Covid, quando potremo tornare alla vita normale e iniziare a fare progetti?

Articolo del 31 Dicembre 2020

Quando torneremo allo stadio? Potremo ancora abbracciarci? Ma soprattutto: quando? Abbiamo posto ad esperti virologi, infettivologi, immunologi ed epidemiologi alcune domande sul nostro futuro: ecco le risposte.

Il 27 dicembre si è celebrato il V-day: in tutta Europa sono partite le prime vaccinazioni (simboliche) contro Sars-Cov-2 partendo dagli operatori sanitari. Vero è che la maggior parte degli italiani non riceverà il vaccino prima della metà del’anno prossimo anche perché per ora è disponibile solo il vaccino Pfizer (approvato dall’Ema) e siamo in attesa di quello di Moderna. Astazeneca Johnson&Johnson e Sanofi sono in ritardo sulla tabella di marcia per questo è difficile fare previsioni accurate. Tuttavia la voglia di normalità è tanta. Ecco le previsioni degli esperti per i prossimi mesi.

Quando torneremo ad abbracciarci e a stringerci la mano?
Quando avremo raggiunto l’immunità di gregge, cioè quando saremo certi che non c’è più la possibilità di una ripartenza epidemica. Magari non succederà che il coronavirus esca dalla circolazione ma se tutti saremo ragionevolmente immunizzati e avremo una immunità che dura nel tempo abbastanza a lungo potremo pensare di tornare alle nostre abitudini, compreso salutare stringendo la mano e abbracciare le persone più care. Quando? Bisognerebbe avere la sfera di cristallo, è difficile da dire ma speriamo entro il 2022. Distanziamento, lavaggio delle mani e mascherine credo siano misure che dovremo adottare ancora per tutto l’anno prossimo per evitare che ripartano ondate epidemiche: non possiamo permettercelo. (Paolo Bonanni, epidemiologo, professore di Igiene e Medicina Preventiva all’Università di Firenze).

Che cosa consiglia a chi vuole trascorrere Capodanno insieme?
Non bisogna abbassare la guardia. È bene mantenere un metro e mezzo di distanza a cena, indossando le mascherine chirurgiche quando non si sta mangiando. Va limitato a 4/6 il numero di persone con cui si festeggia. Le stanze vanno areate ogni ora (piuttosto meglio indossare il cappotto per il tempo del ricambio d’aria) e attenzione a tutte quelle situazioni di rischio che si tende a non valutare come lo scambio di cellulari per scambiarsi gli auguri con le persone assenti o scambiarsi i piatti di portata. (Fabrizio Pregliasco, virologo, direttore sanitario dell’ospedale Galeazzi di Milano)

Quando potremo tornare in ufficio a fare due chiacchiere coi colleghi senza l’ansia da mascherina e distanziamento?
È molto probabile che convivremo con questo virus ancora per 1-2 anni, fino al raggiungimento dell’immunità di gruppo cioè di una copertura vaccinale del 70-80%.In questo periodo, fino a quando non saremo vaccinati, non dovremo cambiare gli attuali comportamenti di protezione perché il virus circolerà tanto con varianti che hanno una forza diffusiva maggiore e potremmo quindi infettarci e sviluppare la malattia. Ricordiamo che i vaccini prevengono la malattia, ma non la curano, quindi, in assenza di terapie efficaci per il Covid-19, è ancora molto importante continuare ad adottare tutte le misure (mascherine, lavaggio mani, distanziamento) per ridurre il rischio di infezione. Quindi passerà almeno ancora un anno prima di poter rientrare con serenità al posto di lavoro e riprendere con leggerezza anche quei riti di socialità a noi cari come la pausa caffè alla macchinetta o al bar. (Sergio Abrignani, immunologo, ordinario di Patologia generale all’Università statale di Milano e direttore dell’Istituto nazionale di genetica molecolare “Romeo ed Enrica Invernizzi”).

Quando potremo toglierci le mascherine?
Non presto sicuramente, bisognerà attendere che la campagna vaccinale sia completata con una percentuale di popolazione aderente al 75% come minimo. Solo in questo caso, e dopo qualche mese , appurata che l’immunità indotta dalla vaccinazione e quella di popolazione (gregge) siano efficaci si potrà pensare a rinunciare alla mascherina anche se ad oggi, con il distanziamento ed il lavaggio delle mani , resta il miglior mezzo di prevenzione. (Pierangelo Clerici, presidente dell’ Associazione Microbiologi Clinici Italiani e della Federazione Italiana Società Scientifiche di Laboratorio)

Come ha vissuto il primo lockdown?
Da un punto di vista personale ho avuto la conferma di quanto io sia fortunata ad avere accanto a me una famiglia in cui c’è amore, armonia e sintonia. Il periodo del lockdown è stato vissuto da noi con serenità, come un’occasione per conoscerci meglio, parlare, cucinare insieme, guardare un film o ascoltare musica. Nonostante il dolore per quello che stava accadendo intorno a noi, non posso nascondere che abbiamo vissuto dei giorni di profonda unione e serenità. Non è una cosa a cui non davo valore, anzi, ma certamente mi ha sorpreso quanto per me, a differenza di molte altre persone, non sia stato un sacrificio rinunciare alla vita sociale. (Antonella Viola, immunologa, membro dell’organizzazione dei biologi molecolari europei, docente di Patologia all’Università di Padova).

Quando i nostri figli potranno tornare a fare sport al coperto?
Le attività sportive, ed in particolare quelle di “contatto” in ambiente confinato sono state vietate in ragione dell’alto rischio di trasmissione del virus che gli ambienti chiusi inducono. L’attività sportiva aumenta la frequenza cardiaca e respiratoria con aumento del rischio di diffusione del “droplet” a distanza superiore al metro, il limite minimo definito da una convenzione scientifica internazionalmente riconosciuta, di distanziamento per evitare il contagio. Immagino che le attività sportive al coperto saranno autorizzate quando la curva dei contagi darà evidenza di essere stabilmente sotto la soglia di osservazione e tracciamento dei contatti. Si considera quella soglia a 50 casi per 100 mila abitanti, oggi abbiamo circa 160 casi per 100 mila, siamo quindi più di tre volte oltre la possibilità di controllo della diffusione del virus. La campagna vaccinale, se sarà svolta senza particolari complicazioni, faciliterà certamente l’avvicinarsi di questo momento. (Agostino Miozzo, coordinatore del Comitato tecnico scientifico- Cts).

Quando potremo andare a trovare parenti e amici ricoverati in ospedale?
Verosimilmente potremo andare quando saremo tutti vaccinati o comunque lo potrà fare chi avrà un certificato che attesti l’avvenuta vaccinazione o l’aver già sostenuto la malattia. Il contenimento dell’infezione potrà comunque dare qualche maggior margine di libertà anche prima di aver ultimato le vaccinazioni di massa. Rimango dell’idea dell’assoluta prudenza perché gli ospedali sono l’ultimo posto in cui possiamo rischiare di far entrare il virus. La possibilità di eseguire il test rapido con alta sensibilità prima di entrare in ospedale a trovare un parente è una possibilità da tenere in conto, ma non è di facile applicazione in modo massivo, anche per mancanza di personale. Ritengo comunque che le visite in ospedale non siano in questo momento la priorità, nonostante sia perfettamente consapevole che è di grande importanza il fatto che un paziente possa vedere i propri familiari. (Massimo Galli, primario di Malattie infettive all’ospedale Sacco di Milano).

Quando sarà possibile viaggiare di nuovo?
Riprenderemo gradualmente a viaggiare in base all’andamento della pandemia nei vari Paesi, cioè quando le situazioni epidemiologiche saranno simili e sotto controllo. Motivo per cui il coordinamento sovranazionale è così importante: in questo senso, quello che sta avvenendo con le vaccinazioni, cioè la condivisione delle misure e dei tempi tra i vari Paesi Europei, è molto importante. (Luca Richeldi, pneumologo, primario del Policlinico Gemelli e componente del Comitato tecnico scientifico).

Ci sono abitudini che manterrà anche dopo la pandemia?
Sicuramente continuerò a lavarmi più spesso le mani. Non penso che tornerò, a breve, a salutare con una stretta di mano o con un abbraccio. Lavorerò molto di più con incontri virtuali via computer. Viaggerò molto meno per lavoro perché molti congressi e riunioni continueranno ad essere virtuali. Sarò sempre più orgoglioso di far parte del piccolo mondo della ricerca scientifica, che con i vaccini sta salvando da una catastrofe pandemica il grande mondo di tutti. (Sergio Abrignani, immunologo, ordinario di Patologia generale all’Università statale di Milano e direttore dell’Istituto nazionale di genetica molecolare “Romeo ed Enrica Invernizzi”).

Quando sarà possibile vedere una partita allo stadio?
Se tornassimo alle condizioni in cui eravamo a giugno/luglio, con Rt ampiamente sotto 1 non vedrei problemi nel far partecipare un migliaio di persone a una partita in uno stadio vuoto. Il problema da gestire è piuttosto l’assembramento che si crea in ingresso e in uscita. È lì che bisognerebbe intervenire per pensare di diluire la presenza delle persone nel tempo, magari con una prenotazione sugli orari di ingresso e di uscita, con accessi scaglionati. Mille persone all’aperto in una struttura che magari può ospitare 30 mila spettatori non rappresentano un problema per il contagio. (Paolo Bonanni, epidemiologo, professore di Igiene e Medicina Preventiva all’Università di Firenze).

C’è qualcosa che è cambiato per sempre nella sua vita quotidiana?
Non ho visto grandi mutamenti nel trascorrere delle ore della mia giornata. Sin da gennaio la mia vita è stata caratterizzata da una intensa attività di lavoro, analoga a quella che ho sempre fatto durante le grandi emergenze che ho vissuto nel corso della mia vita professionale. La carestia dell’Etiopia nel 1984, la guerra nella ex Jugoslavia o in Somalia, lo tsunami del 2004, il terremoto dell’Aquila, la guerra in Siria sono stati eventi che mi hanno visto coinvolto sul terreno della crisi per molti mesi. Covid 19 ha avuto la caratteristica speciale di essere una emergenza planetaria vissuta nel mio paese che ha interessato senza distinzioni l’intera popolazione, e dove ho contribuito a mettere in atto operazioni, il lockdown ad esempio, mai viste prima; una crisi originata da un virus che ha avuto e avrà un impatto devastante sulla nostra comunità e su tutte le categorie del lavoro. Covid ha però confermato una percezione che avevo avuto in altre occasioni della mia vita e che in questo caso mi ha interessato direttamente: qui non ero più spettatore esterno di uno scenario di crisi, ma protagonista io stesso di quella fotografia. Covid ha reso evidente la fragilità della nostra esistenza sulla terra, sconvolgendo le nostre vite nell’arco di poche settimane; ha evidenziato la scarsa preparazione che abbiamo ad affrontare situazioni, in fondo, ampiamente prevedibili e certamente ben rappresentate da molti registi cinematografici in film di fantascienza che avevano ben descritto quello che abbiamo attraversato. Se qualcosa è cambiato nella mia vita è certamente la limitazione nelle relazioni sociali, anche se sono fiducioso nel fatto che questo non sarà “per sempre”; torneremo presto a stringerci la mano, abbracciarci e brindare al futuro come è nelle nostre più belle tradizioni. (Agostino Miozzo, coordinatore del Comitato tecnico scientifico -Cts).

Torneremo ad assistere ad un concerto?
Tutto dipenderà dalla velocità con cui si realizzerà la campagna vaccinale e verrà raggiunta l’immunità di gregge (almeno 70% per questo virus). Ritengo che ci voglia ancora tutto il 2021 per ripensare a concerti negli stadi come quelli del passato con fan uno attaccato all’altro in tribuna e sul parterre. Ritengo invece che i concerti di musica classica potranno essere pianificati prima così come altre occasioni che permettano il distanziamento fisico. (Fabrizio Pregliasco, virologo, direttore sanitario dell’ospedale Galeazzi di Milano).

Che cosa ha imparato dalla vita sotto pandemia?
La pandemia ha avuto un grandissimo impatto sulla mia vita. Da subito, per me è stato necessario mettere le mie competenze professionali al servizio della comunità. Nel giro di poche settimane abbiamo trasformato il laboratorio di immunologia in un laboratorio Covid-19, avviato progetti di ricerca, organizzato la sicurezza all’interno dell’Istituto che dirigo per fare in modo che le attività di diagnostica e ricerca potessero continuare. In più, è iniziato questo interesse dei media nei miei confronti ed ho capito che ero chiamata a svolgere un ruolo nuovo ma molto importante: quello della narrazione scientifica della pandemia. Questo ha stravolto le mie giornate perché parlare ogni giorno a milioni di persone, che stanno soffrendo per molte ragioni, non è banale ed io non ho mai sottovalutato il peso di una sola delle mie parole. Ho dovuto studiare moltissimo, non solo per tenermi aggiornata da un punto di vista scientifico sulle scoperte che man mano venivano fatte sul SARS-CoV-2, ma anche per seguire i decreti, i dpcm, l’andamento della pandemia negli altri paesi. Mi sono resa conto che non mi veniva solo chiesto di parlare del virus, della malattia o dei vaccini – cosa per me piuttosto semplice per le mie competenze scientifiche – ma che sempre di più mi si portava in campi nuovi, dall’epidemiologia, alla sicurezza negli ambienti di lavoro, fino alla politica. Ho imparato che sono capace di faticare duramente, di sopportare orari di lavoro pesanti, di trovare la forza di non arrendermi. Ho imparato che mettersi in gioco significa anche essere criticati e che bisogna accettarlo, imparando dalle critiche costruttive e ignorando quelle strumentali. E che si fa meno danno alla scienza dicendo “non lo sappiamo” che mostrandosi saccenti e arroganti. (Antonella Viola, immunologa, membro dell’organizzazione dei biologi molecolari europei, docente di Patologia all’Università di Padova).

Potremo andare a trovare i nonni quando saranno vaccinati?
Certamente, ma non subito poiché la risposta immunitaria indotta dalla vaccinazione e la memoria immunologica si instaurano dopo qualche settimana dall’inoculo della seconda dose. Quando avremo certezza che i nonni sono immunizzati potremo incontrarli con tranquillità. Cosa buona e giusta è che anche figli e nipoti siano vaccinati questo per aumentare la possibilità di non trasmissione del virus. (Pierangelo Clerici, presidente dell’Associazione Microbiologi Clinici Italiani e della Federazione Italiana Società Scientifiche di Laboratorio).

Chi si vaccinerà per primo avrà maggiori libertà?
La stragrande maggioranza (95%) di chi si vaccinerà, dopo 30-40 giorni dalla prima dose sarà protetto dalla malattia e probabilmente, con la maggior parte dei vaccini, anche dall’infezione, anche se di quest’ultimo punto avremo certezza fra pochi mesi. Quindi, chi si vaccinerà sarà protetto e dovrebbe poter viaggiare più liberamente e sottostare a meno limitazioni. Sarebbe però consigliabile che anche i vaccinati, per tutta la durata della pandemia, utilizzassero la mascherina nei luoghi affollati; questo per evitare che il 5% dei vaccinati che non saranno protetti (e non sapremo fra le decine di milioni di vaccinati chi sono questi) adottino comportamenti che, quando dovessero infettarsi, li trasformino, in ambienti affollati, in super-diffusori. Fra pochi mesi si sarà vaccinata la maggior parte degli anziani, cioè la parte della popolazione più suscettibile alle forme gravi di Covid-19 e quindi dovremmo osservare in poco tempo un calo notevole delle morti. A quel punto inizieremo a gestire una pandemia in cui molti ancora si infetteranno ma pochi (rispetto ora) moriranno. Questo però non vorrà dire liberi tutti, perché se non fermeremo la circolazione del virus con i nostri comportamenti, rischiamo che si selezioni, magari in un no-vax che viene infettato, una nuova variante del virus che potrebbe sfuggire ai vaccini disponibili.(Sergio Abrignani, immunologo, ordinario di Patologia generale all’Università statale di Milano e direttore dell’Istituto nazionale di genetica molecolare “Romeo ed Enrica Invernizzi”).

Quando torneremo a mangiare al ristorante senza ansia?
Lo potremo fare quando avremo una gran parte della popolazione vulnerabile protetta dal vaccino e la circolazione del coronavirus tenderà a diminuire come conseguenza dell’aumento delle persone immuni. Ricordiamo però che già oggi, rispettando le regole in vigore, è possibile frequentare i luoghi di ristorazione, senza ansia, ma con grande cautela. (Luca Richeldi, pneumologo, primario del Policlinico Gemelli e componente del Comitato tecnico scientifico).

Che cosa non tornerà come prima?
Per prima cosa spero che non torni come prima un sistema sanitario che ha mostrato tutti i suoi limiti e mi auguro che si voglia ribaltare la situazione e migliorare la nostra sanità in maniera decisiva, tenendo conto dell’importanza della medicina territoriale e della sanità pubblica. Alla fine dell’epidemia torneremo a vederci e a stare insieme, l’uomo è un animale sociale, ma credo che dopo un’esperienza del genere manterremo vive le norme di igiene ambientale e personali e l’attenzione all’areazione. Forse non sarà così inconsueto vedere gente con la mascherina nel periodo dell’influenza, come succede in Oriente. (Massimo Galli, primario di Malattie infettive all’ospedale Sacco di Milano).

 

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