Carica virale Covid: cosa vuol dire che è alta e perché d’estate era bassa?

Articolo del 23 Ottobre 2020

Sta salendo a livelli molto elevati la carica virale, ossia il numero delle copie di materiale genetico del nuovo coronavirus presenti in un millilitro di materiale biologico prelevato con il tampone, tanto che «nell’ 80% dei casi positivi è ormai superiore a un milione», ha detto il virologo Francesco Broccolo, dell’Università Milano Bicocca e direttore del laboratorio Cerba di Milano.

L’importanza della carica virale per i contagi

Proprio per questo di fronte ai tamponi e alla situazione attuale, varrebbe la pena capire quali hanno il potenziale di contagiare più persone. Solitamente la contagiosità è direttamente proporzionale alla carica virale: più alta è la carica virale misurata in un tampone, più il soggetto può diffondere in modo “efficiente” il virus. «Vale per tutti i virus, più uno produce virus più è contagioso», conferma Paolo Bonanni, epidemiologo e professore ordinario di Igiene all’Università di Firenze. «Non dobbiamo dimenticarci che anche con carica virale bassa, se chi sta di fronte è una persona fragile, è a rischio di ammalarsi gravemente», dice Pierangelo Clerici, presidente dell’ Associazione Microbiologi Clinici Italiani e della Federazione Italiana Società Scientifiche di Laboratorio.

Maggiore carica virale significa malattia più grave?

Carica virale alta è quindi sinonimo di maggiore contagiosità, ma anche di potenziale maggiore gravità della malattia? «Non è detto, non c’è una corrispondenza diretta. Ci sono persone con carica virale elevata che hanno gran tolleranza del virus», spiega Bonanni. «I superdiffusori, infatti, sono i ragazzi o le persone che hanno alta carica virale, ma sono asintomatici. Sicuramente nel paziente fragile la carica virale alta può avere come esito complicanze gravi», aggiunge Clerici.

Perché in estate i tamponi erano «debolmente positivi»?

Come mai in estate abbiamo visto una prevalenza di tamponi debolmente positivi e ora i tamponi hanno prevalenza di carica virale alta? «Difficile da dire – osserva Bonanni – , sicuramente il virus circola di più ed essendoci più infetti è una questione statistica: ce ne sono di più con maggiore carica virale». Non c’è una correlazione con la temperatura, casomai, con la maggiore circolazione del virus in una popolazione. «Non è vero che ci fossero solo le cariche basse, avendo più casi abbiamo anche un maggior numero di persone con casistiche di carica alta. Da aprile a oggi la carica virale si è mantenuta quasi identica, è una questione di numeri e diffusione. Non abbiamo però un riscontro della carica virale media, perché queste analisi non vengono fatte, se non a livello di singoli studi. L’errore è stato introdurre il concetto di “debolmente positivo”, sono persone che probabilmente non hanno nemmeno più il virus in corpo, ma solo tracce di Rna».

Un numero chiave

C’è un modo per misurare la carica virale, cioè la quantità di virus che una persona infetta ospita, ed è noto a chi – in laboratorio – analizza i tamponi. Si tratta del CT, Cycle threshold (“ciclo-soglia”): il tampone misura la positività di una persona con una procedura nota come “reazione a catena della polimerasi (PCR)”, che si basa su più cicli di amplificazione che sono necessari a produrre una quantità rilevabile di RNA virale. Il valore CT è il numero di cicli necessari per individuare il virus (e dichiarare il soggetto positivo): se un segnale positivo non viene visualizzato dopo 37-40 cicli, il test è negativo. Ma i campioni che risultano positivi possono avere CT molto differenti che indicano quantità di virus molto diverse.

Un valore non assoluto

Un test che registra un risultato positivo dopo 12 cicli inizia con 10 milioni di volte di materiale genetico virale in più rispetto a un campione con un valore CT di 35 (è la proporzione inversa). Ma lo stesso campione può fornire diversi valori CT su differenti macchine di laboratorio e tamponi successivi della stessa persona possono dare risultati dissimili. Il valore CT non è una scala assoluta, sostengono alcuni scienziati, ma altri sono convinti dell’utilità di conoscere, oltre al dato sulla positività, anche il dato sulla carica virale e quindi la contagiosità potenziale, almeno per avere un’idea di quali persone siano più a rischio rispetto alla diffusione.

Studi relativi al CT

Gli studi su questo argomento hanno mostrato che, nei primi giorni di infezione, i pazienti hanno valori CT inferiori a 30 e spesso inferiori a 20, cioè con un alto livello di virus (e di contagiosità); man mano che il corpo elimina il coronavirus, i valori CT aumentano gradualmente (diminuisce la carica virale). Studi più recenti hanno dimostrato che una carica virale più elevata può avere un impatto profondo sulla contagiosità di una persona e riflettere anche la gravità della malattia da Covid-19. In uno studio pubblicato di recente su Clinical Infectious Diseases, i ricercatori guidati da Bernard La Scola, un esperto di malattie infettive presso IHU-Méditerranée Infection, hanno esaminato 3.790 campioni positivi con valori CT noti per vedere se contenevano virus vitali. La Scola e i suoi colleghi hanno scoperto che il 70% dei campioni con valori CT di 25 o inferiori avrebbe potuto effettivamente replicarsi, rispetto a meno del 3% dei casi con valori CT superiori a 35.

 

FonteCorriere della Sera