Cos’è il ‘ginocchio del saltatore’?

Articolo del 06 Aprile 2021

La tendinopatia rotulea è tipica in chi gioca a basket e pallavolo. Il sintomo classico è il dolore nella parte anteriore del ginocchio. Utili riposo, riabilitazione e infiltrazioni.
Il ginocchio è un’articolazione complessa e molto sollecitata nel corso delle attività quotidiane e in particolar modo nello sport. A volte a farne le spese possono essere i tendini. Tra le tendinopatie più comuni che coinvolgono quest’articolazione c’è quella del tendine rotuleo, che collega l’apice della rotula alla tibia.

A che cosa è dovuta

«Si tratta di una condizione che deriva da sollecitazioni ripetute nel tempo del tendine in questione, soprattutto nelle attività che comportano salti. Non a caso viene anche soprannominata “ginocchio del saltatore” e viene riscontrata di frequente in chi gioca a basket, pallavolo o pratica altre attività in cui si salta o che richiedono un ripetitivo caricamento del tendine rotuleo come l’atletica — spiega Roberto D’Anchise, responsabile dell’Unità Operativa di Chirurgia del Ginocchio, Istituto Ortopedico Galeazzi Irccs di Milano —. La tendinopatia del rotuleo comporta un’alterazione del tendine con una degenerazione del tessuto che lo compone».

Quali sono i sintomi spia?

«Tipico è il dolore nella parte anteriore del ginocchio, nel punto in cui il tendine si attacca alla rotula, anche se a volte il dolore si può irradiare al resto del tendine. Negli stadi iniziali il dolore si avverte solo durante lo sport, ma se la degenerazione tendinea prosegue nel tempo può essere avvertito sia durante l’attività sia a riposo. È stato ipotizzato che alcuni fattori possano favorire la tendinopatia rotulea, per esempio una rotula più alta, una ridotta flessibilità dei muscoli posteriori della coscia o una precedente lesione al ginocchio. Tuttavia non esiste ancora una dimostrazione certa».

Come si diagnostica?

«Un’attenta valutazione dei sintomi e l’esame obiettivo con la palpazione dell’area e l’esecuzione di alcune manovre possono dare informazioni molto suggestive. Per la conferma si ricorre in genere all’ecografia e talvolta alla risonanza magnetica, in grado di fornire informazioni più dettagliate e utile per la diagnosi differenziale con altre condizioni che possono dare sintomi simili. Si raccomanda di eseguire sempre anche la radiografia del ginocchio per escludere altre problematiche scheletriche».

Quali i trattamenti disponibili?

«L’approccio è quasi sempre conservativo. Occorre un programma riabilitativo mirato per potenziare la capacità di carico del tendine rotuleo e migliorare la flessibilità muscolare. Sono raccomandati esercizi di rinforzo muscolare di tipo eccentrico, che comportano una contrazione durante l’allungamento, e di stretching. Se non si ottengono i risultati sperati, si può ricorrere ad altri trattamenti tra cui il dry needling, che consiste nell’inserire nel tendine aghi filiformi con lo scopo di aumentarne la vascolarizzazione e quindi migliorare la vitalità del tendine. Possono inoltre essere proposte infiltrazioni con Prp, (plasma ricco di piastrine) o cellule mesenchimali, sempre con l’obiettivo di “rivitalizzare” il tendine. Occorre invece cautela con le infiltrazioni di cortisonici, in quando possono dare qualche beneficio nel breve termine per ridurre il dolore, ma a lungo andare potrebbero essere dannosi, favorendo la rottura del tendine.».

Quando si può ricorrere alla chirurgia?

Nei casi che non rispondono alle terapie conservative, si può considerare la chirurgia in artroscopia o a cielo aperto. Si esegue la «scarificazione» che serve a «ripulire» la zona di sofferenza tendinea, asportando le strutture danneggiate e facilitando la guarigione. In alcuni casi si asporta anche l’apice della rotula e si possono fare piccoli fori per creare un apporto di sangue che può dare benefici.

Esistono casi particolari?

La sindrome di Osgood-Schlatter, o apofisite anteriore, è una condizione tipica dei giovani in fase di sviluppo. «I maschi sono i più colpiti, soprattutto tra i 12 e i 15 anni. Essa causa un’infiammazione della tuberosità tibiale (zona di accrescimento), ovvero il punto in cui il tendine rotuleo si inserisce sulla tibia, e si presume che sia legata a un eccessivo sovraccarico muscolo-tendineo. Diversamente dalla tendinopatia rotulea che è una patologia degenerativa, la sindrome di Osgood-Schlatter è auto-limitante, nel senso che, nell’arco di uno o due anni, si risolve in modo spontaneo nella maggior parte dei casi», spiega D’Anchise. Non richiede dunque alcun trattamento specifico, ma è utile un riposo relativo, per esempio limitando la frequenza degli allenamenti.

 

FonteCorriere della Sera

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