Vitamine vegetali: il dietro le quinte

Articolo del 14 Aprile 2021

Sappiamo da molto tempo che le vitamine e i minerali provenienti dal cibo “funzionano” meglio nel nostro organismo ma, dato che  nessuno di noi ha un’alimentazione perfetta, gli integratori, i complementi alimentare sono talvolta necessari.

Per avvicinarsi a questa forma ideale di vitamine assunte grazie al cibo, i consumatori e i produttori più esigenti sono alla ricerca di vitamine più naturali, che mirano a replicare il più possibile questa complessa combinazione.

Anche se il 95% delle vitamine commercializzate oggi sono sintetiche, i laboratori di integratori alimentari dichiarano prontamente che la ricerca di vitamine vegetali è una reale tendenza del mercato, e che “i consumatori sono molto interessati alla naturalità” .

Ma l’espressione “vitamina naturale” può essere fuorviante: il fatto che si veda scritto “naturale” sull’etichetta, non significa che la vitamina in questione sia completamente naturale. In effetti, non ci sono ancora regole chiare e coerenti per definire le vitamine come “naturali”.

“Naturale”, in generale, si riferisce ad un componente che proviene direttamente dalla terra, dal mare o da ciò che ci vive, sia esso vegetale o animale.

Tra le vitamine naturali, se ne distinguono due tipi:

  • la vitamina naturale isolata (estratta da un frutto, un ortaggio, un seme germogliato, un fungo, un prodotto vegetale o animale)
  • e la vitamina naturale completa, cioè la vitamina insieme ai nutrienti naturalmente presenti nella pianta o nell’animale di origine.

NON SIAMO TUTTI UGUALI QUANDO SI TRATTA DI “SINTESI”

Alcune persone hanno caratteristiche genetiche che impediscono loro di assimilare le vitamine nella loro forma sintetica.

Una mutazione nel gene MTHFR (che colpisce quasi un terzo della popolazione europea) impedisce ad esempio la metabolizzazone della vitamina B9 sintetica. Questo significa che la B9 sintetica non funziona e si accumula nell’organismo, con possibili conseguenze dannose per il sistema immunitario. Queste persone dovrebbero optare per una B9 naturale, sotto forma di “metile” (5-MTHF o Quatrafolic sull’etichetta). Per altri, un disturbo da carenza enzimatica rallenta o addirittura impedisce la metabolizzazione della B12 sintetica (cianocobalamina), che dovrebbe quindi essere assunta nella sua forma naturale (metilcobalamina).

Ma attenzione ai cosiddetti prodotti naturali che poi sono, in realtà, sintetici…

Secondo la normativa europea, il termine “vegetale” e/o “naturale” può essere usato solo se la pianta che compone l’integratore contiene “naturalmente” la vitamina in questione.

Una vitamina “vegetale” può essere solo una vitamina naturale isolata o completa.

Ma, alcuni produttori senza scrupoli, giocano con le parole e mettono le parole “vegetale”, “naturale” o “a base di estratti naturali” su prodotti che sono in realtà vitamine sintetiche, alle quali vengono aggiunte “polveri naturali” di frutta o verdura.

Quindi fate attenzione quando guardate le informazioni sulle etichette a non confondere questi integratori con le vere vitamine “100% vegetali” che riconoscerete dalla menzione globale “vitamina di origine naturale”, “vitamina 100% naturale” o “100% origine vegetale”.

Come spiega Ghislaine Gerber, formulatrice di sinergie a base di piante e nutrienti di origine naturale e co-autrice di diverse pubblicazioni scientifiche: “Per sapere se una vitamina è vegetale, affidatevi al vostro buon senso. Verrà specificata una fonte vegetale o naturale (polline, alga X, fungo Y) piuttosto che terminologie come “bio dinamizzato” o “bio identico”, fonti di confusione”.

DECIFRARE LE ETICHETTE PER RICONOSCERE LE VITAMINE VEGETALI

La menzione vitamina senza la formula “100% naturale o di origine vegetale naturale” implica quindi che è sintetica.

Ecco alcuni indizi per aiutarti a capire il prodotto che stai comprando.

  • Il prefisso “dl-” indica un ingrediente sintetico, “d-” indica una forma naturale.
  • Un ingrediente che finisce in “ico”, “ato” o “acido” indica di solito un prodotto sintetico o una vitamina naturale, ma isolata. Per esempio: acido ascorbico per la vitamina C, acetato o palmitato per la vitamina A, dl-alfa tocoferolo acetato o succinato per la vitamina E.
  • La presenza di sali (gluconato, acetato, cloridrato, bitartrato, cloruro, nitrato) indica una vitamina sintetica.
  • Una vitamina che copre una percentuale molto alta di apporto giornaliera (come il 1000%) è molto probabilmente sintetica. Allo stesso modo, quando si tratta di una fonte naturale, la vitamina non supererà mai un certo livello. Per esempio, l’acerola contiene tra il 15 e il 25% di vitamina C. Se ce n’è di più, è perché è stato aggiunto acido ascorbico.

IL DELICATO TEMA DELLA BIODISPONIBILITÀ E DELL’EFFICACIA DELLE VITAMINE VEGETALI

La scelta del naturale è fatta anche in relazione ad un criterio cruciale, quello della biodisponibilità della vitamina, ovvero la quantità di vitamina che raggiunge il flusso sanguigno rispetto alla quantità ingerita.

Infatti, anche le vitamine naturalmente contenute nella frutta e nella verdura, vengono degradate durante l’ingestione e la digestione, prima di apportare benefici al nostro organismo. E lo stesso vale per le vitamine presenti negli integratori alimentari.

La biodisponibilità è quindi una misura dell’efficacia di una vitamina.

Per esempio, la vitamina E naturale (d-alfa-tocoferolo) derivata dalla soia, dai semi di girasole o dal frutto della palma da olio, ha mostrato chiaramente una biodisponibilità del 100% contro il 50% della sua versione sintetica (dl-alfa-tocoferolo) ma, per altre vitamine vegetali, gli studi a volte si contraddicono e la mancanza di uno standard scientifico globale rende difficile avere una visione chiara.

Tuttavia, secondo molti specialisti, la forma vegetale di una vitamina è sempre migliore, perché i nutrienti naturalmente presenti che la accompagnano contribuiscono alla sua assimilazione e quindi alla sua biodisponibilità.

Il ricercatore serbo Goran Nikolic usa un’analogia sorprendente a questo proposito. In uno dei suoi articoli sulle “Idee sbagliate sugli integratori alimentari”, questo professore di ingegneria farmaceutica, specialista nell’assemblaggio di molecole spiega che una vitamina naturale completa formerebbe un “veicolo funzionante”, mentre le vitamine isolate (naturali o sintetiche) sarebbero come “pezzi che si ammucchiano e ci si aspetta che questo ammasso di rottami si guidi come una macchina”.

Ma, da un punto di vista più… ampio, naturale non significa necessariamente migliore.

Su aspetti che riguardano la fabbricazione, l’estrazione del principio attivo (che richiede l’uso di solventi) e la formulazione dell’integratore (con eccipienti, coadiuvanti) ,ci si può interrogare.

Perché questi processi non solo contribuiscono alla qualità della vitamina finale ma, a volte, pongono dilemmi ecologici o sanitari.

Secondo gli esperti, si può considerare che un processo di fabbricazione per pressione o estrazione con acqua o alcool di un succo da frutti naturalmente ricchi di vitamina C come il mirtillo o l’acerola, sia un processo naturale ma, alcuni processi di estrazione per ottenere un estratto organico titolato, sono incoerenti: presentano infatti così tanti passaggi che non si possono davvero chiamare vitamine vegetali o naturali.

E, da un punto di vista ecologico, l’esempio della vitamina C estratta dall’acerola, che proviene dall’altra parte del pianeta (dove certi settori sono stati a lungo poco rispettosi dell’ambiente), solleva ulteriori interrogativi.

Dalla natura alle capsule: quali sono i processi?
Eccone tre.

  • Vitamina D3, estratta dal lichene
    Un ibrido tra alga e fungo, il lichene boreale (Cladina arbuscula) cresce a tappeto nelle regioni settentrionali con poca luce solare. Raccolto in Nord America, Asia o Scandinavia, viene lavato e la D3 viene estratta con processi che utilizzano acqua, alcol o solventi. Un estratto purificato viene mescolato con un olio vegetale per ottenere il prodotto finito.
  • Vitamina B, estratta dalla spirulina
    La spirulina (Arthrospira platensis) è un microrganismo cianobatterico con filamenti verdi che misurano un decimo di millimetro. Dopo la coltivazione, la spirulina viene essiccata e poi congelata. La vitamina viene estratta al buio con acqua calda usando alcool o solvente e ridotta in polvere.
  • Vitamina C, estratta dall’acerola
    Dopo la raccolta, le piccole bacche dell’acerola (Malpighia emarginata), un albero sudamericano, vengono schiacciate, filtrate e poi mescolate con acqua. Il liquido ottenuto viene ridotto in polvere grazie ad una lenta evaporazione e all’aggiunta di zucchero.

NATURALE SÌ, MA NON A TUTTI I COSTI

Va detto poi che i laboratori a volte hanno poco spazio di manovra, dovendo costantemente destreggiarsi tra efficienza e imperativi ecologici e l’impaziente attesa della convalida di processi innovativi.

Per esempio, l’estrazione di vitamine prodotte dalle alghe permetterebbe di evitare di attingere a risorse rare come il lichene boreale, che è una specie in pericolo.

Se “naturale” non fa sistematicamente rima con “etico” o “ecologico”, dal punto di vista della salute la bilancia sembra però pendere a favore delle vitamine vegetali naturali.

Nel complesso più biodisponibili nella loro forma completa, la loro formulazione evita anche la maggior parte dei componenti tossici.

Ma questi nuovi prodotti ci costringono a destreggiarci tra efficienza e conservazione delle risorse naturali.

Speriamo che in futuro si sviluppi un mercato in cui la naturalità non sia priva di etica.

 

FonteNaturelab

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