Price e il suo gruppo hanno lavorato su cellule nervose prelevate da donatori deceduti o donate da pazienti oncologici operati. Hanno sequenziato l’RNA di queste cellule, una tecnica con cui si può capire quali proteine la cellula sta per produrre, e hanno preso di mira il recettore ACE2 con anticorpi specifici. Hanno così scoperto che un sottoinsieme dei neuroni DRG è effettivamente dotato di recettori ACE2, che offrono al virus un punto d’accesso alle cellule.

I neuroni sensoriali inviano verso le varie parti del corpo lunghi filamenti cellulari, gli assoni, le cui estremità sono sensibili a specifici stimoli corporei, e trasmettono le relative informazioni al cervello sotto forma di segnali elettrochimici. Fra gli RNA messaggeri dei neuroni DRG dotati di ACE2 – e quindi fra le loro istruzioni genetiche – c’è anche quello per una proteina sensoriale detta MRGPRD. Questa proteina indica che quelle cellule appartengono a un sottoinsieme di neuroni le cui terminazioni si concentrano sulle superfici del corpo – la pelle, ma anche il rivestimento di organi interni come i polmoni – dove potrebbero essere facilmente infettati dal virus.

Price dice che l’infezione dei nervi potrebbe contribuire non solo ai sintomi più persistenti di COVID ma anche a quelli acuti. “Lo scenario più probabile è che i nervi autonomi e sensoriali siano colpiti dal virus”, dice. “Sappiamo che se i neuroni sensoriali sono infettati da un virus, si possono avere conseguenze a lungo termine”, anche se il virus non rimane dentro le cellule.

Ma, aggiunge Price, “non è detto che debbano per forza essere infettati i neuroni”. In un altro recente studio, ha confrontato dati di sequenziamento genetico di cellule polmonari di malati di COVID-19 con quelli di soggetti sani di controllo, andando a guardare le interazioni con i neuroni DRG umani non infettati. E afferma che il suo gruppo ha trovato nei pazienti infettati una grande quantità di molecole di segnalazione del sistema immunitario, dette citochine, che potrebbero interagire con i recettori dei neuroni. L’osservazione indica che i nervi potrebbero subire danni durevoli dovuti a molecole immunitarie anche senza essere direttamente infettati dal virus.

Anne Louise Oaklander, neurologa al Massachusetts General Hospital e autrice di un commento che accompagna l’articolo di Price, dice che si tratta di uno studio “di valore eccezionale”, anche perché eseguito su cellule umane. Però, aggiunge, “non abbiamo prove che il principale meccanismo da cui derivano i danni alle cellule [dei nervi] sia l’entrata diretta del virus in quelle cellule”, anche se i risultati dello studio non escludono questa possibilità. È “possibile che l’infiammazione in atto all’esterno delle cellule nervose possa alterarne l’attività, o anche provocare danni permanenti”, dice Oaklander. Un’altra possibilità è che l’interazione delle particelle virali con i neuroni conduca a un attacco autoimmunitario ai nervi.

Il recettore ACE2 è in generale ritenuto il principale punto di ingresso del nuovo coronavirus. Ma Rajesh Khanna, neuroscienziato che fa ricerca sul dolore all’Università dell’Arizona, osserva che “ACE2 non è l’unica possibilità che SARS-CoV-2 può sfruttare per entrare nelle cellule”. Anche un’altra proteina la neuropilina 1 (NRP1), “può essere un punto d’ingresso alternativo” per il virus. NRP1 ha un ruolo importante nell’angiogenesi (la formazione di nuovi vasi sanguigni) e nella crescita dei lunghi assoni dei neuroni.

Una probabile sinergia
L’idea deriva da studi su cellule e nel topo. Si è visto che NRP1 interagisce con la famigerata proteina spike che il virus usa per entrare nelle cellule. “Abbiamo dimostrato che si lega alla neuropilina e che questo recettore potrebbe portare all’infezione”, dice Giuseppe Balistreri, virologo all’Università di Helsinki e coautore dello studio sui topi, pubblicato su “Science” e di un altro studio condotto su cellule. Sembra più probabile che la proteina NRP1 agisca da cofattore insieme ad ACE2, invece che consentire, da sola, l’ingresso del virus nelle cellule. “Ciò che sappiamo è che se ci sono entrambi i recettori si ha più infezione. Insieme, sono assai più efficaci”, dice ancora Balistreri.

Questi risultati hanno destato l’interesse di Khanna, che stava studiando il fattore di crescita dell’endotelio vascolare (VEGF), una molecola di cui è noto da tempo il ruolo nella trasmissione dei segnali dolorosi, e che si lega anch’essa alla proteina NRP1. Khanna si è chiesto se il virus avrebbe potuto influire sulla trasmissione dei segnali dolorosi attraverso NRP1, e ha verificato l’idea nei ratti, in un altro studio pubblicato su “PAIN”.

“Abbiamo introdotto il fattore VEGF nell’animale [nella zampa] e, guarda un po’, abbiamo riscontrato forte dolore nel corso di 24 ore”, dice Khanna. “Ma il bello viene con l’esperimento successivo: abbiamo introdotto il VEGF e la proteina spike contemporaneamente, e cosa è successo? Il dolore non c’è più.”

Lo studio ha mostrato “ciò che accade alla segnalazione neuronale quando il virus va a stuzzicare il recettore NRP1”, dice Balistreri. “I risultati sono solidi”, e dimostrano che l’attività dei neuroni veniva alterata “dal contatto con la spike virale attraverso NRP1.”

In un esperimento effettuato su ratti con una specifica lesione ai nervi, usati da modello per il dolore cronico, la somministrazione della sola proteina spike attenuava i comportamenti legati al dolore degli animali. Ciò suggerisce che un farmaco analogo alla spike che si leghi alla proteina NRP1 potrebbe essere una nuova arma contro il dolore. Si stanno sviluppando molecole di questo genere per l’uso in casi oncologici.

SARS-CoV-2 e i nocicettori
Khanna avanza anche l’ipotesi, più stimolante e non ancora verificata, che la proteina spike possa agire a livello di NRP1 per silenziare i nocicettori negli esseri umani, forse mascherando i sintomi dolorosi nelle primissime fasi dell’infezione. L’idea è che quando SARS-CoV-2 comincia a infettare una persona, la proteina potrebbe esercitare un’azione anestetica, facilitando la diffusione del virus. “Non posso escluderlo”, dice Balistreri. “Non è impossibile. I virus hanno un intero arsenale di strumenti per passare inosservati. È la cosa che sanno fare meglio: ridurre al silenzio le nostre difese.”

Resta però da stabilire se l’infezione da SARS-CoV-2 sia in grado di produrre analgesia negli esseri umani. “Loro hanno usato una dose elevata di un pezzetto del virus in un contesto di laboratorio e in un ratto, non in una persona”, commenta Balistreri. “L’entità dell’effetto che hanno visto [potrebbe essere dovuta] alla grande quantità di proteina virale che hanno usato. Si tratterà di vedere se il virus vero e proprio [può attutire] il dolore nell’uomo.”

L’esperienza di un paziente – Rave Pretorius, un quarantanovenne sudafricano – suggerisce che può valere la pena di proseguire questa linea di ricerca. Nel 2011, un incidente stradale ha provocato a Pretorius diverse fratture alle vertebre del collo ed estese lesioni ai nervi periferici. L’uomo dice di provare costantemente un bruciante dolore alle gambe che lo sveglia tutte le notti, verso le tre o le quattro del mattino. “La sensazione è che ci sia qualcuno che mi versa continuamente dell’acqua bollente sulle gambe”, dice.

Ma quando, in luglio, è stato contagiato da COVID-19 nella fabbrica in cui lavora, c’è stato un drastico cambiamento: “È stato stranissimo. Quando stavo male per COVID-19, il dolore era sopportabile. In certi momenti sembrava che fosse sparito. Non riuscivo a crederci”, dice. Per la prima volta dall’incidente, Pretorius è riuscito a dormire per un’intera notte. “Vivevo meglio quando ero malato, perché il dolore non c’era più”, malgrado il senso di stanchezza e i mal di testa debilitanti. Ora che è guarito da COVID-19, il dolore neuropatico è tornato.

Nel bene o nel male, COVID-19 sembra avere degli effetti sul sistema nervoso. Se fra questi c’è anche l’infezione dei nervi è una delle tante cose che ancora non sappiamo sul virus SARS-CoV-2. La conclusione, per ora, è che in linea di principio il virus sembra in grado di infettare alcuni neuroni, ma non è detto che lo faccia. Di danni può farne tanti anche restando all’esterno di quelle cellule.

 

FonteLe Scienze