Da dove viene la pasta che mangiamo?

Articolo del 15 Febbraio 2021

La pasta è uno dei simboli della cucina italiana. Amata nel mondo, osteggiata, a torto, in alcune diete, ci vede (magari senza sorpresa) sul podio per il consumo pro-capit. Nel 2019 ciascuno di noi ne ha mangiata in media oltre 23 kg e un quarto della produzione mondiale è italiano. Ma come si distingue una pasta davvero e totalmente italiana?

Se a livello legislativo le tutele ci sono,-con il Regolamento Europeo 2018/775, che stabilisce l’obbligo di indicare in etichetta il paese d’origine dell’ingrediente primario di un prodotto, e il Decreto Ministeriale italiano del 26 luglio 2017, che prevede ulteriore trasparenza nell’indicare l’origine di pasta, riso e derivati del pomodoro – dal lato pratico l’attenzione è rivolta ai metodi per autenticare l’origine del frumento utilizzato al fine di garantire il rispetto delle normative vigenti. E anche in questo caso la ricetta sembra essere tutta italiana.

Il team guidato da Annalisa de Girolamo, dell’Istituto di Scienze delle Produzioni Alimentari del Consiglio Nazionale delle Ricerche, ha presentato infatti uno studio, pubblicato su Foods, che prevede di applicare la tecnica della spettroscopia infrarossa a trasformata di Fourier (FT-NIR) per valutare l’autenticità della pasta prodotta con il 100% di grano duro italiano.

I ricercatori hanno analizzato 361 campioni di pasta di diverse marche commerciali, alcuni dei quali prodotti (secondo quanto riportato in etichetta) con grano solo italiano mentre altri erano composti da miscele di grano duro, coltivato quindi sia in Italia sia all’estero. L’obiettivo era autenticare la pasta di grano duro 100% italiano: questa tecnica è risultata estremamente efficace, con una percentuale di accuratezza nel distinguere l’origine del grano utilizzato del 94%.

Abbiamo chiesto ad Annalisa De Girolamo perché la spettroscopia infrarossa a trasformata di Fourier potrebbe rappresentare una svolta in questo campo.

“La differenza tra i vari grani è data dalla quantità soprattutto di proteine e, in secondo luogo, di carboidrati e lipidi. A permettere oggi a molti pastifici di usare solo il grano italiano è la disponibilità di nuove varietà di grano selezionate, coltivate nel Sud Italia, con percentuali di proteine, e in particolare di glutine, in linea con i requisiti imposti dalla legge per produrre la pasta. La nostra però è una tecnica indiretta, che non misura i singoli componenti ma permette di creare un’impronta digitale del campione o di una classe di campioni simili – quali appunto la pasta 100% italiana – e distinguerlo così rispetto ad altre classi, come la pasta ottenuta con miscele di grani”.

Qual è il principale vantaggio di questa tecnica?

“Sicuramente la rapidità di analisi, perché i risultati sono pronti in meno di un minuto. Non richiede personale specializzato e, non usando solventi organici, è una tecnica a basso impatto ambientale. Inoltre, è affidabile e il campione viene solo macinato, per cui può essere usato per altri scopi. Solo i campioni sospetti, infatti, sono sottoposti ad analisi di conferma con metodi tradizionali. Inoltre, è una tecnica potenzialmente molto versatile: noi l’abbiamo testata anche su grano e lenticchie e ora ci stiamo orientando verso i cosiddetti grani antichi, quindi cereali che non siano solamente il grano duro, come il farro”.

La tecnica potrebbe spingere i produttori a indicare in etichetta con maggior precisione la percentuale di grano italiano nella pasta prodotta con miscele di grani diversi?

“Al momento la legge non impone di indicare le quantità esatte, nonostante il nostro decreto sia più specifico in tal senso rispetto alla legislazione europea. Il nostro studio, privilegiando misurazioni di tipo qualitativo, ha però diviso i campioni solo tra grano 100% italiano e miscele di grani duri. Se applicassimo la tecnologia con un approccio quantitativo, è tuttavia certamente possibile andare anche in questa direzione. In questo momento, è importante sensibilizzare il consumatore al fatto che ‘Made in Italy’ non significa che il grano duro è 100% italiano, ma che il ciclo di produzione lo è. Pertanto, bisogna proporre alle aziende tecnologie rapide, di facile impiego e poco costose per autenticare l’origine delle materie prime, come la spettroscopia infrarossa che usa strumenti ormai presenti in molti pastifici e in aziende del settore impegnate nella tutela dei prodotti italiani. Il prossimo obiettivo sarà rendere tale tecnologia utilizzabile sul campo, vale a dire portatile”.

 

FonteGalileo

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