La falsa promessa dell’immunità di gregge.

Articolo del 28 Ottobre 2020

Nel mese di maggio, la città brasiliana di Manaus è stata devastata da un vasto focolaio di COVID-19. Gli ospedali sono stati sopraffatti e la città è stata costretta a scavare nuove tombe nella foresta tropicale circostante. Ma per agosto, le cose erano cambiate. Benché a inizio giugno le regole sul distanziamento sociale fossero state allentate, la città – che conta due milioni di abitanti – ha visto scendere il numero delle morti in eccesso da circa 120 al giorno a quasi zero.

A settembre, due gruppi di ricercatori hanno diffuso degli studi preliminari suggerendo che il rallentamento dei casi di COVID-19 a fine estate a Manaus fosse avvenuto, almeno in parte, perché una percentuale significativa della popolazione locale era già stata esposta al virus ed era ormai immune. Il gruppo dell’immunologa Ester Sabino dell’Università di San Paolo del Brasile hanno testato oltre 6000 campioni provenienti dalle banche del sangue di Manaus alla ricerca di anticorpi contro SARS-CoV-2. “Abbiamo dimostrato che il numero di persone contagiate è stato davvero alto, raggiungendo il 66 per cento della popolazione alla fine della prima ondata”, dice Sabino. Il suo gruppo ne ha concluso che, a causa dell’alto tasso di infezione, il numero di persone ancora vulnerabili al virus era troppo piccolo per sostenere nuovi focolai, fenomeno noto come immunità di gregge. Anche un altro gruppo brasiliano ha poi raggiunto conclusioni simili.

Questi rapporti arrivati da Manaus, insieme ad argomentazioni simili relative a zone dell’Italia duramente colpite all’inizio della pandemia, hanno contribuito a incoraggiare le proposte di perseguire l’immunità di gregge, lasciando quindi che gran parte della società tornasse a condurre una vita normale e prendendo alcuni provvedimenti per proteggere le persone più a rischio di ammalarsi gravemente. Questo, hanno detto i suoi sostenitori, in pratica avrebbe permesso al coronavirus di fare il proprio corso.

Ma gli epidemiologi hanno ripetutamente respinto al mittente proposte del genere. “Arrendersi al virus non è un piano sostenibile”, dichiara Kristian Andersen, immunologo allo Scripps Research Institute a La Jolla, in California. Un approccio di questo tipo porterebbe a una perdita catastrofica di vite umane senza necessariamente accelerare il ritorno alla normalità della società, aggiunge. “Non si è mai riusciti ad applicarlo con successo prima d’ora, e porterebbe a morti e sofferenze inaudite, inaccettabili e inutili.”

Ma a dispetto delle ampie critiche, l’idea continua a spuntare tra politici e amministratori pubblici di vari paesi, tra cui Svezia, Regno Unito e Stati Uniti. Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ne ha parlato con favore a settembre, storpiando volutamente l’espressione in “istinto di gregge”. Ed è stata sostenuta persino da alcuni scienziati: a ottobre, un think tank libertario e un piccolo gruppo di scienziati hanno divulgato un documento, divenuto noto come Great Barrington Declaration, in cui si chiede che le persone a basso rischio di contrarre una forma grave di COVID-19 ritornino alla vita normale, in modo da permettere a SARS-CoV-2 di diffondersi abbastanza da portare all’immunità di gregge.

I soggetti ad alto rischio come gli anziani, sostiene il documento, potrebbero essere protetti grazie a misure per lo più non specificate. Gli autori della dichiarazione hanno ottenuto udienza alla Casa Bianca, inducendo un altro gruppo di scienziati a pubblicare su “The Lancet” un contro-documento , in cui l’approccio dell’immunità di gregge è definito un “pericoloso mito non sostenuto da prove scientifiche”.

Gli argomenti a favore dell’idea di consentire al virus di fare il proprio corso senza nessun controllo o quasi hanno in comune un equivoco su cos’è l’immunità di gregge e qual è il modo migliore per ottenerla. In questo articolo, rispondiamo a cinque domande su questa discussa proposta.

Che cos’è l’immunità di gregge?
L’immunità di gregge si verifica quanto un virus non può diffondersi perché continua a incontrare persone protette dall’infezione. Una volta che una percentuale sufficiente della popolazione non è più suscettibile, ogni nuovo focolaio si estingue. “Non serve che sia immune tutta la popolazione, è sufficiente che lo siano abbastanza persone”, dice Caroline Buckee, epidemiologa alla Harvard T.H. Chan School of Public Health di Boston.

Di solito si parla di immunità di gregge come il desiderabile risultato di programmi di vaccinazione su larga scala. Alti livelli di immunità indotta dai vaccini nella popolazione possono proteggere chi non può essere vaccinato (o non reagirebbe abbastanza), per esempio chi ha un sistema immunitario compromesso. Molti medici detestano l’espressione “immunità di gregge” e preferiscono parlare di “protezione di gregge”, dice Buckee, perché in realtà il fenomeno non conferisce un’immunità al virus, ma si limita a ridurre il rischio che persone vulnerabili entrino in contatto con il patogeno.

Gli esperti di salute pubblica, peraltro, di solito non parlano di immunità di gregge come di uno strumento utile quando mancano i vaccini. “Mi lascia perplesso che oggi il termine sia usato per intendere quante persone devono infettarsi prima che l’epidemia si esaurisca”, dice Marcel Salathé, epidemiologo all’École Polytechnique Fédérale di Losanna, in Svizzera.

Come la si raggiunge?
Gli epidemiologi possono stimare la percentuale di popolazione che deve essere immune prima che si instauri l’immunità di gregge. Come spiega Kin On Kwok, epidemiologo delle malattie infettive ed esperto di modelli matematici alla Chinese University di Hong Kong, questa soglia dipende dal numero di riproduzione di base, o R0, vale a dire il numero medio di infezioni provocate da un individuo infetto in una popolazione altrimenti completamente suscettibile e ben assortita. La formula per calcolare la soglia dell’immunità di gregge è 1 – 1/R0; in altre parole, più sono le persone infettate da ciascun individuo che ha contratto il virus, più elevata deve essere la percentuale della popolazione che deve diventare immune perché si raggiunga l’immunità di gregge.

Il morbillo, per esempio, è altamente infettivo, con un valore tipico di R0 che oscilla tra 12 e 18: la soglia dell’immunità di gregge, in questo caso, è pari al 92-94 per cento della popolazione. Per un virus meno infettivo (con un numero di riproduzione più basso), la soglia è più bassa. Il parametro R0 assume che tutti siano suscettibili al virus; il suo valore, però, cambia con il procedere dell’epidemia, perché alcune persone sono infettate e acquistano l’immunità. Per questa ragione, in questi calcoli talvolta si usa una variante di R0, chiamata Rt (o Re, dove e sta per effettivo), che tiene conto dei cambiamenti nella suscettibilità della popolazione.

Se nella formula inseriamo delle cifre, otteniamo un numero teorico per l’immunità di gregge, ma questo risultato, in realtà, non si raggiunge in un momento preciso. E’ meglio pensare al concetto in termini di gradiente, dice Gypsyamber D’Souza, epidemiologa alla Johns Hopkins University di Baltimora. E dal momento che le variabili possono cambiare, compresi R0 e il numero di individui suscettibili a un virus, l’immunità di gregge non è una condizione statica.

Anche quando in una popolazione si è raggiunta l’immunità di gregge, è ancora possibile che scoppino focolai estesi, per esempio in aree in cui i tassi di vaccinazione sono bassi. “L’abbiamo visto succedere in alcune nazioni dove si sono diffuse false informazioni sulla sicurezza dei vaccini”, commenta Salathé. “Si comincia a osservare un calo nelle vaccinazioni in alcune zone circoscritte, ed ecco che compaiono focolai locali anche molto vasti, a dispetto del fatto che dal punto di vista matematico l’immunità di gregge è stata raggiunta”. L’obiettivo finale è impedire che la gente si ammali, non raggiungere un numero previsto in un modello.

Qual è la soglia per SARS-CoV-2?
Raggiungere l’immunità di gregge dipende, in parte, da ciò che sta succedendo nella popolazione. I calcoli per la definizione della soglia sono molto sensibili ai valori di R, spiega Kwok, che a giugno insieme ad alcuni colleghi ha inviato al “Journal of Infection” una lettera che lo dimostra.

Il gruppo di Kwok ha stimato il valore di Rt in più di trenta nazioni, a partire dai numeri giornalieri di nuovi casi di COVID-19 registrati dal mese di marzo. I ricercatori hanno poi usato questi valori per calcolare la soglia dell’immunità di gregge per la popolazione di ciascuna nazione. I numeri, dal più alto al più basso, variavano dall’85 per cento nel caso del Bahrein (all’epoca con un Rt pari a 6,64), al 5,66 per cento del Kuwait (con un Rt pari a 1,06). I numeri bassi del Kuwait riflettevano il fatto che il paese stava mettendo in atto molte contromisure per controllare il virus; per esempio, aveva stabilito dei coprifuochi locali e vietato i voli commerciali da molte nazioni. Se il Kuwait avesse interrotto quelle misure, commenta Kwok, il livello di soglia dell’immunità di gregge si sarebbe alzato.

I calcoli dell’immunità di gregge come quelli dell’esempio di Kwok si basano su ipotesi che potrebbero non riflettere ciò che accade nella vita reale, spiega Samuel Scarpino, che studia le malattie infettive alla Northeastern University di Boston. “La maggior parte dei calcoli sull’immunità di gregge non ha assolutamente nulla da dire sul comportamento. Assumono che non ci sia alcun intervento, nessun cambiamento comportamentale o cose del genere”, dice. Questo significa che se un cambiamento temporaneo nel comportamento delle persone (per esempio, il distanziamento sociale) fa abbassare Rt, “appena quel comportamento torna alla normalità, la soglia dell’immunità di gregge cambia”.

Le stime sul valore della soglia per SARS-CoV-2 variano dal 10 al 70 per cento e anche più. I modelli che prevedono i valori nella parte più bassa dell’intervallo, tuttavia, secondo Scarpino si basano su ipotesi su come le persone interagiscono nelle reti sociali, ipotesi che potrebbero essere false. Le stime più basse immaginano che gli individui con molti contatti si infettino per primi, e che, in virtù dei tanti contatti, diffondano il virus tra più persone. A mano a mano che questi superdiffusori diventano immuni, le catene di trasmissione tra quanti sono ancora suscettibili al virus si ridurranno molto. “Come risultato, si raggiunge la soglia dell’immunità di gregge molto rapidamente”, dice Scarpino. Ma se la realtà è diversa, e chiunque può diventare superdiffusore, prosegue lo scienziato, allora “molto semplicemente, le ipotesi su cui ci stiamo basando per abbassare le stime fino al 20 o al 30 per cento non sono accurate”. Il risultato è che la soglia dell’immunità di gregge sarà più vicina al 60 o al 70 per cento, come dimostra la maggior parte dei modelli.

Esaminando eventi noti di superdiffusione nelle prigioni e sulle navi da crociera, osserva Andersen, emerge chiaramente che in una popolazione isolata, non vaccinata, all’inizio COVID-19 si diffonde ampiamente per poi rallentare. Nella prigione di San Quintino, in California, prima che il focolaio si estinguesse è stato contagiato oltre il 60 per cento dei detenuti; la diffusione non si è interrotta magicamente dopo che il 30 per cento degli individui aveva contratto il virus, dice Andersen. “Non c’è una misteriosa materia oscura che protegge la gente”.

E benché gli scienziati siano in grado di stimare le soglie dell’immunità di gregge, non possono conoscere i numeri esatti in tempo reale, aggiunge Caitlin Rivers, epidemiologa al Johns Hopkins Center for Health Security di Baltimora. L’immunità di gregge, dice, è qualcosa che si può osservare con certezza solo analizzando i dati retrospettivamente, a volte anche a dieci anni di distanza.

L’immunità di gregge funziona?
Molti ricercatori affermano che puntare all’immunità di gregge è una cattiva idea. “Cercare di raggiungere l’immunità di gregge con contagi mirati è semplicemente assurdo”, dice Andersen. “Negli Stati Uniti, probabilmente morirebbero da uno a due milioni di persone”.

A Manaus, durante la prima settimana di maggio i tassi di mortalità sono aumentati fino a quattro volte e mezzo quelli dell’anno precedente. E malgrado il successivo entusiasmo per il rallentamento del numero di casi in agosto, sembra che i numeri stiano risalendo di nuovo. Questa impennata mostra che l’ipotesi chei la popolazione di Manaus abbia raggiunto l’immunità di gregge “è semplicemente falsa”, conclude Andersen.

Le morti sono soltanto una parte dell’equazione. Chi si ammala di COVID-19 possono andare incontro a conseguenze mediche e finanziarie piuttosto serie, e molti di quelli che sono guariti dal virus hanno problemi di salute di lunga durata. A Manaus sono stati infettati da SARS-CoV-2 oltre 58.000 individui, un numero che si traduce in una grande sofferenza umana.

Nelle prime fasi della pandemia, alcuni mezzi di comunicazione hanno riferito che la Svezia aveva adottato come strategia il raggiungimento dell’immunità di gregge lasciando, in sostanza, che le persone continuassero a vivere una vita normale, ma secondo il ministro svedese per la salute e gli affari sociali Lena Hallengren csi è trattato di un “fraintendimento”. L’immunità di gregge “è una potenziale conseguenza di come si sviluppa la diffusione del virus, in Svezia o in qualsiasi altra nazione”, ha scritto a “Nature”, ma “non fa parte della nostra strategia”. L’approccio della Svezia, continua il ministro, si basa su strumenti simili a quelli della maggior parte degli altri Paesi: “promuovere il distanziamento sociale, proteggere le persone vulnerabili, effettuare test e tracciare i contatti, rinforzare il sistema sanitario per riuscire ad affrontare la pandemia”.

In ogni caso, la Svezia non è esattamente un modello di successo; le statistiche della Johns Hopkins University mostrano che la nazione ha avuto oltre dieci volte il numero di morti per COVID-19 ogni 100.000 individui rispetto alla vicina Norvegia (58,12 decessi per 100.000 abitanti, rispetto ai 5,23 della Norvegia). Il tasso di letalità della Svezia, che si basa sul numero di infezioni note, è almeno tre volte superiore a quello della Norvegia e della vicina Danimarca.

Che cos’altro ostacola l’immunità di gregge?
L’idea di raggiungere l’immunità di gregge attraverso la diffusione di un patogeno nella comunità si basa sull’ipotesi non dimostrata che le persone che sopravvivono a un’infezione diventeranno immuni. Per SARS-CoV-2, sembra che all’infezione segua un qualche tipo di immunità funzionale, ma “per capire la durata e gli effetti della risposta immunitaria abbiamo bisogno di seguire le persone longitudinalmente, ed è ancora presto per dirlo”, commenta Buckee.

Per di più, aggiunge Rivers, non c’è ancora un modo sicuro di misurare l’immunità al virus. I ricercatori possono verificare se qualcuno ha gli anticorpi specifici per SARS-CoV-2, ma non sanno ancora quanto potrebbe durare questa immunità. I coronavirus stagionali che causano i comuni raffreddori, spiega Buckee, provocano un’immunità calante che sembra durare circa un anno. “E’ ragionevole ipotizzare che per questo virus la situazione sia simile.”

Negli ultimi mesi, sono stati riportati casi di persone reinfettate da SARS-CoV-2 dopo un primo contagio, ma secondo Andersen ancora non sappiamo quanto sono frequenti queste reinfezioni e se casuano forme di malattia meno gravi. “Se i soggetti contagiati diventano nuovamente suscettibili dopo un anno, allora non raggiungeremo mai l’immunità di gregge” attraverso una trasmissione naturale, conclude Rivers.

“Non c’è alcuna bacchetta magica”, dice Andersen. “Dobbiamo affrontare la realtà: mai prima d’ora abbiamo raggiunto l’immunità di gregge con dei contagi avvenuti per via naturale nel caso di un virus del tutto nuovo, e purtroppo SARS-CoV-2 non è diverso”. Secondo l’immunologo, la vaccinazione è l’unico modo etico per riuscire a raggiungerla. Quante persone avranno bisogno di essere vaccinate – e quanto spesso – dipenderà da molti fattori, tra cui l’efficacia del vaccino e la durata della protezione offerta.

E’ comprensibile che la gente sia stanca e frustrata dall’imposizione di misure come il distanziamento sociale e la chiusura delle attività messe in atto per controllare la diffusione di COVID-19, ma finché non ci sarà un vaccino questi sono tra gli strumenti migliori a nostra disposizione. “Non è inevitabile che ci dobbiamo ammalare tutti”, conclude D’Souza. “Ci sono diversi motivi per cui essere molto fiduciosi. Se riusciamo a continuare ad adottare misure di mitigazione del rischio finché non avremo un vaccino efficace, possiamo certamente salvare vite umane”.

 

Fonte:  Le Scienze