Il peso della funzione renale nelle malattie cardiovascolari, quale cura?

Articolo del 03 Giugno 2023

L’insufficienza renale cronica colpisce una parte consistente della popolazione e, sin dalle sue fasi iniziali, è associata ad un aumento del rischio cardiovascolare. Numerosi studi hanno infatti ampiamente dimostrato che la presenza di un danno ai reni, anche di lieve entità, va considerato di per se una condizione predittiva di aumento del rischio di eventi cardiovascolari.

È noto che l’insufficienza del rene, anche nella fase precoce, è fattore predisponente all’esordio della fibrillazione atriale e allo sviluppo di trombosi. La fibrillazione atriale comporta un elevato rischio di ictus e tromboembolia per questa ragione le linee guida internazionali indicano l’attuazione della profilassi della trombosi in base ai fattori di rischio presenti nel paziente.

La terapia di prevenzione è basata sulla somministrazione di molecole definite nuovi anticoagulanti orali (NAO), farmaci che bloccano in modo selettivo alcuni passaggi del processo di coagulazione.

Tutti i NAO si sono rivelati efficaci e ben tollerati negli studi controllati condotti in popolazioni selezionate che ne hanno qualificato l’impiego al dosaggio appropriato. Poiché tutte le molecole sono eliminate per via renale, seppure con percentuale variabile, l’appropriatezza è condizionata dall’efficienza della funzione del rene per provvedere il desiderato effetto antitrombotico e per evitare l’effetto pro-emorragico indesiderato.

Per questa ragione nei pazienti con malattia renale cronica il processo decisionale per la profilassi costituisce un problema di cura complesso quando la riduzione di filtrato renale progredisce oltre il III stadio dell’insufficienza renale (corrispondente a 30 ml/min/1,73m2).

La somministrazione dei NAO è stata dunque prevista con dosi ridotte nei soggetti a “rischio” di accumulo conseguente alla diminuita funzione del rene.

In molti casi tale disponibilità ha indotto il medico ad un erroneo atteggiamento “preventivo” verso il rischio emorragico, adottando la prescrizione del dosaggio ridotto del NAO prescelto anche in soggetti che avrebbero beneficiato della dose piena prevista dalle linee guida.

Dalle recenti revisioni dei dati presenti nei registri internazionali è emerso che questa modalità prescrittiva si associa ad una più alta incidenza, statisticamente significativa, di ictus di natura ischemica e nei soggetti che presentano altre fragilità come il basso peso corporeo e l’età più avanzata anche di natura emorragica.

 

Fonte: In Salute News

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