Nel mezzo di una pandemia e di un’epidemia, può capitare che una persona entri a contatto nello stesso arco di tempo con entrambi i virus responsabili delle emergenze sanitarie: Sars-Cov-2 e il vaiolo delle scimmie. È quanto accaduto a un uomo siciliano, reduce da un soggiorno a Madrid nei giorni compresi tra il 16 e il 20 giugno. È qui che sicuramente è entrato in contatto con “Monkeypox”. Evidenza che, visti i tempi di incubazione sempre più brevi determinati dall’arrivo della variante Omicron , non può invece essere data per scontata rispetto al contagio da Sars-CoV-2. Sta di fatto che il paziente, 36 anni, è il primo ad aver dovuto convivere contemporaneamente con i due virus ormai da mesi in copertina. O meglio, con tre: gli esami di laboratorio hanno infatti confermato anche la concomitante infezione da HIV.

Il primo “co-infetto” da Sars-CoV-2 e vaiolo delle scimmie

A raccontare la sua storia sono stati gli specialisti del policlinico Rodolico-San Marco di Catania e dell’ospedale universitario Paolo Giaccone di Palermo, sul Journal of Infection, la rivista della società britannica degli infettivologi. Nove giorni dopo essere rientrato nel capoluogo etneo, l’uomo ha iniziato ad avvertire febbre (temperatura superiore a 39), astenia, mal di gola, mal di testa e ingrossamento dei linfonodi inguinali. Sintomi ascrivibili a entrambe le infezioni. Da qui, per chiarire la causa della probabile infezione, la necessità di effettuare un tampone nasofaringeo. Il 3 luglio, la conferma: l’uomo era positivo a Sars-CoV-2.

Nessuna necessità di ricovero, ma nel corso dell’isolamento domiciliare il quadro clinico è mutato rapidamente. Nel pomeriggio del giorno stesso sul corpo del paziente sono comparse infatti le prime pustole: sul braccio sinistro, sul tronco, sul volto, sui glutei e sugli arti inferiori. Un processo durato tre giorni, che ha spinto l’uomo a recarsi al pronto soccorso del policlinico Rodolico-San Marco. E a essere subito dopo ricoverato nel reparto di malattie infettive, a fronte di un fondato sospetto di infezione da vaiolo delle scimmie.

 

I sintomi delle due infezioni possono essere gli stessi

Ipotesi suffragata dalla presenza delle lesioni cutanee, dall’alterazione di alcuni indici infiammatori (aumento della proteina C-reattiva, del fibrinogeno e del tempo di protrombina) e dall’ammissione dell’uomo di aver avuto rapporti omosessuali non protetti durante la vacanza in Spagna, in quella fase epicentro dell’epidemia da vaiolo delle scimmie in Europa. Per la diagnosi, è stato però risolutivo l’esame delle secrezioni raccolte dalle pustole, dal naso e dalla faringe: condotto nel laboratorio regionale di riferimento per la diagnosi del vaiolo delle scimmie, al policlinico Paolo Giaccone di Palermo.

“Questo caso evidenzia come i sintomi del vaiolo delle scimmie e del Covid-19 possano sovrapporsi e corrobora come la raccolta anamnestica e la definizione delle abitudini sessuali siano cruciali per eseguire la diagnosi corretta – scrivono i camici bianchi siciliani -. Se si sospetta una diagnosi di vaiolo delle scimmie, occorre eseguire un tampone orofaringeo anche in assenza di manifestazioni cutanee. Questo perché oggi sappiamo che la pelle può essere risparmiata, ma nello stesso tempo il virus può essere rintracciato a livello della mucosa orale e rettale”.

 

Tre infezioni: l’uomo positivo anche all’HIV

Nel reparto di malattie infettive dell’ospedale etneo, l’uomo è stato sottoposto anche a uno screening sierologico per verificare la presenza di ulteriori infezioni a trasmissione sessuale. Il test ha dato esito negativo per le epatiti virali, la gonorrea, la clamidia, l’herpes simplex e il linfogranuloma venereo. Positiva invece la ricerca degli anticorpi contro HIV, nonostante un analogo esame effettuato nell’autunno dello scorso anno avesse dato esito negativo. Da qui la necessità di iniziare subito il trattamento con un mix antiretrovirali composto da dolutegravir, abacavir e lamivudine. “Al momento non siamo in grado di dire se la tripla infezione possa peggiorare le condizioni del paziente – aggiungono gli specialisti -. Data l’attuale situazione sanitaria, con una pandemia che non è ancora conclusa e un numero di casi crescenti di vaiolo delle scimmie, occorre però incentivare l’effettuazione di uno screening per le infezioni sessualmente trasmesse nei soggetti a rischio”.

Il vaiolo delle scimmie “resiste” a lungo nella saliva

Un altro aspetto significativo che emerge dalla storia di questo paziente è l’elevata persistenza di “Monkeypox” nell’organismo. Sebbene non ci fossero nuove lesioni e quelle già presenti apparissero in via di risoluzione, anche il tampone orofaringeo effettuato il 19 luglio è risultato positivo. Segno, per dirla con Santi Nolasco, pneumologo al policlinico di Catania e prima firma della pubblicazione, che “il virus del vaiolo delle scimmie può resistere nella saliva oltre venti giorni e ben oltre la guarigione clinica”. Tradotto: un paziente può essere infettivo al di là della scomparsa delle manifestazioni cutanee dell’infezione. E per questo occorre “promuovere l’adozione di misure di profilassi adeguate”. In una sola parola: l’isolamento rispetto ad altri individui e animali.