“Mille miliardi di alberi per salvare il pianeta Terra”

Articolo del 03 Dicembre 2020

Mille miliardi di alberi per rallentare il riscaldamento globale e salvare il Pianeta. E’ quello che serve secondo Stefano Mancuso, scienziato di fama internazionale, direttore del Laboratorio Internazionale di Neurobiologia Vegetale dell’Università degli Studi di Firenze e membro fondatore dell’International Society for Plant Signaling & Behavior. «Questi alberi sono un po’ come la mascherina per il Coronavirus: non rappresentano una soluzione al problema, ma ci regalano un po’ di tempo per trovarne una che sia compatibile con le risorse a disposizione», spiega l’esperto, che ha scelto la parola «Terra» per la lezione tenuta online nell’ambito del ciclo «Le Parole del Vieusseux», uno degli appuntamenti più attesi del bicentenario del Gabinetto Vieusseux.

Il nostro rapporto predatorio con la Terra

«Finora abbiamo avuto con la nostra Terra una relazione di tipo predatorio, nel senso che noi uomini ci consideriamo superiori a tutti gli altri organismi viventi, anche se questa posizione è priva di fondamento biologico», fa notare Mancuso, che ha portato in libreria di recente un altro libro dal titolo «La pianta del mondo» (Laterza, pagine 192, €18,00). In effetti, cifre alla mano, tra gli organismi viventi che popolano il Pianeta noi rappresentiamo solo una minoranza: «Se potessimo pesare tutti gli esseri viventi – sottolinea -, tutti gli animali insieme rappresenterebbero solo lo 0,3% della vita, mentre le piante sono l’85,5%». Senza contare poi che noi siamo qui da 300 mila anni, un niente se consideriamo che la vita media di una specie è di 5 milioni di anni.

Il riscaldamento globale

Ma il problema più urgente è quello del riscaldamento globale perché se continuiamo così tra 50 anni non sarà più possibile abitare sul nostro Pianeta: «La quantità di Terra oggi non vivibile a causa di temperature troppo elevate rappresenta lo 0,18% delle terre emerse – avverte Mancuso -. Nel 2070, se non faremo nulla, questa percentuale salirà al 18% e questo vuol dire che ci saranno circa 2 miliardi di persone che dovranno andar via dai loro luoghi perché non potranno viverci».

La deforestazione dell’Amazzonia

Anche la catena alimentare incide in modo decisivo sulla quantità di anidride carbonica generata per produrre cibo che poi per la metà viene buttato via. Ma soprattutto dovremmo riflettere su cosa mangiamo: «Il 65-70% della terra viene utilizzata per l’allevamento di animali, dai quali otteniamo solo il 20% delle calorie mondiali, mentre dal restante 30% del terreno otteniamo l’80% di calorie di origini vegetali», dice il botanico che parte da una domanda per farci riflettere: «Perché si deforesta in Amazzonia? Per creare spazi su cui coltivare soia che serve all’alimentazione dei bovini. Ma è un paradosso: distruggiamo ciò che è fondamentale per la sopravvivenza della specie, cioè gli alberi, per far posto a delle piantagioni che non servono a sfamare noi, ma gli animali che poi mangiamo e dai quali deriva solo il 20% delle calorie mondiali. Siamo al vertice della stupidità umana», conclude con sgomento.

Covid, un benevolo avvertimento

Insomma, con le nostre azioni e le cattive abitudini stiamo distruggendo il Pianeta. «Questa pandemia – dice Mancuso – è un benevolo avvertimento ed è una conseguenza diretta dei nostri danni all’ambiente». La deforestazione porta alla distruzione degli ecosistemi che si reggevano su un loro equilibrio nel quale ci intromettiamo noi esseri umani con conseguenze non da poco. «Pensiamo alla trasmissione dei virus dai pipistrelli all’uomo – dice -. Prima questi animali se ne stavano nelle loro foreste e passavano i virus ad altri esseri viventi che facevano parte del loro ecosistema, ma nel momento in cui abbiamo iniziato a distruggere il loro ambiente i pipistrelli sono diventati prossimali all’uomo ed ecco che si verificano epidemie come quella del Coronavirus».

Il passaggio di virus dagli animali all’uomo

Del resto, già una ventina di anni fa, la rivista «Lancet» pubblicò un articolo in cui si dimostrava che le zoonosi erano provocate dai nostri comportamenti e oggi sappiamo che il passaggio di virus dagli animali all’uomo è quattro volte più frequente rispetto a 30 anni fa. «Finora siamo stati fortunatissimi perché questo virus è molto contagioso ma poco letale, pensiamo cosa potrebbe accadere se ci trovassimo a dover affrontare un virus altrettanto contagioso ma molto più letale: per noi sarebbe la fine».

Come invertire la rotta

Insomma, la prospettiva non sembra incoraggiante, ma l’esperto invita all’ottimismo: «Per fortuna, abbiamo delle soluzioni come, appunto, la collocazione di mille miliardi di alberi per far tornare indietro dei due terzi il surplus di anidride carbonica che sta nell’atmosfera». Ma i costi? «Rappresentano una frazione irrilevante rispetto a quello che spenderemmo per contrastare i danni del riscaldamento globale, ma serve una volontà politica internazionale per piantare alberi in funzione della popolazione: noi italiani, per esempio, dovremmo mettere a dimora 2 miliardi di alberi che possono trovare spazio sui terreni abbandonati dall’agricoltura dagli Anni 90 ad oggi dove addirittura potremmo piantarne fino a 6 miliardi».

Il mercato ha bisogno dell’ambiente

E poi il Coronavirus può rappresentare un’occasione e non solo perché ci ha spaventati e forse costretti a riflettere di più su quanto sia importante prendersi cura del nostro Pianeta, ma anche perché sta dando una lezione all’economia: «La pandemia ha insegnato molto ai mercati, perchè si sono accorti che, bloccando le persone in casa, facendole ammalare e in molti casi anche morire, si blocca l’economia. Insomma, è diventato chiaro che è importante occuparsi anche dell’ambiente perché alla fine i mercati sono fatti di persone», conclude Mancuso. E, in effetti, qualche trend conferma questa tesi: alcuni grandi fondi di investimento non finanziano più aziende che non siano sostenibili perché sanno che nel tempo saranno spazzate vie.