Il coronavirus è destinato a restare. Ecco cosa significa

Articolo del 25 Febbraio 2021

Con la comparsa delle varianti, la speranza di debellare SARS-CoV-2 in tempi brevi sta sfumando, e sempre più scienziati pensano che sia destinato a diventare endemico anche se meno pericoloso. Forse seguirà il decorso della spagnola,  i cui eredi causano l’influenza, o dei coronavirus che provocano il raffreddore.

Per gran parte dell’ultimo anno, la vita in Australia occidentale è stata libera dal coronavirus. Gli amici si sono ritrovati nei pub, le persone hanno potuto baciare e abbracciare i familiari, i bambini sono andati a scuola senza dover misurare la temperatura o indossare la mascherina. L’Australia occidentale è riuscita a mantenere questa situazione invidiabile solo mettendo restrizioni severissime ai viaggi e imponendo misure di confinamento; alcune regioni hanno imposto un lockdown lampo all’inizio dell’anno, dopo che una guardia giurata in servizio presso un hotel destinato alla quarantena dei turisti era risultata positiva al virus.

L’esperienza dello stato australiano ci ha permesso di vedere come sarebbe la vita senza il coronavirus SARS-CoV-2. Se altre zone del mondo, con l’aiuto dei vaccini, puntassero a una simile strategia “a COVID zero”, il mondo potrebbe sperare di liberarsi del virus?

È un sogno bellissimo, ma secondo la maggior parte degli scienziati è improbabile che si realizzi.

A gennaio, “Nature” ha chiesto a più di 100 immunologi, infettivologi e virologi impegnati nella ricerca sul coronavirus se è possibile debellarlo. Quasi il 90 per cento degli intervistati ritiene che il virus diventerà endemico, cioè continuerà a circolare in sacche della popolazione globale per anni. “Adesso eliminare il virus dal mondo sarebbe come cercare di progettare la costruzione di un sentiero di pietre per raggiungere la Luna. Non è realistico”, afferma Michael Osterholm, epidemiologo all’Università del Minnesota a Minneapolis.

Tuttavia, se anche non riusciamo a debellare il virus, non significa che la morte, la malattia e l’isolamento sociale continueranno con dimensioni simili a quelle che abbiamo visto finora. Il futuro dipende profondamente dal tipo di immunità che le persone acquisiscono con il contagio o con il vaccino e dal modo in cui evolve il coronavirus. Anche il virus dell’influenza e i quattro coronavirus umani che causano il raffreddore sono endemici, ma una combinazione di vaccini annuali e immunità acquisita fa sì che la società tolleri le morti e le malattie stagionali dovute a essi senza imporre lockdown, mascherine o distanziamento sociale.

Più di un terzo di coloro che hanno risposto al sondaggio di “Nature” ritiene che sia possibile eliminare SARS-CoV-2 da alcune regioni del mondo mentre continua a circolare in altre. Nelle regioni a COVID zero ci sarebbe un rischio continuo di focolai, ma sarebbe possibile estinguerli rapidamente grazie all’immunità di gregge, qualora la maggior parte delle persone fosse vaccinata. “Credo che la pandemia COVID sarà debellata in alcuni paesi, ma con il rischio continuo (e forse stagionale) di reintrodurla dai luoghi dove la copertura vaccinale e le misure di salute pubblica non siano state sufficienti”, afferma Christopher Dye, epidemiologo all’Università di Oxford.

“Che il virus diventi endemico è probabile, però è difficile prevedere in che forma”, dice Angela Rasmussen, virologa alla Georgetown University, che lavora a Seattle. Sarà questa forma a determinare i costi del SARS-CoV-2 sulla società nei prossimi 5, 10 o anche 50 anni.

Virus infantile

Fra cinque anni la pandemia di COVID-19 sarà forse un ricordo lontano, ma se un asilo nido o una scuola materna chiameranno i genitori di un bambino per avvertirli che il figlio ha la febbre e il naso che cola, la causa della malattia potrà essere proprio il virus che nel solo 2020 ha ucciso più di un milione e mezzo di persone.

Questo è uno degli scenari previsti dagli scienziati per SARS-CoV-2. Il virus rimarrà in circolazione, ma quando la gente avrà raggiunto una certa immunità (attraverso il contagio naturale o il vaccino) non causerà più sintomi altrettanto gravi. Il coronavirus diventerebbe allora un nemico che si affronta per la prima volta nell’infanzia, quando tipicamente causa un’infezione leggera o del tutto priva di sintomi, afferma Jennie Lavine, infettivologa alla Emory University ad Atlanta.

Gli scienziati ritengono possibile questo scenario perché è così che si comportano i quattro coronavirus endemici, denominati OC43, 229E, NL63 e HKU1. È probabile che almeno tre di questi virus circolino nelle popolazioni umane da centinaia di anni e due di essi sono responsabili del 15 per cento circa delle infezioni respiratorie.

Usando i dati di studi precedenti, Lavine e i suoi colleghi hanno sviluppato un modello che dimostra come la maggior parte dei bambini contragga questi virus prima dei sei anni e sviluppino l’immunità. La protezione si indebolisce in fretta e non basta a impedire completamente le reinfezioni, ma sembra che aiuti gli adulti a non ammalarsi, spiega l’infettivologa. Anche nei bambini il primo contagio è relativamente lieve.

Non è ancora chiaro se l’immunità a SARS-CoV-2 funzionerà nello stesso modo. Un ampio studio su persone che hanno contratto COVID-19 suggerisce che i livelli di anticorpi neutralizzanti (quelli che aiutano a bloccare le reinfezioni) inizino a calare dopo circa sei-otto mesi. Però il corpo può anche produrre linfociti B memoria, che possono fabbricare nuovi anticorpi se insorge una nuova infezione, e linfociti T capaci di eliminare le cellule infettate dal virus, afferma Daniela Weiskopf, immunologa del La Jolla Institute for Immunology in California e coautrice dello studio.

Resta da stabilire se questa memoria immunitaria sia in grado di bloccare la reinfezione virale: i casi di reinfezione, anche se ne sono stati registrati alcuni e anche se le nuove varianti li potrebbero rendere più probabili, sono ancora considerati rari.

Weiskopf e i suoi colleghi stanno ancora tracciando la memoria immunitaria dei soggetti che hanno contratto il virus per capire se perdura. Se, in seguito al contagio naturale o alla vaccinazione, la maggior parte delle persone sviluppa un’immunità al virus che dura per tutta la vita, allora è improbabile che il virus diventi endemico, spiega l’infettivologa. Ma l’immunità potrebbe diminuire dopo un anno o due, e ci sono già indicazioni che il virus sia in grado di evolvere per sfuggire al sistema immunitario. Più di metà degli scienziati che hanno risposto al sondaggio di “Nature” ritiene che il calo dell’immunità sarà uno dei principali elementi che porteranno il coronavirus a diventare endemico.

Poiché il virus si è diffuso globalmente, si potrebbe pensare che sia già da considerare endemico. Tuttavia, con il numero dei contagi che continua ad aumentare in tutto il mondo e così tante persone ancora suscettibili, tecnicamente la scienza lo classifica ancora in fase pandemica. Nella fase endemica il numero dei contagi rimarrà relativamente costante da un anno all’altro, a parte picchi occasionali, spiega Lavine.

Per arrivare a questa situazione di stabilità ci possono volere anni o decenni, a seconda della velocità con cui le popolazioni sviluppano l’immunità, continua l’infettivologa. Permettere al virus di diffondersi in modo incontrollato sarebbe il modo più rapido per raggiungere quell’obiettivo, ma ci sarebbero molti milioni di morti. “È una strada che ha costi insostenibili”, commenta. La strada più accettabile è quella della vaccinazione.

Vaccini e immunità di gregge

I paesi che hanno iniziato la distribuzione dei vaccini per COVID-19 si aspettano una riduzione rapida dei casi gravi. Servirà invece più tempo per vedere quanto sono efficaci i vaccini nel ridurre il contagio. I dati delle sperimentazioni cliniche indicano che i vaccini in grado di prevenire il contagio sintomatico potrebbero anche impedire al soggetto di trasmettere il virus.

Se i vaccini bloccassero effettivamente il contagio, e se continuassero a essere efficaci anche contro le nuove varianti del virus, sarà forse possibile eliminare il coronavirus inelle regioni in cui è stato vaccinato un numero di persone sufficiente a proteggere anche chi non lo è stato, aumentando l’immunità di gregge.

Un vaccino che sia efficace al 90 per cento nel bloccare il contagio deve essere somministrato ad almeno il 55 della popolazione per raggiungere un’immunità di gregge temporanea, purché si mantengano alcune misure di distanziamento sociale (come le mascherine e il lavoro da remoto) per ridurre la trasmissione, secondo un modello sviluppato da Alexandra Hogan dell’Imperial College London e colleghi. (Se tutte le misure di distanziamento sociale fossero rimosse, il vaccino dovrebbe essere somministrato almeno al 67 per cento della popolazione per raggiungere l’immunità di gregge.) Ma se il tasso di infezione aumenta a causa di una nuova variante oppure se un vaccino ha un’efficacia inferiore al 90 per cento nel bloccare il contagio, la copertura vaccinale dovrà essere più estesa per rallentare la circolazione del virus.

Vaccinare anche solo il 55 per cento della popolazione sarà difficile in molti paesi. “Il virus rimarrà tra noi se ci sono zone del mondo che non si vaccinano”, afferma Jeffrey Shaman, infettivologo alla Columbia University di New York.

Anche se il virus rimanesse endemico in molte regioni, è probabile che i viaggi nel mondo riprenderanno quando il numero di casi gravi sarà riportato a livelli gestibili dalle strutture sanitarie esistenti e quando sarà stata vaccinata un’alta percentuale dei soggetti vulnerabili alla forma grave della malattia, sostiene Dye.

Simile all’influenza?

La pandemia di influenza del 1918, che fece più di 50 milioni di vittime, è il metro con cui si misurano tutte le altre pandemie. Fu causata da un patogeno chiamato virus dell’influenza A, che aveva avuto origine negli uccelli. Quasi tutti i casi di influenza A e tutte le pandemie di influenza da allora in poi sono state causate da virus discendenti di quello del 1918.

Questi virus circolano nel mondo e contagiano milioni di persone ogni anno. Le pandemie di influenza scoppiano quando ci sono popolazioni che non sono ancora mai state esposte a un virus; quando il virus pandemico diventa stagionale, gran parte della popolazione ha già sviluppato una qualche forma di immunità. L’influenza stagionale ha ancora un impatto pesante sull’umanità a livello globale, dato che miete circa 650.000 vite all’anno.

Jesse Bloom, biologo evolutivo al Fred Hutchinson Cancer Research Center di Seattle, ritiene che il coronavirus potrà seguire un percorso simile. “Sono convinto che SARS-CoV-2 diventerà un problema meno grave e più simile all’influenza”, afferma. Shaman e altri sostengono che il virus potrebbe anche prendere un andamento stagionale simile a quello dell’influenza, con ondate annuali di casi in inverno.

A quanto pare, l’influenza si evolve molto più rapidamente di SARS-CoV-2, permettendole di sfuggire alle difese del sistema immunitario. È per questo che i vaccini anti-influenzali devono essere riformulati ogni anno; e forse questo non sarà necessario per SARS-CoV-2.

Tuttavia è anche possibile che il coronavirus riesca a eludere l’immunità da contagio e forse anche aggirare l’azione dei vaccini. Studi di laboratorio hanno già dimostrato che gli anticorpi neutralizzanti nel sangue dei soggetti che hanno avuto COVID-19 sono meno efficaci nel riconoscere una variante identificata per la prima volta in Sudafrica (denominata 501Y.V2) rispetto alle varianti che circolavano in fasi precedenti della pandemia. Probabilmente questo dipende da mutazioni della proteina spike, il bersaglio dei vaccini. I risultati delle sperimentazioni indicano che alcuni vaccini possono rivelarsi meno efficaci contro 501Y.V2 che contro altre varianti e alcuni produttori di vaccini stanno considerando di riformulare i propri prodotti.

Comunque il sistema immunitario ha molti assi nella manica e può rispondere a molte caratteristiche del virus, non solo alla proteina spike, afferma Lavine. “È probabile che il virus debba attraversare molte mutazioni prima che il vaccino diventi inefficace”, continua. I risultati preliminari delle sperimentazioni suggeriscono inoltre che i vaccini possano proteggere le persone affette dalla variante 501Y.V2 contro la forma grave della malattia, afferma Rasmussen.

Oltre il 70 per cento dei ricercatori intervistati da “Nature” ritiene che un meccanismo con cui il virus sfugge al sistema immunitario sarà un altro degli elementi che ne favoriranno la circolazione continua. Non sarebbe la prima volta per un coronavirus umano. In uno studio in attesa di peer review, Bloom e i suoi colleghi hanno dimostrato che il coronavirus endemico 229E si è evoluto, perciò gli anticorpi neutralizzanti presenti nel sangue delle persone contagiate dalla variante che circolava tra la fine degli anni ottanta e i primi anni novanta sono molto meno efficaci contro le varianti più recenti.

Si può essere contagiati da 229E più volte nel corso della vita e Bloom sospetta che sia più difficile prevenire le varianti che si sono evolute per sfuggire all’immunità precedente. Gli scienziati non sanno però se queste reinfezioni siano associate a sintomi più gravi. “Mi aspetto che nel giro di molti anni le mutazioni accumulate da SARS-CoV-2 eroderanno in modo più completo l’immunità data dagli anticorpi neutralizzanti, come abbiamo visto per CoV-229E, ma non posso dire con certezza quale sarà il rapporto tra i tassi dei due coronavirus”, afferma Bloom.

Il biologo ritiene probabile che sarà necessario aggiornare i vaccini per SARS-CoV-2, forse tutti gli anni. Tuttavia anche in quel caso è probabile che l’immunità acquisita in passato con un vaccino o un contagio attenui la forma più grave della malattia, afferma. E Lavine nota che anche se le persone si contagiano una seconda volta, magari non è un problema così grave. Con i coronavirus endemici, le reinfezioni frequenti sembrano aumentare l’immunità alle varianti correlate e di solito i soggetti colpiti presentano solo sintomi lievi. Però è possibile che i vaccini non impediscano che qualcuno sviluppi comunque sintomi gravi, nel qual caso il virus continuerà a essere un grosso peso per la società, afferma Shaman.

Come il morbillo

Se i vaccini per SARS-CoV-2 bloccano l’infezione e la trasmissione per tutta la vita, il virus potrà diventare simile a quello del morbillo. “È un’eventualità meno probabile [rispetto agli altri scenari], ma è comunque possibile”, afferma Shaman.

Dato che esiste un vaccino molto efficace per il morbillo (due richiami e si è protetti a vita), il virus del morbillo è stato debellato in molte zone del mondo. Prima dello sviluppo del vaccino nel 1963, grandi epidemie mietevano circa 2,6 milioni di vite all’anno, principalmente tra i bambini. A differenza dei vaccini per l’influenza, quello per il morbillo non ha mai dovuto essere aggiornato, perché finora il virus non si è evoluto in modo tale da eludere il sistema immunitario.

Il morbillo è ancora endemico in alcune zone del mondo dove la vaccinazione non è stata sufficiente. Nel 2018 una recrudescenza a livello globale ha fatto più di 140.000 vittime. Potrebbe verificarsi una situazione simile con SARS-CoV-2 se la gente rifiuta il vaccino.

Un sondaggio tra più di 1600 cittadini statunitensi ha rivelato che più di un quarto di loro avrebbe rifiutato sicuramente o molto probabilmente il vaccino per COVID-19, anche se fosse stato gratuito e considerato sicuro. “La nostra capacità di ribattere alle loro preoccupazioni determinerà il numero di persone che si vaccinano e quello delle persone che continueranno a essere suscettibili al virus”, commenta Rasmussen.

Serbatoi animali

Il futuro di SARS-CoV-2 dipende anche da un’altra variabile: la diffusione o meno del virus in una popolazione animale selvatica. Diverse malattie che abbiamo sotto controllo continuano a esistere perché i patogeni permangono in serbatoi animali, per esempio gli insetti, da dove possono tornare di nuovo negli esseri umani. Tra queste malattie si contano la febbre gialla, Ebola e il virus della chikungunya.

È probabile che SARS-CoV-2 abbia avuto origine nei pipistrelli, ma è possibile che sia stato trasmesso agli esseri umani attraverso un ospite intermedio. Questo virus è in grado di contagiare facilmente molti animali, tra cui gatti, conigli e criceti. È particolarmente contagioso nei visoni, e grandi focolai negli allevamenti di visone in Danimarca e nei Paesi Bassi hanno portato all’abbattimento di tantissimi animali. Ci sono stati anche casi di trasmissione del virus dai visoni agli esseri umani.

Se SARS-CoV-2 si diffondesse in una popolazione animale selvatica da cui potesse trasferirsi nuovamente all’essere umano, sarebbe molto difficile da controllare, afferma Osterholm. “Non esiste alcuna malattia nella storia dell’umanità che sia scomparsa dalla faccia della terra quando la versione zoonotica aveva un ruolo così importante nella sua trasmissione”, commenta l’epidemiologo.

È difficile prevedere quale sarà il percorso imboccato da SARS-CoV-2 per diventare endemico, però la società ha un certo controllo. Nei prossimi uno-due anni, i paesi potranno ridurre la trasmissione del virus con misure di controllo, finché non saranno state vaccinate abbastanza persone da raggiungere l’immunità di gregge o da ridurre drasticamente la gravità dei casi. In questo modo si farebbe calare significativamente il numero di morti e di casi gravi, afferma Osterholm. Se invece i paesi abbandoneranno le strategie in atto per ridurre la diffusione e lasceranno che il virus regni senza controllo, allora “i giorni più bui della pandemia devono ancora arrivare”, conclude l’epidemiologo.

 

Fonte: Le Scienze

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