Terapie farmacologiche e riabilitazione hanno reso la sclerosi multipla (Sm) una malattia oggi molto più gestibile: l’aspettativa di vita di chi ne è affetto, infatti, non è molto diversa da quella di coloro che non la contraggono. Si tratta però di una malattia cronica le cui cause non sono del tutto chiare. L’associazione italiana sclerosi multipla cita, fra i fattori di rischio, la predisposizione genetica, le condizioni ambientali, l’etnia e particolari agenti infettivi. È nota, ad esempio, la correlazione fra contrazione della mononucleosi (causata dal virus Epstein-Barr) in età adolescenziale e la successiva insorgenza di Sm dopo i vent’anni, anche se nulla si poteva dire sul possibile rapporto di causalità fra le due. Grazie a uno studio pubblicato su Jama network open ora ne sappiamo un po’ di più: un’indagine condotta fra bambini e adolescenti in Svezia ha infatti rilevato fra le due malattie una connessione, indipendente dalla predisposizione genetica familiare, che renderebbe la mononucleosi a tutti gli effetti un fattore di rischio per l’insorgenza della Sm.

Mononucleosi, causa o conseguenza?

Il fatto che nella storia clinica di molti giovani che si ammalano di Sm spesso compaia una ospedalizzazione per mononucleosi può voler dire due cose: una ipotesi è che questi soggetti hanno una predisposizione genetica ad ammalarsi di Sm e ciò li rende anche più vulnerabili a contrarre altre infezioni gravi. La seconda possibilità è che sia invece la contrazione dell’infezione da mononucleosi a costituire un fattore di rischio per la successiva insorgenza di Sm, indipendentemente dalla predisposizione genetica.

Per riuscire a distinguere il primo caso dal secondo, è utile eseguire un’indagine statistica all’interno degli stessi gruppi familiari, confrontando la storia clinica di soggetti ammalati di Sm e con una passata ospedalizzazione per mononucleosi, con quella dei loro fratelli che non hanno contratto l’infezione.

Cosa dice l’analisi di 6 mila casi

Nel nuovo studio sono stati considerati gli individui nati in Svezia dal 1° gennaio 1958 al 31 dicembre 1994 e, fra questi, gli individui che avevano compiuto vent’anni entro il 1978 sono stati seguiti fino al 2018. Sono state identificate le diagnosi (e i casi di ospedalizzazione) di mononucleosi a partire dai 20 anni di età ed è stato valutato il rischio di insorgenza di Sm correlato alla contrazione di mononucleosi in età infantile (fino ai 10 anni di età), adolescenziale (dagli 11 ai 19 anni di età) e adulta (dai 20 ai 24 anni). In totale, l’indagine ha coinvolto 2,5 milioni di persone che vivono in Svezia, di cui quasi 6 mila hanno avuto una diagnosi di Sm dopo i 20 anni.

I risultati, ottenuti analizzando fratelli e sorelle della stessa famiglia – che condividono quindi buona parte del patrimonio genetico e hanno vita familiare simile – indicano che ammalarsi di mononucleosi tra gli 11 e 19 anni aumenta significativamente il rischio di sviluppare la Sm dopo i 20 anni. Il rischio è massimo fra coloro che si sono ammalati di mononucleosi infettiva fra gli 11 e i 15 anni (proprio durante la fase della pubertà), e diminuisce all’aumentare dell’età, scomparendo quasi completamente dopo i 25 anni.

Mononucleosi e danni al sistema nervoso

La spiegazione più plausibile, secondo i ricercatori, è che la mononucleosi induca cambiamenti diversi nel cervello e nel sistema immunitario a diverse età. In particolare, provocherebbe alcuni danni alle cellule nervose, che sarebbero in grado di scatenare una reazione autoimmune nell’organismo inducendo il sistema immunitario ad attaccare ed infiammare la guaina che protegge e isola i nervi – la guaina mielinica. Se questo processo infiammatorio diventa cronico, le lesioni della guaina diventano simili a cicatrici, le sclerosi appunto. Il processo, però, potrebbe essere molto lento e l’insorgenza di Sm potrebbe arrivare anche dopo dieci anni rispetto alla contrazione della mononucleosi.

 

Fonte: Galileo

LEGGI TUTTE LE ALTRE NEWS