Una “strana” limonata e l’intuizione di Pantellini

Articolo del 10 Aprile 2021

Il lavoro di Pantellini sui tumori descrive una delle più classiche esperienze nell’ambito della ricerca scientifica, cioè il risultato clamorosamente inatteso e apparentemente casuale in seguito a un altrettanto apparente errore. Infatti, la storia dell’ascorbato di potassio iniziò nel lontano 1948 quando un orafo fiorentino, di nome Giovanni, amico di Pantellini (laureato da alcuni anni a Firenze in chimica pura a indirizzo organico-biologico e già impegnato nello studio della biochimica dei tumori con il dottor Giocondo Protti, al Centro Autonomo dei Tumori di Ancona), malato di tumore inoperabile allo stomaco, ottenne straordinari e inattesi benefici bevendo spremute di limone nelle quali per errore aveva aggiunto del bicarbonato di potassio (KHCO3), in luogo del comune bicarbonato di sodio (NaHCO3) che Pantellini stesso gli aveva consigliato per alleviare i dolori e i bruciori digestivi. La prima idea che si era fatto Pantellini, quando si ritrovarono dopo diversi mesi e questo appariva perfettamente ristabilito con radiografia negativa per malattia, era che ci fosse stato un errore da parte del radiologo e che probabilmente il signor Giovanni non aveva mai avuto il cancro, oppure che l’ultimo referto radiografico si riferisse ad altra persona e ci fosse stato uno scambio di lastre. Ma verificato sul posto che il radiologo non aveva commesso alcun errore, andò a trovare l’amico perché non si capacitava del risultato visto che, a detta dell’orafo, l’unica cosa che lui stava assumendo era proprio questa sorprendente limonata.

Mentre stavano parlando, la moglie portò a Giovanni la limonata e lui prese da un barattolo un cucchiaino di bicarbonato (che Pantellini credeva fosse di sodio) e lo mise nel bicchiere. Fu la strana effervescenza, diversa da quella che si aspettava, insieme all’aspetto insolito del barattolo da cui Giovanni attingeva la sua dose di bicarbonato, a lasciare interdetto Pantellini. Quando l’amico girò il barattolo in cui era scritta la composizione chimica si svelò l’arcano: si trattava certamente di bicarbonato, ma di potassio! Qui le informazioni sono incerte, perché sembra che l’errore (benvenuto e benedetto!) l’abbia fatto il farmacista nella preparazione galenica.

Lo stesso Pantellini ebbe modo di annotare: «Il fatto mi meravigliò non poco, né potevo spiegare il perché la limonata così confezionata producesse un tale benefico effetto» (Valsé Pantellini G., 1970, p. 219). Era rimasto incredibilmente sorpreso e sbalordito da questo fatto, di cui non riusciva a trovare spiegazione sulla base delle conoscenze del momento, e si mise a ragionare e a riflettere su quanto era accaduto. A un certo punto si accese la lampadina, tanto che lui stesso affermò: «È come se avessi ricevuto una botta in testa!», perché si ricordò di due ricerche fatte indipendentemente l’una dall’altra da parte di uno studioso ungherese, Moraveck, e uno giapponese, Kishi, che pubblicarono due lavori in cui veniva evidenziato che nel cancro (in particolare nel sarcoma di Rous) si manifestava uno squilibrio elettrolitico fra sodio (presente prevalentemente nell’ambiente extracellulare) e potassio (molto concentrato all’interno delle cellule), e questo squilibrio aumentava percentualmente con la progressione della malattia. Quindi avevano evidenziato che il sodio andava a sostituire il potassio in quantità sempre maggiori. Questo fatto era stato evidenziato in un testo su cui Pantellini stava studiando, quello di Hans Von Euler e Boleslaw Skarzynski, pubblicato da Einaudi nel 1945 nella versione italiana con il titolo La biochimica dei tumori.

Da autentico uomo di scienza, curioso, attento ai particolari, rigoroso nel metodo e nell’interpretazione, volle indagare e cercare di capire se si trattasse di una fortuita serie di coincidenze irripetibili (la scienza infatti si basa sempre sul principio galileiano della riproducibilità della misura nelle stesse condizioni sperimentali) e per quale motivo quello “strano composto” avrebbe dovuto produrre benefici così positivi e avere un ruolo così efficace nell’attacco a una patologia così devastante e per la quale in quel momento non sembravano esserci grandi speranze.

Da bravo e scrupoloso chimico qual era, separò i vari componenti dal succo di limone (acido citrico, acido tartarico e acido ascorbico, in ordine decrescente di concentrazione) e li salificò separatamente con il bicarbonato di potassio, ottenendo sali di potassio (rispettivamente citrato, tartrato e ascorbato di potassio) che fece assumere ad alcuni malati di tumore in fase avanzatissima, con il consenso dei loro medici curanti. A questo proposito è opportuno ricordare che in quel periodo la diagnosi di tumore, in assenza di un presupposto chirurgico (la radioterapia era devastante e la chemioterapia era appena agli inizi), era decisamente infausta e ciò che poteva portare benefici era guardato con favore dagli addetti ai lavori.

Lo stesso Pantellini riferì che l’assunzione per venti giorni di due dosi giornaliere di citrato di potassio prima, e di tartrato di potassio dopo, non produsse alcun effetto positivo sui malati a cui vennero somministrati.
Ma i venti giorni di ascorbato di potassio cambiarono radicalmente non solo la vita di quelle persone (un radicale e sorprendente miglioramento delle condizioni generali), ma soprattutto le conoscenze di base di Pantellini sulla causa dei tumori.

Così nacque la ricerca sull’ascorbato di potassio, ma Pantellini attese ancora la bellezza di ventidue anni prima di scrivere il suo primo lavoro scientifico sull’argomento (Valsé Pantellini, 1970), seguito a distanza di altri quattro anni da un secondo lavoro in occasione del Congresso mondiale sul cancro che si svolse a Firenze nel 1974 (Valsé Pantellini, 1974). Voleva essere sicuro di ciò che aveva visto, voleva dare un’interpretazione plausibile di fatti che aveva riprodotto e riprodotto più volte, secondo la logica del “provando e riprovando” di galileiana memoria.

 

FonteTerraNuova.it

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