Perché si diventa “zona rossa”. I 21 parametri decisivi.

Articolo del 07 Novembre 2020

Quattro regioni in zona rossa, due in quella arancione. Il resto dell’Italia in giallo. A due giorni dall’uscita dell’ordinanza del Ministero della Salute, non si placano le polemiche di chi da oggi affronta un lockdown parziale. Le decisioni della Cabina di regia, formata da esperti dell’Istituto superiore di Sanità, del ministero e rappresentanti delle Regioni, sono state prese in base a 21 parametri già anticipati da Giuseppe Conte nella definizione del Dpcm.

Durante l’informativa tenuta alla Camera oggi, anche il ministro della Salute Roberto Speranza ha ricordato i criteri, stabiliti già lo scorso aprile da un’ordinanza accettata da tutte le Regioni. Da allora «nessuna polemica», ha insistito il ministro. Per dirsi poi stupito della reazione dei presidenti di Lombardia, Calabria, Piemonte e Sicilia che li conoscevano, ribadisce, quando hanno consegnato i dati regionali. La classificazione nelle fasce di rischio più alte, in ogni caso, non è definitiva. Ogni 15 giorni la Cabina di regia provvederà a rianalizzare i monitoraggi e a valutare eventuali spostamenti. L’intervallo di tempo è stato selezionato in quanto riflette il range minimo per individuare un cambiamento nei dati.

ZONA ROSSA, DA COSA DIPENDE?

Ma come si entra in zona rossa? I 21 parametri sono divisi in due grandi macro-gruppi: criteri di monitoraggio e risorse umane. Avere dati positivi in uno solo dei due non assicura la lontananza dalla fascia più alta di rischio. Come è successo alla Calabria, che pur avendo 11 persone in terapia intensiva e un numero molto contenuto di nuovi casi, è finita in zona rossa per la forte carenza di personale sanitario.

Alcuni degli indicatori di monitoraggio sono molto tecnici ma aiutano, uniti in un algoritmo, a tenere traccia della pandemia nella sua rapida evoluzione. Oltre all’Rt, indice che definisce la trasmissione del virus e il numero di persone che un contagiato a sua volta contagia, troviamo il numero di casi sintomatici in cui è notificata la data di inizio dei sintomi. A cui si aggiungono, tra gli altri, il numero di casi con storia di ricovero ospedaliero e data dello stesso e casi con storia di trasferimento o ricovero in intensiva e data.

Al centro tradizionalmente il numero di nuovi focolai, i casi associati a catene di trasmissione note, il numero di accessi al Pronto Soccorso e il tasso di occupazione dei posti letto, sia in area medica che in terapia intensiva e sub-intensiva.

LE REGIONI CON MANCANZE NEI DATI

Sono considerati anche i tamponi positivi escluse tutte le attività di screening e re-testing degli stessi soggetti. Il tempo trascorso tra diagnosi e sintomi e, ancora, tra sintomi e isolamento. Alcune regioni hanno registrato mancanza di voci per questi parametri: Abruzzo, Basilicata, Liguria, Veneto e Valle d’Aosta. Altre hanno rilevato difficoltà di stabilità nella trasmissione delle voci, arrivate ai monitoraggi con tempistiche allungate. Nello specifico Valle d’Aosta, Campania, Sicilia, Marche e Friuli-Venezia Giulia. La Valle d’Aosta è arrivata in zona rossa proprio per essere stata mancante in entrambi i casi.

Molte regioni in generale hanno registrato un preoccupante ritardo di notifica dei nuovi casi. Responsabile, nella maggior parte dei casi, di un dato molto alto registrato dopo giorni di stabilità numerica. Come per esempio oggi, in cui l’Italia è arrivata a 37 mila casi, dopo cinque giorni intorno ai 30mila.

RISORSE UMANE, IMPORTANZA MASSIMA

Infine le risorse umane, come già detto, ricoprono un ruolo cardine nella valutazione del rischio. Non solo il personale medico e infermieristico disponibile negli ospedali, ma anche gli addetti al controllo territoriale dell’epidemia. Vengono presi in considerazione, infatti, il numero e la tipologia di figure professionali (e il tempo per persona) dedicate a contact-tracing territoriale, al prelievo e invio nei laboratori, al monitoraggio dei contatti stretti e dei casi posti in isolamento o quarantena.

In ultimo viene considerata la buona norma prevista dall’Ecdc europeo per garantire in modo ottimale la gestione dell’emergenza. «Dovrebbero essere messe a disposizione – si legge nell’ordinanza – nelle diverse articolazioni locali non meno di 1 persona ogni 10.000 abitanti includendo le attività di indagine epidemiologica, il tracciamento dei contatti, il monitoraggio dei quarantenati, l’esecuzione dei tamponi, preferibilmente da eseguirsi in strutture centralizzate (drive in o simili), il raccordo con l’assistenza primaria, il tempestivo inserimento dei dati nei diversi sistemi informativi».

Era stato il direttore della Prevenzione del Ministero della Salute Gianni Rezza per primo a definire “poco automatici” i 21 parametri di giudizio. Di fronte alla domanda di un giornalista sulla difficoltà di attribuzione delle Regioni, aveva chiarito che è molto difficile fare una media di criteri che devono essere soggetti a interpretazione prima di tutto. E che dipendono, ancor più, da sistemi profondamente diversi e non gestiti da un unico sistema.

 

FonteSanità Informazione

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