Gli effetti di Chernobyl sulla salute delle nuove generazioni

Articolo del 23 Aprile 2021

L’esposizione alle radiazioni rilasciate dal disastro della centrale nucleare del 1986 ha aumentato il rischio di tumori alla tiroide dovuti al danno al DNA tra la popolazione dell’area coinvolta, ma non ha prodotto mutazioni genetiche trasmissibili alle generazioni successive. È quanto emerge da due estese e approfondite analisi genomiche su persone vissute nella regione all’epoca del disastro e sui loro figli.

Nell’aprile di 35 anni fa, la catastrofica esplosione del reattore 4 della centrale nucleare di Chernobyl, nell’attuale Ucraina settentrionale, provocò nell’immediato la morte di 65 persone, esponendo a contaminanti radioattivi milioni di abitanti di una vastissima area, in quelle che oggi sono Ucraina, Bielorussia e Federazione Russa.

Oltre all’assorbimento diretto delle radiazioni rilasciate per chilometri e chilometri attorno alla centrale nei giorni successivi all’incidente, la deposizione del fallout dell’incendio sui pascoli e sulle verdure a foglia causò un assorbimento di iodio radioattivo prolungato nel tempo da parte della popolazione della regione.

I dati epidemiologici raccolti negli anni seguenti hanno registrato un incremento dei casi di tumore, in particolare alla tiroide, stimati in alcune migliaia, ma finora non era stato studiato in modo sistematico se l’origine di quei tumori fosse dovuta proprio all’esposizione alle radiazioni né era stato indagato il tasso di incidenza di mutazioni genetiche trasmissibili alle generazioni successive.

A fare il punto arrivano ora due diversi studi pubblicati su “Science”, uno dei quali non ha rilevato conseguenze di rilievo nel genoma dei figli delle persone esposte, mentre l’altro ha documentato l’origine molecolare del danno che ha portato all’insorgenza delle neoplasie, collegandolo alle radiazioni.

Nel primo studio, Meredith Yeager del National Cancer Institute a Rockville, nel Maryland, e colleghi si sono concentrati sulle possibili conseguenze delle radiazioni di Chernobyl nella generazione successiva a quella esposta. A questo scopo, hanno analizzato i genomi di 130 soggetti nati tra il 1987 e il 2002 da coppie di genitori in cui almeno uno dei due partner era stato esposto al fallout radioattivo.

Gli autori hanno analizzato in particolare le possibili mutazioni genetiche della linea germinale, cioè avvenute in spermatozoi e ovociti dei genitori e poi trasmesse ai figli. Il risultato è che l’incidenza di queste mutazioni è paragonabile a quella riportata nella popolazione generale, indicando che le radiazioni di Chernobyl hanno avuto un impatto minimo sui discendenti della generazione esposta, almeno dal punto di vista genetico.

Nel secondo studio, Lindsay Morton del National Cancer Institute a Bethesda, sempre nel Maryland, e colleghi di una collaborazione internazionale, hanno indagato sul rischio di insorgenza di cancro nella popolazione esposta alla contaminazione radioattiva di Chernobyl, focalizzando l’attenzione sui tumori della tiroide.

Questa ghiandola utilizza il 30 per cento circa dello iodio presente nel sangue per produrre ormoni, e uno dei principali contaminanti ambientali in seguito a incidenti nucleari è lo iodio-131. Questo isotopo radioattivo si accumula quindi nella tiroide dove può indurre mutazioni genetiche nei tessuti circostanti, a seguito delle quali possono svilupparsi tumori.

Morton e colleghi hanno effettuato un’approfondita caratterizzazione del genoma, del trascrittoma (cioè il profilo di espressione del genoma) e dell’epigenoma (l’insieme dei meccanismi regolatori dell’espressione del genoma) di un campione di 440 cittadini ucraini con tumore papillare della tiroide, la più comune forma di neoplasia maligna che colpisce questa ghiandola. Di questi soggetti, che avevano in media 28 anni all’età della diagnosi, 359 sono stati esposti allo iodio-131 all’epoca dell’incidente quando erano bambini, mentre i restanti 81 sono nati dopo il 1986.

Dai dati è emerso chiaramente che a generare il tumore tiroideo è stato il danno al DNA indotto dalla radiazione, la cui impronta è rintracciabile in una specifica alterazione chiamata rottura del doppio filamento.  Inoltre, l’analisi ha mostrato che il danno genomico era più grave nei soggetti esposti in età più giovane ed era proporzionale alla dose di radiazioni assorbita. Il profilo trascrittomico ed epigenomico, invece, non è risultato dipendente dall’esposizione, ma solo dallo specifico evento di mutazione che aveva dato origine al tumore.

Fonte: Le Scienze

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