L’endometriosi è una condizione debilitante. La malattia, che colpisce il 10-15 per cento delle donne in età fertile (principalmente nella seconda e terza decade), consiste nella crescita anomala dell’endometrio, il tessuto che riveste la parete uterina, in altri organi, soprattutto nelle ovaie e nel peritoneo pelvico. Le donne che ne soffrono lamentano dolori, debolezza, sbalzi d’umore; infertilità e tumore alle ovaie (quando il tessuto endometriale si spinge sin là) sono altre possibili conseguenze della patologia. Che ancora non conosciamo fino in fondo. Sicuramente è determinata da una serie di cause, tra cui le mestruazioni retrograde: durante la mestruazione, piccole parti di tessuto endometriale si muovono in senso inverso attraverso le tube di Falloppio per poi impiantarsi al di fuori della cavità uterina.

Tuttavia, sebbene quasi tutte le donne abbiano mestruazioni retrograde, solo alcune sviluppano endometriosi. Ci vuole, oltre alla migrazione delle cellule dell’endometrio al di fuori dalla loro sede originale, qualcosa in più: un’infezione batterica. È quanto sostengono ricercatori giapponesi in uno studio pubblicato su “Science Translational Medicine”, primo autore Yutaka Kondo, biologo della Nagoya University Graduate School of Medicine. Per anni si è creduto che l’utero fosse un ambiente sostanzialmente sterile. Eppure, sebbene molto meno abbondanti (nell’ordine di centinaia di volte) rispetto a quelli che si trovano nella vagina, i microbi vivono pure là. “Più del 96 per cento dei batteri che infettano l’endometrio sono Fusobacterium“, ha riferito Kondo a “Le Scienze”. Che avessero un ruolo nello sviluppo dell’endometriosi i ricercatori hanno cominciato a sospettarlo dopo aver analizzato campioni di tessuto prelevati dalla parete uterina di 84 donne, metà delle quali affette dalla patologia: nel 64 per cento delle donne con endometriosi sono stati trovati Fusobacterium (principalmente la specie F. nucleatum) contro il sette per cento di quelle “sane”.

Un primo, significativo indizio del coinvolgimento di questi batteri nello sviluppo della malattia. D’altra parte, che non fossero innocui già si sapeva: tipicamente presenti nella bocca, nel tratto intestinale e nella vagina, possono causare periodontiti (infiammazioni a carico del periodonto, la formazione che avvolge la radice dei denti) e in generale contribuire allo sviluppo di tumori producendo proteine infiammatorie come i fattori di necrosi tumorali o l’interleuchina-8. Ma in che modo i Fusobacterium contribuiscono all’endometriosi? La risposta è arrivata analizzando l’espressione genica delle cellule endometriali di donne con la malattia: nei fibroblasti, cellule che formano lo strato connettivo dell’endometrio, i ricercatori hanno rilevato l’iper-espressione di alcuni geni. Tra questi, particolarmente significativo TAGLN, che da esperimenti condotti in vitro sappiamo promuovere proliferazione, migrazione e capacità di formare aggregazioni cellulari. “Con la mestruazione retrograda, il tessuto endometriale migra dall’utero alla cavità addominale. Qui, in presenza di Fusobacterium si innesca l’infezione: i batteri inducono la trasformazione dei fibroblasti in miofibroblasti [cellule a metà tra fibroblasti e cellule muscolari lisce, NdR] che hanno una maggiore capacità di proliferazione e migrazione – ha spiegato Kondo – è quindi l’infezione a rendere l’endometrio ‘maligno’ portando allo sviluppo dell’endometriosi”.

È probabile che i Fusobacterium raggiungano la parete uterina tramite il circolo sanguigno o per infezioni di natura sessuale (quindi attraverso la vagina), ma come dimostra quel sette per cento di donne infette che non presenta endometriosi, non è detto che la loro presenza scateni la malattia. Forse c’entra la risposta immunitaria delle singole donne, che in alcuni casi riesce a tenere sotto controllo l’infezione. In attesa di capirne di più, gli autori dello studio hanno comunque verificato l’ipotesi dell’infezione batterica con modelli animali: hanno infettato topi affetti da endometriosi (questi animali non hanno mestruazioni e quindi non sviluppano spontaneamente la malattia, le lesioni sono state indotte) con F. nucleatum osservando un aumento nel numero e nell’estensione delle lesioni rispetto ad animali non infetti. Cosa ancor più importante, trattando i topi con gli antibiotici metronidazolo e cloramfenicolo, entrambi capaci di eliminare F. nucleatum, si è ridotta l’estensione delle lesioni e scongiurato la formazione di nuove.

“Non sappiamo se l’eradicazione dei batteri sia davvero efficace per il trattamento dell’endometriosi nelle donne – ammette Kondo – sono tutt’ora in corso trial clinici per capirlo. Se così fosse, avremo trovato un’opzione di cura importante, almeno per i casi in cui all’endometriosi si accompagna un’infezione da Fusobacterium“. Considerando che a oggi le uniche alternative per trattare la malattia sono le terapie ormonali (con pesanti effetti collaterali) o in casi estremi la rimozione dell’utero, gli antibiotici sarebbero una svolta. E non è detto che in futuro non si trovi il modo di bloccare la cascata di eventi che trasformano i fibroblasti dell’endometrio nelle cellule iper-proliferanti e migranti, così non ci sarà nemmeno da preoccuparsi per un eventuale problema di resistenza dovuto all’uso prolungato degli antibiotici.

 

Fonte: Le Scienze

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