Tutte le varianti del SARS-CoV-2 che attualmente ci preoccupano potrebbero essere nate in Italia

Articolo del 22 Febbraio 2021

Prende corpo l’ipotesi di un paziente «eccezionale» che ha fatto da serbatoio alle mutazioni: il meccanismo, spiegato in uno studio, potrebbe essersi verificato in ogni Paese in modo autonomo e sta probabilmente accadendo in tutto il mondo anche ora. Tutte le varianti del SARS-CoV-2 che attualmente ci preoccupano (inglese, sudafricana e brasiliana) potrebbero essere nate in Italia, o meglio, potrebbero essere “autoctone”.

I pazienti «stra-ordinari»

Non significa che abbiano avuto origine qui e si siano diffuse altrove, ma piuttosto che ciascuna variante avrebbe potuto nascere autonomamente in ciascun Paese da pazienti “straordinari”, persone fortemente immunodepresse che hanno albergato il virus nel loro corpo per lungo tempo. L’ipotesi che le varianti si siano sviluppate in pazienti di questo tipo è in circolo da un po’: il virus che continua a replicare all’interno di un corpo, con un sistema immunitario che non reagisce bene, sviluppa una serie di mutazioni che in qualche modo lo “allenano” ad adattarsi meglio al nostro organismo e a sfuggire alle sue difese. Il meccanismo è stato spiegato bene in uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine all’inizio di novembre 2020 con poco clamore, ma poi continuamente richiamato.

Il virus che si allena a mutare

Nella primavera dello scorso anno un uomo di 45 anni si è recato al Brigham and Women’s Hospital di Boston per coronavirus. I medici lo hanno trattato con steroidi e lo hanno dimesso cinque giorni dopo, ma l’infezione non è mai scomparsa ed è rimasta nel suo corpo per 154 giorni. L’uomo non era affetto da quello che i medici chiamano Long Covid, ma aveva un’infezione (la stessa) che è durata cinque mesi durante i quali è stato anche altamente contagioso. Quest’uomo aveva una grave malattia autoimmune che gli richiedeva di assumere farmaci per sopprimere il sistema immunitario. Il suo corpo non poteva combattere l’infezione da coronavirus e alla fine è finito nel reparto di terapia intensiva ed è morto. In quei cinque mesi il primario di Malattie Infettive della Harvard Medical School, Jonathan Li, ha condotto con il suo team un esperimento illuminante: ogni settimana ha estratto dall’uomo campioni del virus e l’ha sequenziato. Le sequenze hanno mostrato a Li e al suo team che il virus stava cambiando molto rapidamente all’interno del corpo dell’uomo: aveva acquisito oltre 20 mutazioni. Gli scienziati non avevano mai visto il SARS-CoV-2 mutare così rapidamente. Verso la fine della sua vita, il paziente è stato trattato con anticorpi monoclonali, ma si sono viste prove che suggerivano che il virus stesse sviluppando resistenza anche a questi anticorpi.

Le stesse mutazioni delle varianti

Le serie di mutazioni rilevate nell’uomo condividevano caratteristiche importanti con le tre varianti attualmente sotto la lente, in particolare la mutazione N501Y (comune a tutte e tre) e la E484K (condivisa dalle varianti sudafricana e brasiliana). Da quando Li ei suoi colleghi hanno pubblicato i loro risultati, diversi altri team hanno segnalato casi simili in cui il virus si è evoluto rapidamente all’interno di una persona immunocompromessa con un’infezione cronica da coronavirus. L’aspetto notevole è che la mutazione N501Y, nota per aiutare il virus a legarsi più strettamente alle cellule umane, e la mutazione E484K, che aiuta il virus a eludere gli anticorpi, si sono sviluppate in modo autonomo in diversi continenti e continuano a “saltar fuori” anche in laboratorio quando il virus è sottoposto a “pressione selettiva”. Come se ci fossero alcune chiavi “giuste” per il virus per essere più efficiente, chiavi che in alcune circostanze il SARS-CoV-2 sviluppa. Ci sono una serie di esempi, in tutto il mondo, in cui i virus dei pazienti hanno improvvisamente mostrato un intero gruppo di nuove mutazioni tutte in una volta.

Un processo che accade continuamente

Forse il coronavirus utilizza le infezioni a lungo termine come “banco di prova” e questo processo – è l’ipotesi degli scienziati – sta probabilmente accadendo in tutto il mondo in altri pazienti immunocompromessi. Ecco perché le varianti che hanno in sé queste due mutazioni, insieme ad altre specifiche, potrebbero anche essere nate in modo autonomo in ogni Paese: le tre zone di rilevamento (UK, Brasile e Sudafrica) sono luoghi in cui il virus ha colpito duramente e potrebbe aver trovato ospiti del tipo descritto sopra, che hanno dato origine alle mutazioni. La casuale scoperta della variante potrebbe poi aver indotto i governi a dare un nome e a monitorarne la diffusione per primi. Ovviamente potrebbe anche trattarsi di varianti originatesi davvero nei tre Paesi e da lì portate altrove con viaggi e contatti.
Quel che conta, è che quando il virus dilaga, trova strade per reinfettare le persone ed eludere la risposta degli anticorpi. Il virus, insomma, non deve “scappare”. Le nostre armi sono frenare la circolazione il più possibile e implementare le campagne vaccinali, visto che i vaccini in uso sono efficaci in gran parte anche contro le varianti.

 

Fonte: Corriere della Sera

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