COVID-19: La grande corsa alla cura con gli anticorpi. Le aziende in campo.

Articolo del 07 Ottobre 2020

Saranno molte le lezioni che impareremo dalla battaglia personale del presidente Trump contro il Covid-19. Ma la cosa più importante sembra essere che, a oggi, non ci sono proiettili magici contro il nuovo coronavirus. Dopo essere risultato positivo, il presidente americano è stato trattato con il remdesivir di Gilead, un cocktail di anticorpi sperimentali di Regeneron e lo steroide desametasone.

Un piano terapeutico che lo rende, di fatto, una sorta di “N-di-1” (studio clinico in cui un singolo paziente è l’intero studio) e che alimenta il dubbio che la malattia di Trump sia più grave di quanto venga riferito dai suoi medici. Il desametasone, infatti, di solito viene riservato ai casi gravi. E dato che ha 74 anni ed è sovrappeso, Trump rientra tra i pazienti più a rischio. Nessuno però sa che tipo di impatto può avere l’uso contemporaneo di questo mix di farmaci tanto meno sulla loro efficacia. E se remdesivir e desametasone sono due farmaci ormai entrati nel protocollo anti-Covid, il cocktail anticorpale è in fase sperimentale e non ancora approvato.

La stato della sperimentazione

Ma c’è un’altra sostanziale differenza. I primi due sono orientati alla cura dei sintomi, mentre gli anticorpi neutralizzanti sono progettati per imitare una potente risposta immunitaria così da scongiurare che Covid-19 peggiori. A seguire questa pista sono una trentina di aziende nel mondo, ma si contano sulle dita di una mano quelle arrivate in clinica. Oltre a Regeneron e AstraZeneca – che stanno sperimentando una combinazione di due anticorpi al fine di scongiurare il rischio di una forma mutante e resistente ai farmaci del virus – ci sono anche Amgen, GlaxoSmithKline ed Eli Lilly che invece stanno lavorando a trattamenti con un singolo anticorpo.

Ma c’è anche la cordata italiana senese: la Fondazione Toscana Life Sciences con il laboratorio di Rino Rappuoli e un network di aziende che comprende Achilles Vaccines, Menarini e Ibi Lorenzini. Partiti da oltre 4mila candidati, a giugno hanno identificato tre anticorpi iperpotenti, già brevettati. «Gli anticorpi monoclonali hanno un profilo di sicurezza molto elevato – dice il ceo di Achilles Vaccines, Riccardo Baccheschi – come dimostrano i recenti e incoraggianti studi di sicurezza di Lilly e di Regeneron. Noi affronteremo la fase 1 a dicembre e pensiamo di entrare in fase 2-3 subito dopo così da avere, se tutto procede per il meglio, il prodotto registrato in primavera».

Una somministrazione fuori dagli ospedali

Non solo. «Stiamo cercando di sviluppare un anticorpo monoclonale che possa essere somministrato anche fuori dal regime ospedaliero – continua Baccheschi – Perché il limite di quelli di prima generazione è che sono solo per uso ospedaliero. Mentre noi vogliamo arrivare ad avere un prodotto disponibile su vasta scala, gestibile da un medico non ospedaliero, con metodi di somministrazione intramuscolare anzichè endovenosa. Al momento siamo gli unici al mondo a sviluppare questo tipo di formulazione e contiamo di mantenere questo vantaggio competitivo fino alla fine». Ma se si decide di produrre un solo anticorpo, come ci si mette al riparo da eventuali mutazioni del virus?

«Per quanto ci riguarda la scelta di un unico anticorpo non è ancora stata fatta – precisa Claudia Sala, ricercatrice di Toscana Life Sciences – In laboratorio abbiamo verificato la potenza degli anticorpi selezionati su due diverse varianti del virus: quella di Whuan e il ceppo virale che si è diffuso di più in Europa e in Italia. I nostri tre anticorpi funzionano in vitro su entrambe le varianti, dimostrando una potente capacità di inattivare il virus». Inquadrando questo discorso in un contesto più ampio, bisognerebbe anche considerare la frequenza con cui il virus muta. «Per il momento sembra che Sars-CoV-2 non muti così frequentemente – prosegue Sala -. Siamo fiduciosi che le varianti che si sono diffuse e che noi abbiamo valutato siano coperte dagli anticorpi scelti. In laboratorio stiamo comunque studiando le eventuali mutazioni che potrebbero intervenire nel virus in un secondo momento, in modo da dare future risposte».

Fonte: 24+ de Il Sole24Ore