Variante inglese già presente a settembre: ora si trova nel 17% dei campioni

Articolo del 22 Dicembre 2020

La B 1.1.7. a inizio ottobre emergeva in meno dell’1% dei campioni e a dicembre nel 17%. Ora è cruciale seguire la diffusione della variante. Cosa emerge dal monitoraggio di ViruSurf, la piattaforma del Politecnico di Milano che segue le mutazioni.

Si chiama B 1.1.7. o VUI 202012/01 la variante sotto indagine del dicembre 2020, e sta preoccupando il mondo intero. Ma perché, rispetto alle molte segnalate negli ultimi mesi, questa allarma al punto da causare l’isolamento della Gran Bretagna? Quanto è giustificato il panico? Per capirlo bisogna ripercorrere le ultime settimane, e ascoltare chi sta lavorando sul tema.

La sorpresa nei test 3 settimane fa

È l’inizio di dicembre quando, nei normali tamponi effettuati in Gran Bretagna, qualcosa non torna. Di solito, infatti, quel tipo di esame (chiamato TaqPath) verifica la presenza di tre geni di Sars-CoV 2. Ma in un numero crescente di tamponi uno dei tre manca all’appello. Le verifiche dei giorni successivi confermano: ci sono numerosi altri test che risultano “monchi”.

Che cosa sta succedendo?In Gran Bretagna, da mesi è attivo uno dei sistemi di sorveglianza genetica più efficienti del mondo, il Covid-19 Genomics UK Consortium o COG-UK, messo in piedi in aprile proprio allo scopo di ospitare il maggior numero possibile di sequenze (contiene già quelle di 140.000 pazienti) inserite quasi in tempo reale, e controllare così l’andamento delle mutazioni che il Sars-CoV 2 esprime allo scopo di prevalere sul sistema immunitario o sulle terapie che ne contrastano la propagazione; finora, ha già individuato oltre 4.000 mutazioni solo per la proteina spike, ed è quindi in prima linea per controllare quelle appena segnalate.

Le alterazioni rispetto al virus di Wuhan

Tutto viene inviato lì e presto emerge una realtà sconcertante: questa è una variante in rapida crescita, e al 13 dicembre è stata individuata in oltre 1.100 persone in 60 diversi centri. Ma, soprattutto, è una variante da controllare con estrema attenzione perché contiene ben 17 punti diversi rispetto al virus originale di Wuhan: una cosa mai vista, finora (di solito ce ne sono 2-3). E, ciò che è anche peggio, le alterazioni riguardano almeno tre zone delicatissime del virus, come riferiscono pochi giorni dopo i genetisti coinvolti sia sul British Medical Journal che su Virological.org.

Infatti alcune delle zone che il virus ha cambiato sono nella spike, ed una di queste si trova esattamente nella zona chiamata RBD (da Receptor Binding Domain) dove essa si lega al substrato dell’ospite, il recettore ACE2. Questa mutazione, che è una sostituzione chiamata N501Y, rende il contatto con ACE2 più facile: per questo si pensa che il virus che la contiene possa essere più contagioso. Un’altra è una delezione (cioè il taglio di una parte) e si chiama 69-70del.

La seconda, che è una delezione (cioè il taglio di una parte), si chiama 60-70del, ed è anch’essa su RBD. C’è poi una terza mutazione osservata speciale, chiamata P681H, che si trova in un altro punto (chiamato sito di clivaggio della furina) ben noto per essere cruciale.

Gli esperti di tutto il mondo al lavoro

In realtà, a oggi, c’è molto dibattito sulle possibili conseguenze di queste anomalie: gli esperti coinvolti stanno cercando di capire se tutto ciò possa o meno mettere a rischio i vaccini e gli anticorpi monoclonali (che potrebbero non riconoscere una proteina diversa da quella contro la quale sono stati progettati), o se possa rendere la malattia più letale.

Tuttavia non ci sono certezze, come emerge chiaramente da uno dei siti dove esprimono le loro opinioni pubblicamente, senza mediazioni giornalistiche: ScienceMediaCentre.

Del resto, concorda sull’incertezza anche Stefano Ceri, docente di Database Systems del Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria del Politecnico di Milano, che ha appena pubblicato, su una del riviste più importanti del settore, Nucleic Acid Research, i risultati ottenuti con ViruSurf, un programma messo a punto dal suo gruppo di ricerca che contiene già le sequenze di oltre 300.000 pazienti con Covid e quelle di oltre 32.000 pazienti con altre patologie quali Ebola, dengue, SARS e MERS, ottenute da tre dei principali database mondiali: GenBank, GISAID e, appunto, COG-UK.

La mutazione segnalata già a settembre

Il programma permette di monitorare in tempo reale la qualità e la distribuzione delle mutazioni che via via emergono nel mondo, e fornisce informazioni anche su B 1.1.7, segnalato fino da settembre.

Spiega Ceri: «Quello che si può affermare con certezza oggi è che la variante B 1.1.7 è molto efficace dal punto di vista del contagio: se a inizio ottobre emergeva in meno dell’1% dei campioni in UK, a novembre era già presente nel 13% di essi, e a inizio dicembre nel 17% – questo emerge dai dati depositati al 15 Dicembre (che non sono perfettamente aggiornati). Preoccupano le 9 mutazioni presenti sulla proteina Spike, una di queste mutazioni è probabilmente responsabile della maggior contagiosità; queste sono presenti in tutti i casi citati. Abbiamo cercato queste 9 mutazioni nel database, trovandone alcune nei virus sequenziati in vari altri paesi, ad esempio un caso in Australia le ha tutte e nove; vari casi in altri paesi Europei ne hanno solo alcune».

Tutto ciò lo si vede molto bene appunto con VirSurf, che è stato ulteriormente implementato, come spiega Anna Bernasconi, che aggiorna i dati in tempo reale e che ha fatto compiere al sistema un ulteriore passo in avanti, con nuove visualizzazioni dei dati su base geografica.

Ora decisivo seguire la diffusione delle varianti

«Ciò di cui si deve tenere conto per capire che cosa implica la variante» spiega «è anche il contesto: popolazioni diverse possono esprimere mutazioni differenti per qualità e quantità. Una variante simile, emersa in Spagna alcune settimane fa, e ritenuta inizialmente molto più letale, poi si è rivelata simile a quella inglese, e cioè solo più contagiosa, per il momento. È quindi cruciale, ora, continuare a inserire le sequenze e seguire la diffusione delle varianti e, parallelamente, incrociare questo dati con quelli clinici per vedere se ci sono effetti sulla malattia».

Uno strumento come VirSurf (frutto di un programma finanziato dallo European Research Council), in questo senso, può essere molto utile, perché consente confronti immediati tra i paesi e andamenti temporali ed evidenzia tutto ciò che è atipico. Per esempio, confrontando i dati dei pazienti italiani prima e dopo le vacanze estive, aveva mostrato subito che c’era stato un netto aumento delle mutazioni, perché gli italiani che erano andati all’estero avevano contratto ceppi diversi.

Sui vaccini presto per trarre conclusioni

«Ora» conclude Ceri «sarebbe molto utile che gli ospedali si dotassero di un servizio di sequenziamento dei virus, perché poi, aiutati da strumenti come il nostro, si potrebbero confrontare le varianti circolanti e verificare se hanno implicazioni cliniche». Anche la variante che ha preso il sopravvento in Europa, la famosa D614G, prosegue Ceri, ha conferito una maggiore contagiosità al virus, ma non sembra aver reso il virus più mortale.

Per quanto riguarda i vaccini, la facilità di Sars-CoV 2 di acquisire mutazioni in risposta alla pressione del sistema immunitario potrebbe portare a uno scenario simile a quello dell’influenza, contro la quale bisogna sviluppare nuovi vaccini ogni anno, ma non è affatto detto. In ogni caso, anche se le mutazioni di B 1.1.7 influenzassero l’efficacia di alcuni di essi, ce ne sono molti, tra quelli in sviluppo, che hanno meccanismi e bersagli diversi, e potrebbero quindi essere indifferenti alle sue mutazioni.

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