Homo sapiens, la specie invasiva

Articolo del 18 Marzo 2021

Homo sapiens è una specie invasiva. A questa caratteristica possiamo dare una connotazione negativa o positiva a seconda della prospettiva che decidiamo di adottare. La nostra insaziabile sete di territorio e di risorse sta producendo oggi un cortocircuito in grado di compromettere l’intero ecosistema terrestre, sapiens inclusi. Cambiamenti climatici, perdita di biodiversità, catastrofi ambientali e pandemie sono ormai quotidiana realtà per il nostro pianeta. D’altro canto, anche il nostro successo evolutivo ha molto a che vedere con tale caratteristica. I nostri antenati si sono moltiplicati provocando la progressiva estinzione delle specie umane coeve proprio per via della loro peculiare indole da instancabili esploratori e insaziabili conquistatori. Buon per noi, peggio per loro… sarebbe potuto accadere l’inverso.

Benché oggi appaia di portata eccezionale, sarebbe quindi un errore confinare l’impatto antropogenico unicamente a questo e allo scorso secolo. Proprio perché “invasivi” siamo sempre stati, a partire dalla rivoluzione cognitiva, 70.000 anni fa.

Sapiens arriva, e distrugge

Due studi, apparsi su Nature Communications e su Science Advances, hanno tentato di quantificare la responsabilità degli antichi sapiens nel processo di estinzione dei grandi mammiferi nel Pleistocene. Fino a quel periodo, mammut, tigri dai denti a sciabola e rinoceronti lanosi erano di casa nelle zone a clima rigido dell’emisfero boreale, più a sud in America vivevano megateri e gliptodonti, mentre grossi marsupiali popolavano le foreste australiane. Poi arrivammo noi. I nostri antenati, a partire dalle diaspore out of Africa, continente originario di tutti gli umani moderni, migrarono in tempi relativamente brevi in molte zone della Terra.

Dapprima il nostro impatto sull’ecosistema fu trascurabile poi, con l’acquisizione di nuove tecnologie e di nuove conoscenze, diventò sempre più forte. Come scrive Yuval Noah Harari in Sapiens. Da animali a Dei, “la testimonianza storica fa comparire Homo sapiens come un serial killer ecologico”.

Lo studio pubblicato su Nature Communications, coordinato dal professor Frederik V. Seersholm di Curtin University, mette in evidenza che l’estinzione dei grandi mammiferi in America ebbe una duplice causa: l’ultima era glaciale, quindi un fattore climatico, ma soprattutto l’arrivo, Oltreoceano, dei primi sapiens. Questa considerazione, evidenziano gli autori, si basa sulla scoperta paleontologica che mostra come i forti cambiamenti climatici, pur incisivi, non portarono alla scomparsa piante e piccoli animali, come i roditori. Questi ultimi migrarono verso territori a clima più favorevole e sopravvissero, mentre le prove mostrano che solo una specie di piante sparì. Entrambi, piante e piccoli animali, notano gli studiosi, non erano le principali prede dell’essere umano.

Forse ancora più incisivi sono i risultati del secondo studio, coordinato dal professor Tobias Andermann di University of Gothenburg. Secondo gli studiosi, «per comprendere l’attuale crisi della biodiversità, è fondamentale determinare come gli esseri umani hanno influenzato la biodiversità in passato. Utilizzando un metodo bayesiano – spiegano gli autori – abbiamo rilevato che le dimensioni della popolazione umana sono in grado di prevedere le estinzioni passate con un’accuratezza del 96%, contrariamente a quanto riescono a fare i predittori basati sul clima passato. Questi dati suggeriscono quindi che le condizioni climatiche abbiano avuto un impatto trascurabile sull’estinzione globale dei mammiferi». Lo studio, inoltre, fornisce una proiezione circa le future estinzioni dei mammiferi imputabili all’impatto umano.

Facciamo il punto. Homo sapiens, che per decine di millenni era solo una comune scimmia antropomorfa, iniziò a espandersi, a conquistare territori, risorse, conoscenze e competenze. La sua rapida e capillare distribuzione sul globo portò all’estinzione molti grandi mammiferi, i quali gli garantivano lauti pasti. Il successo evolutivo sembra indiscusso.

L’altra faccia della medaglia

Ecco però il rovescio della medaglia. Il fenomeno di estinzione dei grandi mammiferi fu particolarmente incisivo in America, territorio in cui, da quando arrivarono i primi sapiens sul finire del Pleistocene all’arrivo di Cristoforo Colombo, di mammiferi comuni in Eurasia, come cavalli, suini e bovini non v’era più traccia. In coincidenza con l’arrivo, appunto, dei conquistatori europei in epoca moderna, i nativi pagarono a caro prezzo quell’estinzione. La popolazione amerinda nel giro di un secolo dall’arrivo dei colonizzatori scese da 80-100 milioni a 15 milioni.

Se molte morti furono inferte della furia dei conquistadores, tantissime altre rappresentarono invece il frutto dell’antico impatto antropogenico. In America, l’assenza di greggi, di sistemi di allevamento e quindi di occasioni di contatto diretto tra questi mammiferi e gli esseri umani non innescò il processo di zoonosi (il passaggio di un patogeno da una specie a un’altra) avvenuto invece in larga scala nei popoli d’oltreoceano, i quali di allevamento prosperavano. I nativi americani dunque non possedevano alcun anticorpo per le infezioni batteriche e virali che invece erano ormai endemiche in Eurasia. Per tale ragione, le popolazioni al di là dell’Atlantico vennero decimate. Quello che pareva millenni prima un grande successo per gli umani, si ritorse quindi contro di loro. Non diamo tuttavia alcun giudizio di valore a queste dinamiche: la zoonosi non è un fenomeno auspicabile.

Infatti, tornando a oggi, la trasmissione dei patogeni tra specie sarebbe, secondo gli studiosi, niente meno che la responsabile dell’attuale pandemia di Covid-19. È interessante notare che le cause attuali di zoonosi sono di nuovo da ricondurre alla nostra invasività e alla nostra sete di risorse. Distruggere interi habitat ed ecosistemi per garantire spazio alle coltivazioni intensive significa spodestare intere specie animali dalla propria nicchia ecologica e quindi spingerle, esse stesse e i patogeni che veicolano, a diretto contatto con l’uomo. Analogamente, commerciare animali in precarie condizioni igieniche si può tradurre in infezioni di ogni genere. E, questa volta, un successo evolutivo come quello di cui beneficiarono i primi sapiens potrebbe non esserci.

Siamo in un mondo globalizzato, non su un pianeta composto da infinite lande desolate alternate a piccole tribù: se ai tempi della conquista delle Americhe intere popolazioni erano del tutto sconosciute ad altre, e quindi ai rispettivi patogeni, ora rappresentiamo un’unica e compatta umanità, più o meno sulla stessa “barca immunologica”. Tutta la specie è più vulnerabile. Ricordando il Darwin day da poco trascorso, teniamo a mente che la storia umana e l’evoluzione naturale, come sostiene lo storico Edmund Russel, sono due processi operanti in strettissima sinergia. Pressioni selettive e invasività antropica hanno cambiato e continuano a cambiare a ritmi esponenziali le sorti di tante specie, Homo sapiens inclusa, spesso nella nostra colpevole, perché oggi consapevole, indifferenza.

 

Fonte: Scienza in Rete

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