Quello che il Covid ha tolto ai bambini. I pediatri: “Riaprite le scuole”

Articolo del 01 Dicembre 2020

LO ABBIAMO letto e ascoltato più di una volta in questi mesi, e non senza soddisfazione e sollievo: i bambini sono meno colpiti dall’infezione da sars-cov-2. E quando lo sono spesso non hanno sintomi o soffrono di forme cliniche lievi: raffreddore, febbre, tosse, i più piccoli di vomito e diarrea. Ma se è vero che la fascia pediatrica è quella meno colpita clinicamente dal virus, è innegabile che bambini e adolescenti subiscono effetti indiretti sul piano psicologico, relazionale, formativo, in particolare i bambini e egli adolescenti più fragili, quelli con patologie croniche, e i più poveri.

Di tutto quanto riguarda la medicina dei bambini e di come il covid ha impattato e impatta sulla vita dei cittadini più giovani si parla il 27 e il 28 novembre al Congresso straordinario digitale della Sip, Società italiana di pediatria, dal titolo “La Pediatria italiana e la pandemia da Sars-CoV-2”. Straordinario perché il periodo nel quale tutti ci tocca vivere è fuori dall’ordinario, ma soprattutto lo è per i più piccoli. E da qui i pediatri lanciano un appello per riaprire le scuole.

I numeri

“Di per sé il virus ha colpito l’età pediatrica meno e in maniera meno grave rispetto agli adulti – dice Alberto Villani, presidente Sip -.  Dall’inizio dell’epidemia – entra nel dettaglio – sono stati 43.841 (pari al 3,6% del totale) i casi diagnosticati nella fascia di età da 0- 9 anni e 105.378 quelli diagnosticati nella fascia 10-19 (8,6%)”. Per quanto riguarda i sintomi, tra a i bambini più piccoli (da 0-1 anno) gli asintomatici sono più di 6 su 10 (64,3% dei casi), i paucisintomatici o con sintomi lievi più di 3 su 10 (32%) e solo il 3,4% manifesta sintomi severi. Tra 2 e i 19 anni gli asintomatici sono più di 7 su 10, gli altri sono paucisintomatici o lievemente sintomatici. Dall’inizio dell’epidemia i decessi registrati da 0 a 19 anni sono stati 8 (fonte Istituto Superiore di Sanità).

Un virus clinicamente buono con i più piccoli

“Sars-cov-2 con i bambini è meno cattivo, questo inizialmente  ci ha sorpreso: temevamo soprattutto per i neonati e per gli immunocompromessi. Ma anche loro, nella stragrande maggioranza dei casi, l’hanno sfangata”, afferma a latere del  congresso Sip, Luisa Galli, responsabile del reparto di Infettivologia dell’Ospedale pediatrico Meyer di Firenze, past president della SITIP, Società italiana di infettivologia pediatrica, e segretaria del Gruppo di farmacologia della Società italiana di pediatria.

Perché?

Un virus buono con i bambini, si diceva. Ma per quale ragione i più giovani sono meno sensibili al Covid-19? “Possiamo solo fare ipotesi – riprende l’infettivologa – una, probabilmente la più accreditata, è quella secondo la quale sulla mucosa dell’apparato respiratorio dei bambini, ACE2, cioè il recettore a cui si lega il virus, è meno espresso. Il che potrebbe spiegare perché il sars-cov-2  non riesce a fare i danni che fa nella popolazione adulta, neanche nei bambini con patologie oncologiche o negli immunocompromessi. Al Meyer abbiamo trapiantato il midollo a una bambina affetta da leucemia e positiva al virus, e anche lei non ha mai avuto una sintomatologia importante: ecco anche questa è stata una bella sorpresa. Anche i bambini fisicamente più fragili non hanno pagato un prezzo alto al covid-19”.

Ma essere più buono non significa esserlo sempre, e quando i sintomi del covid ci sono, vanno trattati, anche nei più piccoli. In che modo? “Con paracetamolo per la febbre, come sempre. E evitando la disidratazione nei bambini più piccoli con vomito e diarrea. Altre terapie, come il cortisone vanno somministrate in ospedale, in caso di difficoltà respiratorie o di co-infezione con altri virus, come il virus respiratorio sinciziale”.

Le sindromi infiammatorie multisistemiche

In alcuni casi sporadici il Sars-Cov-2 ha stimolato sindromi infiammatorie multisistemiche gravi. Le MIS-C (dall’inglese Multisystem Inflammatory Syndrome in Children ) sono la versione pediatrica della tempesta di citochine, le proteine che regolano i meccanismi di difesa dell’organismo e che, se prodotte in maniera massiccia, danneggiano organi e tessuti in particolare i vasi sanguigni e le coronarie, come in uno shock settico. Queste gravi infiammazioni immunomediate non sono provocate dal virus direttamente, ma da una reazione eccessiva all’infezione che si manifesta in alcuni bambini “probabilmente geneticamente predisposti – specifica Galli -. Non è la prima volta che noi pediatri ci confrontiamo con forme autoimmuni pediatriche gravi. Si pensa che anche la sindrome di Kawasaki (una infiammazione multisistemica con cui le MIS-C  hanno punti di contatto e anche differenze (vedi studio italiano-svedese su Cell) sia correlata ad un’ infezione virale, ma non si è mai capito quale fosse il virus responsabile”. Come per le tempeste di citochine degli adulti, contro le sindromi infiammatorie multisistemiche dei bambini si usano antagonisti delle citochine che sono veri e propri salvavita per i bambini con MIS-C.

“È stata una grande fortuna che i bambini abbiano manifestato una ridotta suscettibilità al Covid-19. Se questo nuovo virus avesse colpito i bambini come gli adulti – conclude l’infettivologa – avremmo avuto un enorme problema, considerando che in Italia, come in altri paesi, ci sono pochi posti letto di isolamento pediatrico e di terapia intensiva pediatrica. Pensiamoci per tempo.  La prossima epidemia, anche se speriamo tutti di non vederne un’altra a breve, potrebbe non risparmiare l’età pediatrica”.

I bambini sono sempre fragili

“Non sono stati colpiti clinicamente dal virus come gli adulti, ma i bambini hanno avuto ricadute notevoli sul piano psicologico relazionale, formativo, scolastico – esordisce Giovanni Corsello, professore ordinario di Pediatria all’Università di Palermo – Perché essere bambini è di per sé una fragilità. Poi ci sono i bambini più fragili che hanno risentito ancora di più del Covid e del lockdown: parliamo di chi soffre di malattie croniche come diabete, artrite reumatoide, patologie renali, asma bronchiale o malattie genetiche che sono almeno il 15% della popolazione pediatrica”.

Il 50% di questi pazienti ha bisogno di controlli, esami diagnostici o di terapie speciali, ma nel periodo del lockdown hanno ridotto o rimandato gli accessi in ospedale, “È così – conferma Corsello –, una volta su due perché le famiglie temevano il contagio, e questo ha comportato rischi e complicanze, anche fatali, il caso più eclatante è quello dei bambini con diabete 1 che rischiano  la chetoacidosi, una condizione potenzialmente fatale che può condurre al coma”. Secondo la Siedp (Società italiana endocrinologia e diabetologia pediatrica) il numero di chetoacidosi gravi che si riscontrano all’esordi della malattia è passato dal 36% del totale nel periodo pre-covid al 44% durante il lockdown, quasi in un caso su due l’accesso al pronto soccorso è stato tardivo. Secondo Aieop (Associazione italiana ematologia oncologia pediatrica) nel periodo marzo-maggio 2020 le diagnosi di tumore pediatrico si sono ridotte del 30% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. I bambini più fragili dunque hanno pagato due volte la pandemia e il lockdown: come tutti i loro coetanei l’hanno pagata in termini sociali e relazionali e scolastici ma in più, rispetto agli altri, sul piano dei livelli di salute.

Fuga dai prontosoccorsi

A livello complessivo secondo stime Simeup (Società italiana di medicina emergenza urgenza pediatrica) durante la pandemia il calo medio dell’utenza pediatrica nei Pronto Soccorso è stato del 40%, con punte dell’80% in alcune zone del paese. Ma gli ospedali sono sicuri, tengono a dire i pediatri – e le famiglie devono saperlo.

Aumentano i bimbi nati morti

Secondo uno studio realizzato nel Lazio, ma in line acon altre indagini condotte in altri paesi d’Europa,  nel corso della prima ondata pandemica la natimortalità, cioè la percentuale dei bambino nati morti, è aumentata di tre volte, non come causa diretta del covid  – dicono i pediatri – ma perché le donne si sono sottoposte a meno controlli nel periodo della chiusura, controlli che invece sono necessari per trovare alterazioni che possono provocare conseguenze gravi.

Vaccini: cala la copertura

Durante il lockdown i bambini si sono vaccinati meno, soprattutto nella prima ondata. Secondo un’indagine Sip-pazienti.it oltre 3 genitori su 10 hanno rinviato le vaccinazioni per paura del contagio o perché i centri vaccinali erano chiusi, con il rischio di una possibile ripresa di patologie come pertosse, morbillo, meningiti menigococciche. Il problema non è solo italiano: L’Organizzazione mondiale della sanità, l’Unicef e il Gavi, (Vaccine Alliance https://www.gavi.org/) hanno stimato che in seguito alla pandemia almeno 80 milioni di bambini nel mondo siano a rischio di contrarre malattie prevenibili con le vaccinazioni. Secondo i dati preliminari Oms-Unicef relativi ai primi 4 mesi dell’anno si è verificato a livello globale un calo sostanziale del numero di bambini che hanno completato le 3 dosi di vaccino contro difterite, tetano e pertosse. È la prima volta dopo 28 anni.

Alimentazione, stili di vita e diseguaglianze

Uno studio italiano pubblicato su Obesity (https://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1002/oby.22861 realizzato su 41 bambini e adolescenti con obesità confinati in casa la scorsa primavera ha messo in evidenza che  durante il lockdown c’è stato un incremento significativo rispetto a prima della pandemia del numero di pasti giornalieri e del consumo di patatine fritte, carne rossa e bevande zuccherate. Così come c’è stato un incremento del tempo trascorso davanti a schermi, ovviamente a svantaggio dell’attività fisica. “Ma c’è un altro studio, questa volta su Pediatric Obesity e condotto su bambini e ragazzi spagnoli di peso normale (https://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1111/ijpo.12731che ha mostrato dati sovrapponibili a quelli italiani, in termini sia di riduzione dell’attività fisica che di aumento del tempo trascorso davanti a schermi”, aggiunge Annamaria Staiano, ordinario di pediatria all’Università Federico II di Napoli e vicepresidente Sip. “Questa seconda pubblicazione – aggiunge Staiano – ha analizzato anche i fattori socio-culturali correlati ai risultati, trovando che la riduzione dell’attività fisica era sensibilmente più marcata nei figli di madri straniere o con titolo di studio più basso”. Come dire che la pandemia di covid si innesta nella pandemia degli stili di vita errati, che si innesta a sua volta nell’eterna piaga delle disuguaglianze socioeconomiche. “È esattamente così, sono pandemie nelle pandemie: l’aspetto socioeconomico non è secondario. Uno dei rischi correlati alla pandemia e al lockdown è il peggioramento delle disparità sociali, che sono in stretta relazione con la salute: stili di vita e alimentazione sbagliati a lungo termine si correlano a patologie croniche, prima tra tutte il l’obesità, che si associano ad un aumento della morbilità e mortalità” aggiunge Staiano. Nel nostro paese i minori in povertà assoluta sono oltre 1.200.000 (dati Istat), nel Sud Italia il 10% delle famiglie è in povertà “andrebbe posta più attenzione al rischio che la pandemia aggravi la condizione di famiglie che si trovano già in difficoltà, si tratta di tanti bambini”, conclude la pediatra. Tanta bambini che potrebbero aumentare: secondo Save the Children entro la fine dell’anno, 1 milione di minori in più potrebbero scivolare nella povertà assoluta.

Riaprire le scuole, luoghi sicuri

“L’aumento drammatico della povertà si associa a una qualità della vita, a un aumento delle malattie e a disturbi e difficoltà nella sfera fisica, affettiva, emotiva, cognitiva, linguistica e relazionale anche in età pediatrica  E la chiusura delle scuole – spiega Mario De Curtis, del Comitato Sip per la Bioetica – ha fatto amplificato queste criticità perché sono stati molti gli studenti esclusi dalla didattica a distanza per la mancanza di pc, di connessioni. L’Istat ha certificato che durante il confinamento 1 studente su 8 non possedeva un laptop per la dad e più di 2 minori su 5 vivevano in case senza spazi adeguati per studiare”.

Secondo i dati del ministero dell’Istruzione diffusi gli studenti contagiati al 15 ottobre erano 5.793, lo 0,08 % del totale, i docenti 1.020, cioè lo 0,13%, e il restante personale scolastico 283, cioè lo 0,14 %“dati che testimoniano  che le scuole sono luoghi sicuri – spiega Rino Agostiniani vicepresidente Sip –  Le infezioni da sars-cov-2 sono più basse nei bambini rispetto agli adulti e sembrano seguire la situazione piuttosto che guidarla. È più facile che sia un adulto ad infettare un bambino che il contrario.  Quello che invece preoccupa sono le crescenti evidenze sui danni dovuti all’isolamento come ansia, disturbi del sonno, disordini alimentari. È urgente – dice Agostiniani – l’apertura delle scuole per evitare che alla crisi sanitaria ed economica se ne aggiunga una educativa e sociale dalle conseguenze pesanti per tutti i bambini e gli adolescenti”.

Educazione sanitaria per gli studenti

“La Sip – propone  Villani – chiede l’inserimento dell’educazione sanitaria come materia d’insegnamento dall’asilo ai licei, ed è disponibile alla condivisione dei programmi da svolgere. Formare cittadini preparati sui temi della sanità pubblica e personale renderebbe migliore la salute di tutti, faciliterebbe la sostenibilità del nostro Ssn e costituirebbe un significativo risparmio per le casse dello Stato”.

Una canzone dei pediatri contro la violenza sulle donne

La Società italiana di pediatria è da sempre  impegnata contro ogni violenza, e il pediatra ha un ruolo molto importante nell’individuare e segnalare tutti i casi, non solo nei confronti dei bambini ma anche delle loro madri: “tutte le donne possono fare affidamento sul pediatra come aiuto concreto nei casi di difficoltà”, dice Alberto Villani. La Sip per dire no alla violenza sulle donne ha realizzato una clip musicale in occasione del 25 novembre, Giornata internazionale.

 

Fonte: La Repubblica

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