L’allarme: “Salviamo i ghiacciai o resteremo senz’acqua”

Articolo del 10 Maggio 2021

I ghiacciai si stanno lentamente ritirando. In questo modo il pianeta resterà senza’acqua. La colpa? Di un mammifero di grossa taglia auto-proclamatosi sapiens, comparso sulla Terra verso le ore 22:30 del 31 dicembre del calendario cosmico di Carl Sagan».

L’allarme è lanciato, o meglio rilanciato dal glaciologo e ricercatore Guido Nigrelli, del CNR-IRPI (Consiglio Nazionale delle Ricerche – Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica) , e risuona alla lezione inaugurale di un corso di giornalismo scientifico iniziato questa settimana via web.

E’ dimostrato ormai da tempo che l’uomo può produrre acqua in modo artificiale. Lo dimostrano le attività umane a bordo delle stazioni spaziali, e anche i più recenti esperimenti di produzione di acqua sul suolo della Luna.

Ma (per adesso) l’umanità è destinata e restare sul suo pianeta d’origine, la Terra. Con tutti i suoi problemi di ambiente, atmosfera, clima e pandemie.

Il catasto dei ghiacciai: cifre non ottimali, anzi …

Qualche cifra. Che è indicativa sullo status attuale dei ghiacciai italiani: «A partire dagli anni 1980, i ghiacciai hanno iniziato una lenta ma costante fase di ritiro. Che li ha portati a dividersi in ghiacciai più piccoli, ad arretrare le loro fronti e a diminuire di spessore, e alcuni di essi si sono estinti. I ghiacciai attualmente presenti sull’arco alpino italiano sono poco più di 900. Di questi, circa 200 vengono osservati e misurati ogni anno dagli operatori del Comitato Glaciologico Italiano. I ricercatori e glaciologi utilizzano un sofisticato apparato di webcam, tramite immagini satellitari, che controlla attimo per attimo il movimento dei ghiacciai. Il più recente catasto dei ghiacciai italiani ( del 2015), basandosi su dati acquisiti fra il 2005 e il 2011, riporta un numero di ghiacciai pari a 903, per un’area totale di circa 370 chilometri quadrati. Il confronto tra i dati di questo catasto con i dati raccolti in un catasto precedente (1959-1962) indica una riduzione della copertura glaciale del 30 per cento».

Perché tutta questa situazione negativa?: «È tutto un discorso di guadagni (accumulo) e perdite (ablazione) di neve e ghiaccio» – commenta Nigrelli.

Un esempio pratico

«Facciamo un esempio per capire meglio, semplificando al massimo. Se sulla superficie di un ghiacciaio cadono 3 m di neve in inverno e, di questi 3 m di neve, ne fondono 2 in estate, prima dell’inverno successivo sul ghiacciaio ci sarà ancora 1 m di neve che potrà trasformarsi lentamente in ghiaccio l’inverno successivo. In questo caso il bilancio di massa risulta positivo (+1 m di neve)». «Se sulla superficie di un ghiacciaio cadono 3 m di neve in inverno e, di questi 3 m di neve, ne fondono 3 in estate, il ghiacciaio si troverà senza la sua copertura nevosa e inizierà a fondere anche il ghiaccio presente sulla sua superficie prima che ritorni l’inverno. In questo caso il bilancio di massa risulta negativo. Da diversi anni consecutivi i bilanci di massa dei ghiacciai italiani sono fortemente negativi. Praticamente, la fusione (termine che identifica il passaggio di stato dalla fase solida a quella liquida di un corpo) di neve e ghiaccio fa sì che i ghiacciai diventino sempre più piccoli».

Le colpe e le cause: non solo i cambiamenti climatici

«Non vi è dubbio che stiamo attraversando un periodo di piena emergenza climatica» – aggiunge il ricercatore del CNR – «Ma la causa non sono solo i cambiamenti climatici. Durante gli ultimi 8000 anni vi è stata una chiara alternanza di periodi caldi e periodi freddi e questa alternanza ha condizionando la vita di intere popolazioni, favorendo l’espansione o la scomparsa di intere civiltà. Nulla di nuovo quindi. A conferma di questo vi sono molti dati e molte pubblicazioni di riferimento. In pratica, secondo Nigrelli dal 1950 siamo entrati in una nuova era: l’Antropocene (cioè: “grande accelerazione”). Molti trend del sistema Terra (più acidificazione degli oceani, più perdita di foreste tropicali, più degradazione della biosfera, più produzione di ossidi nitrosi) e trend socio-economici (più urbanizzazione, più popolazione, più consumo di fertilizzanti, più consumo di acqua, più trasporti) mettono in evidenza questa grande accelerazione. I dati e le prove scientifiche parlano chiaro. Questa incontrollata accelerazione ci sta portando verso un punto di non ritorno, nessun falso allarmismo».

I ghiacciai più a rischio? Quelli alpini

«I ghiacciai a maggiore rischio sono quelli ubicati a quote non particolarmente elevate, sotto i 3000 m e quelli in posizione soleggiata- dice Nigrelli –. In generale sono a rischio soprattutto i ghiacciai di piccole dimensioni, cioè quelli che hanno un’area inferiore a 0,5 chilometri quadrati. Di questi piccoli ghiacciai, ancor più a rischio sono quelli il cui spessore è ridotto a pochi metri e quelli non coperti di detrito e quindi direttamente esposti ai raggi del sole».

Quali sono le conseguenze?

«Il futuro che ci attende non è dei migliori. Nel 2050 molti ghiacciai sotto i 3000 m di quota saranno estinti. Nel 2100 è possibile che sulle Alpi italiane le aree glacializzate siano confinate alle quote più elevate dei soli massicci del Monte Bianco e del Monte Rosa. In un contesto del genere le conseguenze sono facili da prevedere: ci saranno grossi problemi di approvvigionamento idrico».

Cosa possiamo fare per “bloccare” se è possibile questa fusione?

«Arrestare il processo di fusione è impossibile. Possiamo però rallentare l’accelerazione antropocenica. Siamo ancora in tempo. Per fare questo è però necessario assumere la consapevolezza che il problema è grave, che è a scala globale e che va risolto al più presto, soprattutto dai governatori del nostro pianeta. Dobbiamo pensare in modo globale, dobbiamo essere consapevoli che la crescita non è illimitata».

Il corso di giornalismo scientifico sui temi dei clima e ambiente

Guido Nigrelli ha inaugurato un corso di giornalismo scientifico che durerà per tutti i mesi di maggio e giugno. Con il supporto di Fondazione CRT, la docenza dei giornalisti scientifici dell’Accademia Telematica Europea e dei ricercatori del CNR-IRPI fa parte del progetto GioMon, volto a formare giovani giornalisti scientifici su come comunicare al meglio le sfide che stiamo affrontando relativamente ai cambiamenti climatici della Terra, alla fusione dei ghiacci, e all’impoverimento delle risorse del Pianeta.

«E’ un corso pensato per chi fa giornalismo e vuole imparare ad usare i suoi strumenti per comunicare la scienza, e per avere sempre maggiore fiducia nella scienza e nelle sue potenzialità, come il periodo attuale sta dimostrando» – sottolinea Claudio Pasqua, divulgatore scientifico e tra i docenti del corso. Vengono affrontati anche argomenti trasversali, utili per chi si occupa di comunicazione scientifica, come la lettura e l’interpretazione statistica dei grafici, i metodi per comunicare la scienza, la verifica delle fonti e molto altro. «E’ importante – conclude Nigrelli – che vi siano sempre più corsi come questi, che permettano ai giornalisti, i veri protagonisti nella comunicazione al grande pubblico di quanto sta avvenendo, di poter accedere alle informazioni, tenere solidi contatti con i ricercatori, con chi fa ricerca, e tradurre le informazioni in modo chiaro facile da comprendere. Fare insomma vera divulgazione».

 

Fonte: La Stampa

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