Da Fukushima all’idrogeno

Articolo del 16 Marzo 2021

In marzo ricorre il decimo anniversario del disastro nucleare di Fukushima e, a distanza di 10 anni, la situazione non è ancora sotto controllo. La rimozione delle barre di combustibile nucleare dai reattori è ancora in corso, mentre si accumulano enormi volumi di acqua contaminata da trizio, che saranno probabilmente sversati in mare.

10 anni fa era in corso il dibattito sul ritorno al nucleare in Italia: governo e alcune aziende energetiche puntavano con decisione all’obiettivo. Alcuni scienziati e ambientalisti intrapresero una battaglia impari per opporsi a un progetto insensato. Il tragico evento giapponese venne loro improvvisamente in aiuto e la fine della storia è nota.

La soluzione idrogeno

Oggi sembra di tornare a quei giorni. È spuntata una nuova soluzione energetica miracolosa: l’idrogeno. È l’elemento più abbondante dell’Universo, ce n’è tanto anche qui sulla Terra. Purtroppo è molto socievole e ha grande propensione a combinarsi con altri elementi; ad esempio con ossigeno o carbonio forma acqua (H2O) o idrocarburi (es. metano, CH4). Ma l’idrogeno ha interesse energetico solo quando è… da solo, cioè nella sua forma molecolare (H2), che è versatile e ha un elevato contenuto di energia. Può essere bruciata come il metano, oppure può essere convertita in energia elettrica attraverso celle a combustibile. La buona notizia è che H2 può spalancare la porta alla transizione energetica sostenibile, dato che il suo utilizzo produce acqua: niente carbonio ed effetto serra. Quella cattiva è che è rarissimo sulla Terra e bisogna produrlo; le sue credenziali pulite si indeboliscono a seconda del modo in cui lo facciamo.

Idrogeno verde, blu, grigio o viola?

Nei prossimi anni, sentiremo sempre più declinare la parola idrogeno in un diluvio di colori: verde, prodotto da fonti rinnovabili; blu, estratto dal metano intrappolando la CO2 di scarto nel sottosuolo; grigio, prodotto da gas, petrolio o carbone; viola, da nucleare.
La produzione mondiale di idrogeno è di circa 70 milioni di tonnellate/anno. Serve principalmente per la sintesi dell’ammoniaca (fertilizzanti) e per la raffinazione del petrolio. Per oltre il 95% è grigio, quindi rilascia ingenti quantità di CO2 in atmosfera, un vicolo cieco che lascia in gioco solo due opzioni: verde e blu.
L’unica strada sostenibile è la prima, impiegando surplus di elettricità rinnovabile per scindere l’acqua in idrogeno e ossigeno mediante elettrolizzatori. La tecnologia è già sul mercato ed è destinata a consolidarsi, il costo resta però almeno 3 volte superiore all’idrogeno grigio, quindi al momento non sfonda.
Aziende come ENI e SNAM stanno puntando sull’idrogeno blu. Dal loro punto di vista la scelta non fa una piega: permette di continuare a estrarre e vendere metano come fonte di idrogeno, dando a questa risorsa una patente verde che però non merita. Infatti le tecnologie per la cattura e il sequestro della CO2 nel sottosuolo – bandiera dell’idrogeno blu – restano lontanissime dal poter essere realizzabili sulla scala necessaria in maniera economicamente sostenibile ed energeticamente sensata. Inoltre, non esiste un’infrastruttura di distribuzione dell’idrogeno, né si può sfruttare facilmente quella esistente del metano.

Cosa faremo con l’idrogeno?

Prima candidata è la mobilità. È però improbabile che possa competere con successo con le batterie nel settore del trasporto leggero (bici, moto, auto) dovendo confrontarsi con una rete di distribuzione già esistente, quella elettrica. La principale prospettiva di utilizzo massiccio dell’idrogeno – rigorosamente verde – è il trasporto pesante (camion, navi, treni), con grandi centri di produzione localizzati, senza necessità di reti di distribuzione. Per arrivarci serviranno ancora moltissimi anni.
Ma la transizione energetica non può aspettare a lungo. L’idrogeno è un’affascinante prospettiva, che non merita di essere offerta al mercato delle facili illusioni, come il nucleare del 2011.

 

Fonte: Sapere Scienza

LEGGI TUTTE LE ALTRE NEWS