COVID-19: Lotta al coronavirus nei laboratori di tutto il mondo, in prima fila i ricercatori italiani.

Articolo del 21 Luglio 2020

Per sconfiggere un nemico subdolo e resistente spesso la strada migliore è trovare i suoi punti deboli e attaccarlo ai fia​nchi, piuttosto che cercare di contrastarlo frontalmente. È proprio quello che stanno cercando di fare un gruppo di ricercatori italiani che sono riusciti nell’intento di dimostrare che i nostri processi cellulari sono in grado di “hackerare” il codice genetico del Sars-CoV-2, mediante un processo noto come “editing” dell’RNA, con l’obiettivo di attivare una risposta immunitaria delle cellule contro l’ospite indesiderato.​

​Lo studio condotto dal gruppo coordinato da Silvo Conticello, dell’Istituto di fisiologia clinica del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Pisa (CNR-IFC) e dell’Istituto per lo Studio, la Prevenzione e la Rete Oncologica (ISPRO), in collaborazione con Giorgio Mattiuz dell’Università di Firenze, è stato pubblicato sulla rivista scientifica Science Advances. Come spiega lo stesso ricercatore «l’hackeraggio del codice genetico avviene attraverso un processo chiamato editing dell’RNA. Il nostro team di lavoro è riuscito a sfruttare la tecnica usata per ottenere la sequenza dei genomi virali per identificare mutazioni a bassa frequenza, introdotte dalle nostre cellule con lo scopo di attuare un meccanismo di difesa. Purtroppo questo meccanismo immunitario non sempre porta al risultato sperato, anzi queste mutazioni possono fornire ‘benzina’ per l’adattamento del virus». Al di là del valore riconosciuto dalla comunità scientifica che ha deciso di pubblicare lo studio made in Italy, avviato alla fine di gennaio scorso, poche settimane dopo lo scoppio dell’epidemia di coronavirus, in molti si chiedono quali ricadute concrete possa avere questa scoperta, soprattutto in attesa che si scopra un vaccino.

«Anche se il solo editing dell’RNA non è in grado di contrastare l’infezione – spiega Conticello – averlo individuato mette in evidenza uno dei talloni d’Achille del virus. E lo sviluppo di strumenti in grado di migliorare l’efficienza di quel processo potrebbe gettare le basi per terapie precoci, con un approccio valido non solo contro il Sars-CoV-2, ma anche contro altri tipi di virus. Inoltre, nel breve termine, l’analisi delle mutazioni inserite dagli ADAR e dagli APOBEC, il gruppo di enzimi responsabili dell’editing dell’RNA, può aiutarci a individuare regioni del genoma virale importanti per il suo ciclo vitale. Grazie a quest’informazione potrebbe essere possibile sviluppare delle terapie mirate per frenare la replicazione del virus all’interno della cellula, rallentando o bloccando l’infezione».

Mentre alcuni scienziati sono alla ricerca di armi per arricchire l’arsenale contro il Covid-19 ce ne sono altri all’opera per mitigare gli effetti del virus su chi si è ammalato. Un team di ricercatori del Dipartimento di Scienze del Farmaco dell’Università di Pavia ha messo a punto una sofisticata tecnica, pubblicata sulla rivista Cells, per ottenere un secretoma in polvere, liofilizzato, e non liquido, per trattare le polmoniti da coronavirus. Questa sorta di cocktail si è già dimostrato efficace nei test di laboratorio. Adesso la tecnica sviluppata in Italia, come riportato dall’Ansa, consente di liofilizzare le sostanze e confezionarle in fiale  proprio come avviene con qualsiasi farmaco. Secondo i ricercatori ci sarebbero anche evidenti vantaggi in termini di costi: una buona notizia in particolare per i Paesi in via di Sviluppo che hanno tradizionalmente problemi di approvvigionamento. Il secretoma, secondo le analisi condotte dagli scienziati, può avere un effetto terapeutico e una funzione rigenerativa sull’apparato respiratorio colpito da Covid.

Sempre nella città lombarda, al Policlinico San Matteo, gli sforzi sono concentrati sulla terapia anti-Covid basata sul plasma iperimmune. La tecnica messa a punto per affrontare l’emergenza dei durante i momenti più difficili della pandemia con lo scopo di alleggerire la pressione sulle terapie intensive letteralmente intasate dall’afflusso di malati, ha dato buoni risultati tanto che il nosocomio universitario riceve richieste anche da altre regioni di sacche di plasma. E adesso la sperimentazione, avviata il 18 marzo e conclusa l’8 maggio, si allarga a Mantova con il coinvolgimento dei malati delle Rsa (120 fino a questo momento) selezionati fra gli ospiti delle strutture cittadine positivi al virus con polmoniti che presentano un quadro di insufficienza respiratoria non gravissima. L’uso di plasma come profilassi di malattia è conosciuto da più di cinquant’anni e ha trovato largo impiego anche nell’ultima epidemia provocata dal virus Ebola in Liberia che fra il 2013 e il 2016 ha provocato più di undicimila morti nel Paese dell’Africa occidentale.

 

Fonte: Changes. Il magazine del Gruppo Unipol