Diabete di tipo 1: nessun rigetto dopo trapianto di cellule geneticamente modificate

Articolo del 03 Novembre 2025
Una svolta importante nella ricerca sul diabete di tipo 1 è stata annunciata da Uppsala University, in Svezia: per la prima volta al mondo, pazienti affetti da diabete di tipo 1 sono stati sottoposti a trapianto di cellule produttrici di insulina (isole pancreatiche) geneticamente modificate per evitare il rigetto, senza che fosse necessario un trattamento immunosoppressivo.
Questo approccio apre la possibilità di una terapia curativa – o comunque significativamente migliorativa – per il diabete di tipo 1, che finora è stato gestito principalmente con iniezioni di insulina e monitoraggio glicemico.
Che cos’è il diabete di tipo 1
Il diabete di tipo 1 è una malattia autoimmune in cui il sistema immunitario del paziente distrugge le cellule β del pancreas che producono insulina. Senza insulina, la regolazione della glicemia viene compromessa, con il bisogno di terapia sostitutiva esterna. Le complicanze a lungo termine possono includere danni renali, cardiovascolari, neuropatie, retinopatie.
Il concetto della terapia cellulare tradizionale
In passato è già stata sviluppata la tecnica del trapianto di isole pancreatiche (o cellule β isolate) da donatore per pazienti con diabete di tipo 1 “difficile” e con ipo-glicemie gravi. Tuttavia, questa procedura richiede, come per ogni trapianto allogenico, l’uso di farmaci immunosoppressivi per prevenire il rigetto, con tutti i rischi associati (infezioni, effetti collaterali).
Inoltre, la disponibilità di donatori è limitata, e la protezione delle cellule trapiantate dall’attacco immunitario (sia allogenico che autoimmune) rappresenta un grande ostacolo.
Cosa è stato fatto nello studio svedese
Ecco i punti chiave dello studio condotto all’Università di Uppsala:
- Le cellule trapiantate sono isole pancreatiche allogeniche (cioè da donatore) modificate geneticamente con la tecnologia “hypoimmune” (HIP) sviluppata da Sana Biotechnology.
- Le modifiche genetiche hanno lo scopo di ridurre o eliminare i segnali che attivano il sistema immunitario del ricevente e aumentare la “invisibilità” delle cellule trapiantate al sistema immunitario.
- Il trapianto è stato effettuato nel muscolo dell’avambraccio del paziente, piuttosto che nel fegato (come accade spesso negli studi di isole).
- Non sono stati somministrati farmaci immunosoppressivi al paziente per prevenire il rigetto.
I risultati iniziali mostrano che:
- Le cellule sono sopravvissute nel sito di trapianto.
- Le cellule producono C-peptide, indicatore che le cellule β trapiantate funzionano e secernono insulina.
- Non si sono riscontrati problemi di sicurezza legati al trattamento (almeno nei dati preliminari).
Perché è importante
Questo studio rappresenta un passo decisivo per diversi motivi:
- Si dimostra la fattibilità di trapiantare cellule β allogeniche senza immunosoppressione, cosa che fino ad ora era considerata un forte limite.
- Elimina o riduce significativamente uno dei grandi ostacoli verso una terapia “curativa” per il diabete di tipo 1: la necessità di farmaci immunosoppressivi permanenti.
- Apre la strada a terapie più accessibili, con meno rischi e potenzialmente applicabili a molti più pazienti, una volta superate le fasi sperimentali.
- Suggerisce che la manipolazione genetica delle cellule trapiantate per rendere “invisibili” al sistema immunitario può essere una strategia efficace non solo per il diabete, ma forse anche per altri trapianti o malattie autoimmuni.
Limiti e passi successivi
Nonostante l’entusiasmo, è importante considerare con prudenza alcuni aspetti:
- Si tratta ancora di uno studio di fase I, cioè orientato principalmente alla sicurezza e alla fattibilità. Il numero di pazienti è molto limitato (ad esempio lo studio pilota include fino a due pazienti).
- Non è ancora chiaro se queste cellule modificate porteranno a indipendenza insulinica completa a lungo termine. I dati iniziali sono incoraggianti, ma restano da valutare durata, efficienza e quantità di produzione insulinica sufficiente.
- La fornitura di cellule è un fattore critico: donatori, produzione su larga scala o generazione da cellule staminali sono aspetti da risolvere.
- La sicurezza a lungo termine (es. crescita cellulare incontrollata, tumori, reazioni tardive) va monitorata per anni.
- L’applicabilità a pazienti con diverse età, durata della malattia e condizioni varie deve ancora essere dimostrata.
Implicazioni per il futuro
Se confermato e sviluppato, questo approccio potrebbe trasformare la gestione del diabete di tipo 1 in vari modi:
- Potenzialmente ridurre o eliminare la necessità di iniezioni quotidiane di insulina o di gestione intensiva.
- Migliorare la qualità della vita dei pazienti abbassando il rischio di complicanze a lungo termine.
- Ridurre l’onere economico a lungo termine della malattia per sistemi sanitari e pazienti.
- Aprire una nuova generazione di terapie cellulari “allogeneiche universali” che non richiedono immunosoppressione – un grande passo non solo per il diabete, ma anche per altre malattie autoimmuni o condizioni che richiedono trapianto.
Conclusione
Lo studio condotto dall’Università di Uppsala rappresenta una pietra miliare nella storia del trattamento del diabete di tipo 1: per la prima volta in un paziente umano, cellule produttrici di insulina geneticamente modificate sono state trapiantate senza immunosoppressione, sopravvivendo e funzionando correttamente.
Pur con le cautele del caso — dato che siamo ancora ai primi passi — la prospettiva è molto promettente: un giorno potrebbe diventare realtà una terapia che non si limita a gestire il diabete, ma lo “cura”.
Per approfondimenti: REWRITERS
