Quelli che resistono al contagio. Forse un gene rende alcune persone più protette.

Articolo del 21 Ottobre 2020

C’è chi non si infetta nonostante conviva con un positivo. “La nostra ipotesi è che esistano geni che rendano alcune persone più protette dal contagio” dice lo scienziato di Tor Vergata Giuseppe Novelli. Che ora, con un consorzio internazionale partirà alla caccia del (possibile) Dna dei resistenti.

“Hanno mangiato insieme, vissuto insieme, dormito insieme. Eppure non si sono ammalati. Perché? Esiste un gene che conferisce una protezione dal Covid?”. A Giuseppe Novelli, professore di genetica medica dell’università di Tor Vergata, uno dei più attivi genetisti italiani, la domanda è sorta quando ha ascoltato la storia di alcune famiglie che si sono ammalate a metà.

Qual è la sua ipotesi?
“E’ difficile spiegare che due o più persone che vivono fianco a fianco non si contagino, che in un convento o in una Rsa qualcuno si infetti e il vicino di letto no. Una signora mi ha raccontato di aver fatto un viaggio in Spagna con una sua amica. Sono state sempre insieme, mangiando accanto e dormendo nella stessa stanza d’albergo. Ma l’amica è positiva, lei no. Il mio dubbio, che sto studiando con i colleghi del Covid Human Genetic Effort, è che esista un gene che rende alcune persone resistenti al contagio. Finora avevamo considerato quattro categorie di contagiati: gli asintomatici, le persone con sintomi lievi, chi ha bisogno solo di ossigeno e chi di terapia intensiva. Può darsi che ne esiste una quinta: i resistenti”.

Come avviene per l’Hiv?
“In quel caso esiste una delezione in un gene, il CCR5, che rende difettoso il recettore delle cellule per il virus. E’ come se la serratura non funzionasse e Hiv non riuscisse a entrare. In Europa questa variante genetica, valida solo per l’Aids, è diffusa nel 10% della popolazione, in Africa un po’ meno”.

Ma la sua è solo un’ipotesi o ha delle prove?
“Solo un’ipotesi, per il momento. E’ un momento di confusione per gli ospedali. Non è facile trovare le persone giuste da studiare e chiedergli ora di sottoporsi a un test del Dna. Dovrebbero essere individui molto esposti al coronavirus, personale sanitario o parenti di positivi, ma allo stesso tempo negativi sia al tampone che al test sierologico. Abbiamo al momento pochi campioni, ma per questo tipo di studi serve una collaborazione internazionale, come quella del consorzio Covid Human Genetic Effort. Il mio collega Jean-Laurent Casanova, della Rockefeller University di New York, che è condirettore del consorzio, si è già mosso in questo senso”.

Come potrebbe funzionare, il meccanismo di protezione?
“Può darsi che un gene permetta a una persona di produrre una buona quantità di interferone, che è un ingrediente importante della risposta immunitaria. Finora siamo riusciti a dimostrare il contrario, pubblicando lo studio su Science: le persone con una particolare variante genetica che ostacola la protezione di interferone tendono più spesso a ricadere nella categoria dei malati gravi. Oppure può accadere che una variante genetica blocchi la porta di accesso del virus, il recettore Ace2”.

 

FonteLa Repubblica