Quel legame tra capacità di inventare e autismo

Articolo del 20 Settembre 2021

La capacità di inventare, trasformando progressivamente oggetti, idee e relazioni esistenti, sembra essere una caratteristica degli esseri umani non condivisa da altre specie animali. Simon Baron-Cohen cerca di individuare, nel tempo dell’evoluzione umana, lo sviluppo di questa particolare competenza, indagando su cosa l’ha resa e la rende possibile, su come ci differenzia dalle altre specie e, soprattutto, su come si possa collegare con le sindromi relative all’autismo.

A fondamento della storia delle invenzioni umane, Baron-Cohen ipotizza un “meccanismo di sistematizzazione” sostanzialmente innato in tutti gli individui ma presente in diverso grado, attraverso il quale possiamo vedere gli oggetti o gli eventi come sistemi governati da schemi se-e allora. Questi schemi si costruiscono nella mente stimolati da una innata curiosità che pone domande su ciò che abbiamo intorno, e portano a individuare risposte che devono essere sperimentate o testate per confermarle e garantirne la validità. Si avviano così processi ricorsivi che permettono infine la modellizzazione del processo complessivo. In ogni percorso se-e allora, il SE ha valore di ipotesi o di input per iniziare la ricerca, l’E è ciò che immaginiamo abbia fatto cambiare causalmente la situazione iniziale, l’ALLORA è la conseguenza del processo che deve essere verificato ed eventualmente riproposto in forma ricorsiva. Per trovare la regola che spieghi, ad esempio, l’invenzione dell’agricoltura, SE si semina un seme E il terreno è umido, ALLORA il seme germoglia e SE (ricorsività e modellizzazione) si seminano cinque semi, ALLORA germogliano 5 SEMI.

Certo non si impara soltanto inventando e sperimentando: secondo Baron-Cohen gli animali non sanno né inventare né sperimentare ma sviluppano forme di apprendimento associativo (prestazioni con ricompensa) e forme di apprendimento sociale, che però non li hanno mai portati a inventare infinite varianti di ciò che sanno fare. Infatti, sono proprio le piccole “variazioni sul tema” che possono produrre e perfezionare la molteplicità delle invenzioni che caratterizzano la nostra cultura.

Dal punto di vista cognitivo, le strutture e i funzionamenti cerebrali umani e animali hanno messo in evidenza come questi ultimi non abbiano sviluppato una Teoria della Mente. Al contrario, la Teoria della Mente negli umani permette di individuare due meccanismi rivoluzionari, il meccanismo di sistematizzazione e il circuito dell’empatia, in cui si distingue una empatia cognitiva e una empatia affettiva. Studi sulla neurodiversità cerebrale dimostrano che questi meccanismi sono presenti in forme e gradi diversi in tutti gli individui e statisticamente, analizzando circa 600.000 persone nel progetto UK Brain Types Study, sono stati individuati 5 diversi tipi di cervelli: i B, ugualmente bravi nell’empatizzare e nel sistematizzare, gli E e i super E, particolarmente portati all’empatia, gli S e i super S estremamente versati nella sistematizzazione. La scoperta rilevante è che al gruppo dei super S appartengono anche molte persone autistiche. Essere super sistematizzatori, sostiene Baron-Cohen, è un prerequisito per la capacità umana di inventare, e le persone autistiche, con menti super sistematizzanti, possono vedere schemi se-e-allora che sfuggono ad altri tipi di mente. Gli S e i super S sono più frequenti nei maschi, spesso impegnati in lavori creativi in ingegneria e matematica (STEM), e che nella vita prenatale sono stati esposti ad elevate quantità di testosterone: si è visto anche che più è alto il livello di testosterone prenatale maggiori sono i tratti autistici della persona. Parallelamente, in questi individui super S, si abbassa il livello della empatia che porta, dopo la nascita, a una riduzione dei contatti visivi, a difficoltà nel vocabolario e nel riconoscimento delle emozioni.

Il saggio di Baron-Cohen suggerisce che la diffusione dei geni dell’autismo avrebbero guidato l’evoluzione dell’invenzione umana e importanti studi, specialmente su gemelli, hanno analizzato il controllo genetico sulle capacità di sistematizzazione e di empatia. Il Genetics of Empathizing and Systemizing Study ha messo in evidenza che varianti genetiche comuni, presenti in tre geni, sono associate alla sistematizzazione e all’empatia ma hanno influenza genetica indipendente. Baron-Cohen suggerisce che la base genetica dell’autismo potrebbe trovarsi in varianti comuni di geni di cui tutti noi siamo portatori, ma la iper sistematizzazione e l’autismo hanno probabilmente una causa genetica condivisa. Ovviamente saper super sistematizzare non fa di per sé né un ingegnere né un musicista né un autistico: per chi possiede questo tipo di mente aumenta soltanto la probabilità di inventare qualcosa sviluppando e sperimentando schemi se-e-allora. Tuttavia, un Parents’ Occupation Study ha dimostrato che in una famiglia con un figlio autistico sia i nonni paterni e materni sia i genitori hanno maggiori probabilità di lavorare in campo ingegneristico; e l’Eindhoven Study (uno studio condotto in un Centro di eccellenza tecnologica olandese analogo al MIT americano) ha confermato che in questo Centro erano molto frequenti le coppie in cui entrambi i partner erano portatori di geni da super sistematizzatori, e che il tasso di autismo dei loro figli era più del doppio di quello comune.

Nella nostra società le persone autistiche possono eccellere o soffrire molto a seconda dell’ambiente in cui si trovano. Il concetto di neurodiversità deve portare a capire che ci sono vie diverse nello sviluppo cerebrale e che i talenti unici degli autistici sono essenziali per lo sviluppo delle conoscenze umane. Di conseguenza bisognerebbe creare ambienti giusti per sostenere le capacità delle persone autistiche sul posto di lavoro, rispettando le loro difficoltà empatiche. Per esempio, progettando colloqui di assunzione di formato diverso, che non richiedano l’interpretazione di sguardi o di sottintesi, come viene sperimentato nella azienda Specialisterne o nella Auticon, che assume solo consulenti autistici. E sarebbe necessario anche rispettare le loro specifiche qualità di apprendimento, senza imporre dei formati scolastici assolutamente non adatti alle loro capacità cognitive e alle loro difficoltà empatiche. Si potrebbe modificare, come Baron-Cohen invita a fare, il concetto di disabilità (che porta a infelicità, prestazioni insufficienti e sfiducia in se stessi) in quello di diversità e cambiare la nostra cultura e la nostra società per sviluppare le preziose qualità di chi riesce a fare cose che nessuno può immaginare, come intravedere e progettare cambiamenti di schemi, invisibili alle menti normali.

 

Fonte: Galileo

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